
Quello che accadrebbe al riunirsi delle due coppie, sarebbe ovvio per l’autore di un romanzo normale: Carlotta e il Capitano andrebbero a letto, e lo stesso farebbero Ottilia e Edoardo. Ma Goethe? Il cinquantottenne Maestro, che all’epoca si era innamorato di una diciottenne e però aveva rinunciato a lei, scrive invece una tragedia mascherata da commedia dove un erotismo intrattenibile viene coperto da un velo di morbida e marmorea eleganza, suprema come il panneggio che ricopriva i corpi nudi delle Ninfe nei misteri rinascimentali: scrive Le affinità elettive. Secondo la chimica alchemica dell’Ottocento le «affinità elettive» erano le forze misteriose che spingevano i corpi affini ad attrarsi, dissolvendo i legami precedenti e formando nuovi legami: esattamente ciò che è messo in scena nel romanzo. Ma la forza selvaggia della Natura, che disgrega le coppie vecchie e le riforma nuove, si scontra in Goethe con la Civiltà: il matrimonio, le convenienze, il dovere, la responsabilità, la legge interiore. A ogni pagina delle Affinità elettive il lettore moderno e ingenuo vorrebbe dire: Basta, divorziate, e risolvete il problema! Ma Goethe non vuole un lieto fine, né vuole tranquillizzare: vuole raccontare la potenza al di là del bene e del male dell’amore, il suo essere un pharmakon, un veleno che può uccidere e che può salvare: e non vuole farlo attraverso sentenze filosofiche, ma raccontando una storia che accade all’incrocio con il potere del caso, dell’occasione imprevedibile che mette in crisi ragione e morale.
Un esempio? A un certo punto del romanzo c’è un capitolo superbo: è sera, in un corridoio Edoardo sta pensando a Ottilia, la desidera, vorrebbe andare nella sua camera; ma la camera della ragazza è lontana, Edoardo sveglierebbe tutti; lì vicino, c’è anche la porta della camera della moglie; Edoardo allora, con un atto che compie senza rifletterci, bussa, sorprende Carlotta in camicia da notte, si sorprende, e dice che è venuto per baciarle «il piedino»; lei risponde che era da tempo che non lo faceva, i due si sfiorano al lume delle candele, e finiscono a letto facendo giochi erotici da amanti ritrovati; al mattino Edoardo fugge, in colpa: sente di aver tradito insieme Carlotta e Ottilia. E Carlotta? Carlotta sembra aver accettato da brava moglie il piacere di una sera, ma, a sorpresa, dopo la notte di sesso coniugale, scopriamo che un attimo prima dell’arrivo del marito, Carlotta stava pensando con desiderio al Capitano, e quando ha sentito bussare alla porta ha temuto e desiderato che fosse proprio il Capitano a farle visita: ha aperto tremante e sensuale, e si è trovata davanti il marito. In poco meno di cinque pagine, sottili, essenziali, erotiche ed equivoche come un passo delle Relazioni pericolose di Laclos riveduto da un Mefistofele della letteratura, Goethe ha dispiegato tutta la sua potenza di scrittore. L’intero romanzo è così: un fiume di fuoco sotto una trasparente lastra di gelo, un affiorare di sensualità selvaggia sotto un’etichetta quasi stucchevole, e, come una musica in lontananza, l’ardere quieto dell’amore in cui Ottilia e Edoardo dimenticano il mondo: «Li univa un’indescrivibile, quasi magica forza di attrazione. Anche se non pensavano espressamente l’uno all’altra, presi ognuno dalle proprie occupazioni e distratti dalla compagnia, finivano per avvicinarsi. Se si trovavano in una stanza, non passava molto tempo che erano già vicini. Solo la vicinanza immediata poteva acquietarli: e tale vicinanza bastava, non servivano sguardi, parole, gesti, movimenti. Solo essere insieme…».
Ma dalla parte di chi sta Goethe? Dalla parte del dovere coniugale o dalla parte dell’amore assoluto? Alla fine del romanzo i due innamorati giovani, romantici e dissennati, muoiono senza nemmeno essere riusciti a fare l’amore: come invece faranno, o forse hanno già fatto, i più ragionevoli e maturi Carlotta e il Capitano. Goethe punisce chi viola il matrimonio? Punisce la passione amorosa? Punisce gli innamorati eternamente giovani? Sì, no, chissà: le ultime parole del romanzo dicono che Ottilia e Edoardo si risveglieranno un giorno per congiungersi in carne e anima, e quel giorno la loro felicità sarà indicibile: la resurrezione dei corpi del cristianesimo viene piegata da Goethe a rappresentare il potere di Eros, l’amore che trionfa contro la morte e contro la legge: la promessa fatta dal vecchio Goethe a Ottilia è che deve per forza esserci un mondo nel quale l’amore non viene messo a morte dalla società. Dove sarà questo mondo, e quando comincerà? Per il tardo Goethe il dove e il quando non importano più: lui sa che il mondo sperato nella disperazione, il mondo in cui gli amanti «vegliati da angeli affini» si uniranno, deve per forza esistere perché esista una vita vera. Non c’è nessuna religione della rinuncia, in Goethe: nelle Affinità elettive la rinuncia è forzata, non è una scelta; nel tardo Goethe non c’è nessuna passione spenta, nessuna olimpica freddezza, e nessuna pace fasulla è arrivata; ciò che in lui sembra conciliato, lo è soltanto nel sogno di sciogliere le contraddizioni senza annullarle: con la ferocia che il Maestro di un’arte deve sempre avere, con l’infinita tenerezza di chi conservò fino all’ultimo una scheggia di paradisiaca infanzia erotica in sé, con lo sguardo stoico che non chiude gli occhi di fronte al male e al disordine se anche li odia, Goethe strinse nelle Affinità elettive un nodo che ancora toglie il fiato, un sogno che ancora implacabilmente parla dei nostri sogni mancati.»
tratto da Lettori selvaggi. Dai misteriosi artisti della Preistoria a Saffo a Beethoven a Borges la vita vera è altrove di Giuseppe Montesano