
Ciononostante ognuno dei suoi figli seguì il proprio destino e particolarmente le regine di Napoli e di Francia. Furono delle pedine sulla scacchiera delle monarchie europee, costrette ad unirsi in matrimonio solo per convenienze diplomatiche, ma pur cercando di osservare alla lettera i consigli della madre imperatrice, le due sorelle non riuscirono mai ad incarnare la personalità forte e autoritaria di Maria Teresa, a governare come lei e soprattutto a guadagnarsi l’affetto del popolo.
Per quali ragioni si attirarono l’epiteto di “Austriache”?
Maria Antonietta e Maria Carolina non furono mai amate dai loro sudditi, né si prodigarono per farsi accettare. L’epiteto di “Austriache” mirava a sminuirle nella loro grandezza di regine e a ridurle drasticamente per la dubbia moralità e l’incapacità di farsi accogliere in una nazione straniera. L’appellativo muoveva da un astio pregresso riconducibile all’amaro ricordo che guerre e dominazioni austriache avevano lasciato sia nel popolo francese che in quello napoletano.
Maria Antonietta, una volta lontana dalla sobria e rigida educazione materna, fece suo l’estroso gusto dell’aristocrazia francese, dandosi ai piaceri della vita mondana anche per alleviare le frustrazioni di un matrimonio infelice che, dopo sette anni, non era ancora stato consumato. La mancanza di eredi al trono aveva logorato la sua posizione a corte, alimentando non solo gli intrighi, ma anche l’antipatia del popolo che finì per vedere in lei solo l’austriaca spendacciona, amante del lusso di Versailles e noncurante delle problematiche sociali. Gli incessanti rimbrotti dell’Imperatrice madre col tempo persero il peso della perentorietà, tanto da scemare in prediche monotone e inascoltate da parte della regina di Francia che, irresponsabilmente, andò incontro al suo tragico destino. Incurante delle dicerie e soprattutto del grave deficit finanziario del paese, Maria Antonietta continuò a spendere e spandere sconsideratamente. Non governò mai, se non per fare da tramite con la casa austriaca. L’impopolarità lievitò, le ingiurie corsero di bocca in bocca. L’indecorosa denigrazione dell’immagine crebbe in maniera esponenziale libello dopo libello, fino a raggiungere l’apice con il famoso “affare della collana” che costò alla sovrana l’onta di un pubblico processo. Tutto il resto è storia nota: la rivoluzione francese, il terrore e la ghigliottina.
Quale legame univa le due sorelle?
Di tutta la nidiata dell’imperatrice austriaca (con l’amato Francesco Stefano di Lorena mise al mondo ben sedici bambini, di cui undici femmine e cinque maschi), Charlotte e Antoine (così erano chiamate in famiglia) furono le ultime a venire al mondo. La prima portava tre anni di differenza con la sorella più piccola e la vicinanza dell’età le rese particolarmente unite, tanto da vivere in simbiosi come due gemelle. La separazione fisica avvenne in età ancora adolescenziale in seguito ai matrimoni combinati dalla madre.
Entrambe finirono per sposare degli uomini privi di grandi qualità. Il re di Francia, Luigi XVI, era un uomo caratterialmente introverso, schivo, taciturno. Trascorreva buona parte del suo tempo in solitudine lontano dagli ambienti festaioli di Versailles. Nonostante da ragazzo avesse ricevuto una particolareggiata formazione culturale, non mostrò mai grandi attitudini al ruolo di sovrano. L’ambasciatore austriaco Mercy-Argenteau, preposto da Maria Teresa al controllo della vita di corte francese, in una relazione lo tratteggiò come un mediocre, di scarso buon senso e totalmente privo di sensibilità. E così dimostrò di essere per tutta la vita.
Ferdinando IV di Borbone, meglio conosciuto come il “re lazzarone” per la sua indole molto simile a quella della plebe napoletana, pur avendo avuto dei validi precettori, fin da bambino dimostrò una grande svogliatezza verso gli studi. Questa trascuratezza si protrasse nel tempo, rendendolo inadeguato ad assumersi responsabilità e potere decisionale. La sua inettitudine era cosa nota anche fuori dal regno. La stessa Maria Teresa aveva contezza dei limiti di quel sovrano dedito esclusivamente alla caccia ed ai trastulli. Il matrimonio con Maria Carolina fu un ripiego dopo che le prime due sorelle maggiori promesse spose al re di Napoli erano morte di vaiolo.
Un po’ per la forza esercitata dal padre Carlo, che dalla Spagna continuò a governare il regno di Napoli tramite il ministro Tanucci, e ancora di più quando fu Maria Carolina a prendere le redini del governo, il “re Lazzarone” non ebbe mai modo di esprimere una sua riforma, un disegno politico esclusivamente suo. Checché se ne dica, Ferdinando non ebbe fasi di evoluzione nelle sue “tante vite” (che qualcuno forzatamente ha voluto attribuirgli…), né mai espresse particolari qualità. Da fonti documentarie dirette (relazioni, diari, lettere) risulta incontrovertibile la descrizione di una personalità culturalmente asettica, gretta, incapace di dimostrare capacità governative. Dietro di lui c’erano sempre i giochi diplomatici della moglie e dei suoi prescelti ministri. Lui si limitava a firmare decreti e provvedimenti decisi da altri, lasciandosi trascinare dagli eventi e soggiogare dalla potenza diplomatica prima della Spagna, poi dell’Austria e poi dell’Inghilterra.
Questo giudizio negativo non è frutto di preconcetti, di analisi bibliograficamente limitate e superficiali o di interpretazioni arbitrarie. È storia documentata, e la storia non può essere reinventata allo scopo di attribuire un valore che non c’è. Oltretutto basta andare alle fonti e leggere le lettere personali o i suoi diari sgrammaticati per cogliere non solo l’ignoranza, ma anche la bassa levatura morale del soggetto.
E Maria Carolina soffrì sicuramente i limiti del suo consorte, ma allo stesso tempo se ne approfittò per attuare una politica filo-austriaca. Sotto molti aspetti fu lei il vero re di Napoli, introducendo nel Consiglio ministri austriaci che potenziarono il legame con l’Impero: mentre Ferdinando amava consumare il suo tempo dedicandosi alla caccia e ai trastulli, lei decideva, veicolava, approvava e soprattutto tramava.
Tra i due coniugi non c’era alcuna affinità: lei che a Vienna aveva avuto una egregia formazione culturale, tanto da voler portarsi a corredo migliaia di libri e istituire a Napoli una biblioteca personale, lei che aveva ricevuto dalla madre una perfetta educazione, sobria, rispettosa, elegante e non sfarzosa, si trovò catapultata in un mondo napoletano completamente avulso rispetto al suo, dove il rozzo sovrano, tra le altre esibizioni poco edificanti, si faceva scherno della corte, esibendo i suoi escrementi corporali, dopo averli abbondantemente evacuati con piena soddisfazione. [sic!]
La scena non è frutto di fantasia, fu riportata nel resoconto di un viaggio a Napoli dell’Imperatore Giuseppe II in visita alla sorella Maria Carolina. Oltretutto il giudizio espresso da altri frequentatori e funzionari di corte fu all’unisono, e le testimonianze dirette e coeve hanno un valore superiore rispetto ad opinioni costruite da cultori di storia secoli dopo.
Ad ogni modo la regina si adattò al carattere del coniuge ed a quella nuova vita, fu scaltra e perspicace nel farsi valere politicamente, a differenza di Maria Antonietta che fu sempre riluttante se non del tutto indifferente agli affari di Stato.
Sicuramente il rapporto tra le due continuò per carteggio, ma questo fu volutamente distrutto dietro consiglio dell’Imperatrice. Il loro fu un legame intenso che lasciò non solo tracce indirette attraverso richiami in diari e altre corrispondenze, ma nello stravolgimento emotivo provato da Maria Carolina in seguito alla decapitazione della sorella.
In che modo la Rivoluzione francese recise i destini delle due giovani arciduchesse austriache?
È indubbio che la drammatica fine di Maria Antonietta in seguito alla rivoluzione francese sconvolse l’equilibrio psichico di Maria Carolina che non si diede pace, giurò vendetta e maledisse nei secoli i giacobini e i loro fautori. Fu ossessionata a dare caccia spietata ai filo-rivoluzionari “falsi” e “pervertiti”, “le serpi in seno”, che sentiva infiltrati ovunque. Non fece sconti a nessuno e quando nel 1799 perse momentaneamente il suo regno che, con l’ausilio delle truppe francesi respirò sei mesi di libertà repubblicana, l’odio divenne incontenibile.
Con la restaurazione borbonica la migliore intellighenzia partenopea fu condannata al patibolo, ma con essa finì nel baratro anche l’immagine di una sovrana che, spietata e vendicativa, lasciò nei posteri un ricordo terribile.
Già da tempo l’onta denigratoria che aveva investito la sorella in Francia aveva raggiunto anche lei, costruendole intorno una leggenda nera. L’ecatombe dei repubblicani napoletani del 1799 la consegnò definitivamente alla ghigliottina della storia.
Per quel drammatico protagonismo di cui loro malgrado furono investite in un’epoca rivoluzionaria, Maria Antonietta e Maria Carolina d’Asburgo Lorena hanno lasciato delle tracce indelebili. In un intreccio di destini dapprima paralleli e poi incrociati, hanno rappresentato le facce opposte di una stessa medaglia, un Giano bifronte, con i loro volti speculari, l’una di vittima e l’altra di carnefice.
Antonella Orefice è una storica e scrittrice italiana. Laureata in Filosofia, dirige la rivista digitale «Nuovo Monitore Napoletano» ed è ricercatrice presso l’Archivio Storico Diocesano di Napoli. Con Salerno Editrice nel 2019 ha pubblicato la biografia di Eleonora Pimentel Fonseca.