“Lavorare non basta” di Marianna Filandri

Prof.ssa Marianna Filandri, Lei è autrice del libro Lavorare non basta, edito da Laterza. Il lavoro è considerato il miglior indicatore della posizione di classe sociale eppure il numero dei cosiddetti working poor cresce sempre di più: quali cautele è importante tenere presenti quando si intende considerare l’occupazione come strumento primo di uscita dalla povertà?
Lavorare non basta, Marianna FilandriLe cautele da tenere presenti sono diverse. La prima è certamente che non ci si può limitare a considerare la quantità di lavoro, tralasciando la qualità di esso. Un esempio riguarda i bassi salari. Lavoratori e lavoratrici occupati ma pagati molto poco non sono in grado di accedere a uno standard di vita minimo accettabile. Questa condizione è appunto molto diffusa e indebolisce il lavoro come mezzo per contrastare la povertà, mostrando la necessità di altre misure di sostegno al reddito. La diffusione di povertà da lavoro, inoltre, mina la retorica dei disoccupati fannulloni e evidenzia molte debolezze del mercato del lavoro italiano.

In che modo le condizioni del lavoro influiscono sulla povertà dei lavoratori?
Le condizioni di lavoro possono influire sulla povertà lavorativa in molti modi. Un esempio riguarda, come appena detto, il salario orario. Questa non è l’unica dimensione rilevante. Contano ad esempio anche la continuità e l’impegno a tempo pieno e parziale. Ci sono occupati che lavorano un numero limitato di ore nella settimana e altri ancora che sono impegnati solo alcuni mesi nell’anno. Qui emerge una delle ragioni per le quali lavorare non basta, ma è necessario che le condizioni del mercato del lavoro cambino.

Che ruolo svolge la sicurezza lavorativa?
La sicurezza lavorativa svolge un ruolo molto importante attraverso vari meccanismi. Faccio due esempi, ma non sono esaustivi. Da un lato la sicurezza lavorativa intesa come stabilità della posizione lavorativa aumenta il benessere e i consumi degli occupati e delle occupate. Ad esempio, l’insicurezza del lavoro è associata negativamente alla salute, in particolare mentale per via dell’estrema tensione psicologica che provoca nei lavoratori. E ancora di fronte all’incertezza sul futuro chi ha un contratto a termine è spinto a mantenere gli stessi livelli di consumo fino a che non vi sia certezza del reddito nel medio-lungo periodo. Dall’altro lato, per quanto riguarda gli infortuni, una maggiore durata del lavoro riduce sensibilmente la probabilità di subire un infortunio.

Che relazione esiste tra lavoro e ricchezza?
Sebbene esista una relazione positiva tra reddito da lavoro e ricchezza, ossia chi guadagna di più è spesso anche più ricco, la capacità di risparmiare è limitata per molti occupati. Sono praticamente impossibilitati ad accumulare ricchezza coloro che si trovano in una condizione di basso salario, o con un contratto di lavoro instabile, o ancora in sottoccupazione. Chi percepisce stabilmente salari alti è invece in una posizione più favorevole, ma va considerato che la ricchezza proviene in gran parte da eredità e donazioni. Inoltre, i processi di accumulazione non avvengono solo con il passaggio delle ricchezze tra le generazioni ma anche attraverso l’accumulazione lungo il corso della vita. Questo meccanismo è rafforzato dall’attuale sistema fiscale che rende più vantaggiose le rendite rispetto ai redditi da lavoro.

Quali misure sono dunque necessarie per restituire stabilità economica e, con questa, fiducia nel futuro ai lavoratori?
Le misure da considerare sono diverse. Non esiste una ricetta facile per affrontare problemi complessi. Una di quelle che vengono discusse nel volume è certamente l’introduzione di una normativa sul salario minimo. Su questo punto la Commissione Europea ha preso una posizione ben definita, spingendo tutti i paesi a garantire che lavoratori e lavoratrici siano adeguatamente retribuiti. L’Italia purtroppo è uno dei sei Stati in Europa in cui ancora non esiste una norma sul salario minimo legale, la retribuzione sotto la quale per legge non si può scendere per pagare un lavoratore, indipendentemente dall’attività che deve svolgere. Può essere definita come retribuzione mensile o annuale, ma molto spesso è definita su base oraria. Definire quindi che lavoratori e lavoratrici siano pagati almeno 9 euro all’ora – come previsto da una recente proposta – definirebbe una soglia minima di salario e sancirebbe chiaramente il principio per cui chi lavora ha diritto a una retribuzione decente.

Marianna Filandri è professoressa associata in Sociologia economica all’Università di Torino, dove insegna Sociologia delle disuguaglianze economiche e sociali e Analisi dei dati per la ricerca applicata e la valutazione delle politiche. I suoi principali interessi di ricerca riguardano le disuguaglianze in particolare negli ambiti della povertà, del lavoro e della casa. Ha pubblicato nel 2020 per Il Mulino Casa dolce casa? Italia, un paese di proprietari (con M. Olagnero e G. Semi).

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