“La World Literature. Percorsi e prospettive” a cura di Silvia Albertazzi

Prof.ssa Silvia Albertazzi, Lei ha curato l’edizione del libro La World Literature. Percorsi e prospettive edito da Carocci: quale nuovo paradigma interpretativo propone il World Criticism?
La World Literature. Percorsi e prospettive, Silvia AlbertazziIn un suo saggio molto citato e molto discusso, Franco Moretti ha scritto che per affrontare la World Literature occorre un nuovo approccio critico, che consisterebbe nel definire un’unità di analisi, seguirne le metamorfosi in molteplici ambienti, fino ad approdare al reperimento ideale dell’intera storia letteraria in una serie di esperimenti interrelati. Gli autori dei saggi presenti in Introduzione alla World Literature – ovvero, i membri del Centro Studi sulle letterature omeoglotte dei paesi extraeuropei CLOPEx dell’Università di Bologna – mentre concordano sulla necessità di un nuovo approccio critico, esprimono le loro perplessità verso il distant reading di Moretti, messo in discussione già quasi due decenni or sono da Gayatri Spivak, e propongono invece un possibile World Criticism, aperto alle letterature del mondo, non a una letteratura-mondo. Si tratta di leggere i testi in prospettiva globale, come echi di quello che il grande scrittore e teorico martinicano Édouard Glissant chiamava il “caos-mondo”; di metterli in relazione al fine di, per citare ancora Glissant, “sconvolgere i nostri immaginari” e, da ultimo, ricostruirli, nella consapevolezza che aprirsi all’altro non è negare sé stessi e riconoscere l’altro non è diminuirsi. Si tratta di acquisire una nuova prospettiva, non eurocentrica; rivedere il modo in cui le parole frequentano il mondo per rendere ragione della sua imprevedibilità. Come sottolinea nel suo saggio Edoardo Balletta, occorre operare una “decolonizzazione epistemica”, concepire una universalità non egemonica attraverso una ridefinizione degli strumenti teorici e metodologici e una revisione radicale della memoria culturale, per approdare alla produzione di discorsi eterogenei in uno spazio letterario in cui si manifestano elementi di ambiguità e conflitto (per quanto attiene la produzione dei testi, i loro referenti, la distribuzione, il consumo). Balletta parla esplicitamente di “mondializzare la critica”, ovvero, “sottoporre a un processo di transculturazione la teoria e la metodologia degli studi sulla World Literature … far viaggiare le teorie, contrastando i protezionismi, farle spostare in ogni direzione, sabotarne le frontiere, contrabbandare le idee”.

Quali percorsi disegna la World Literature?
Nel volume, ci occupiamo in primo luogo dei percorsi sin qui disegnati dai teorici della World Literature, il cosiddetto “stato dell’arte”, che traccia una mappa alquanto frastagliata quando non contraddittoria. Si passa da un’idea di World Literature come “supercanone”, in certo senso già alla base del concetto di Weltliteratur espresso da Goethe nel 1827, e ripreso da Marx e Engels nel Manifesto del Partito Comunista nel 1848, a un programma transculturale che, pur attraverso la messa in discussione e la conseguente obsolescenza delle letterature nazionali, spesso rischia di portare soltanto a un allargamento del canone occidentale con operazioni di “turismo culturale”. La World Literature deve, invece, porsi nello “spazio ellittico” creato dalla lettura e dalla circolazione delle opere, lo spazio in cui la cultura originaria di un testo e le culture che lo recepiscono si incontrano, dialogano, si confrontano, si mescolano. I percorsi della World Literature attraversano il tempo e lo spazio, le prospettive, le epoche, i punti di vista; personaggi, temi, figure migrano da un testo all’altro; antiche storie ritornano sotto nuova veste, in un continuo scambio e incrocio di modi, stili, tematiche. Per questo, nel mio saggio, preferisco parlare di Crossover Literature, letteratura di attraversamenti di frontiere, o addirittura, in omaggio a Glissant, di “letteratura-caos”, non lineare, indeterminata ed eccentrica, seducente e sconcertante. Proprio per dimostrare come, secondo un’affermazione di Edward Said, la letteratura possa essere “una sconcertante avventura nella differenza”, abbiamo scelto di porre al termine del volume come case studies esemplificativi l’analisi di alcune atipiche riscritture di classici, esaminate da Maria Chiara Gnocchi, che, a partire dai romanzi Il caso Meresault di Kamel Daoud e Quichotte di Salman Rushdie, teorizza ed esemplifica le riscritture-mondo, il cui intento è ridisegnare uno spazio letterario e culturale globale, e da Francesco Vitucci, che offre un esempio particolarissimo di contaminazione transmediale: il caso dell’adattamento cinematografico del romanzo classico inglese Cime Tempestose ricollocato nel medioevo giapponese.

Come si compone l’“arcipelago WP”?
Per definire la World Poetry, “un insieme di testi che utilizzano i versi all’interno di un riconoscibile sistema comunicativo-espressivo”, Francesco Benozzo, nel suo saggio usa l’immagine dell’arcipelago, dove le isole appartengono tutte a un sistema complesso ma distinguibile: “Ci accorgiamo dell’arcipelago conoscendone le tante isole”, scrive Benozzo, “nessun’isola è in sé un arcipelago.” Allo stesso modo, i testi dell’arcipelago della poesia hanno forma riconoscibile e una complessità che non è ostacolo, ma viatico. Contesto sempre in via di definizione, in cui le isole entrando in relazione si creolizzano, l’arcipelago WP è cartografato da Benozzo affrontando tre ordini di problemi: la forma, la transmedialità e le tematiche. L’arcipelago si compone, dunque, di poesie non identificabili perché note e/o inserite in qualche canone, ma per una forma riconoscibile da lettori appartenenti a culture e lingue diverse; poesie che mantengono un legame archetipico tra musica e testo, attivando un coinvolgimento empatico nei fruitori; poesie inserite in un contesto sempre in via di definizione, che incessantemente ricrea i propri contenuti.

Quale ricchezza pervade la prospettiva globale e in che modo essa consente di immaginare un futuro diverso e spazi comuni di convivenze egualitarie?
Nel suo saggio sulla World Literature e le sfide etiche del mondo interconnesso, Elena Lamberti, ripensando la WL come funzione, propone “un approccio ecologico rinnovato e una semantica alternativa e immaginifica che possa unire, in uno sforzo comune, persone, tecnologia e mondo naturale”, attuato attraverso la ricerca di nuove pratiche letterarie, esperienze che rimettono in gioco canoni e pratiche già teorizzati dalla critica letteraria e da quella postcoloniale in una prospettiva di connessione e corresponsabilità tra autore e fruitore. Portando due esempi italiani, Twitteratura di Paolo Costa, un esperimento di lettura critica che sfrutta la brevità costituzionale della piattaforma Twitter, e Alla ricerca del Negro. Appunti per una lettura del Negro del Narciso di Pietro Floridia e Sara Pour, una riscrittura teatrale in senso transmediale e multisensoriale, Lamberti dimostra come “oggi il nostro mondo interconnesso può farsi spazio da attraversare rivedendo ciò che sembriamo dare per scontato … partendo da una pluralità di orizzonti etico-politici capaci, insieme, di riorientare sguardi e ascolti”. L’immaginazione traduce il caos in energia creativa; la letteratura appare forza per la costruzione di altri mondi concreti e tangibili nel futuro, mondi da non soffocare nell’arida pratica della teorizzazione e della categorizzazione.

Del resto, il nostro libro è, prima di tutto, un atto d’amore per la letteratura che, purtroppo, vediamo sempre più soffocata nelle strettoie delle varie teorie critiche, da un lato, e costretta entro gli angusti steccati dei canoni e delle ripartizioni geografiche, dall’altro. Tutto sommato, lavorare in gruppo per costruire un volume di introduzione a una letteratura mondiale, globale ma non globalizzata, è stata anche una sfida nei confronti della realtà accademica in cui tutte e tutti noi ci muoviamo, realtà in cui vige una rigida suddivisione in settori scientifico-disciplinari e, di conseguenza, le letterature sono ancora rigidamente richiuse all’interno degli steccati nazionali. Con questo libro, ci piacerebbe sfatare l’opinione di Milan Kundera il quale, nel 2004, osservava, non certo a torto, che “è nelle università straniere che un’opera d’arte è più profondamente invischiata nella propria provincia d’origine”, proprio perché i professori di letterature straniere “per dimostrare la loro competenza di esperti, si identificano ostentatamente con il piccolo contesto nazionale delle letterature che insegnano”. Il lavoro fatto insieme alle autrici e agli autori di questo libro – docenti di letteratura inglese, francese, nordamericana, ispano-americana, lingua giapponese e filologia romanza – dimostra che un altro modo di affrontare la letteratura, “aprendo l’universo un po’ di più”, come chiedeva Salman Rushdie già nel 1982, al termine del suo saggio seminale Patrie immaginarie, è possibile.

Silvia Albertazzi insegna Letteratura dei paesi di lingua inglese all’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, dove coordina il Centro studi sulle letterature omeoglotte dei paesi extraeuropei (Clopex). Le sue pubblicazioni più recenti sono: Leonard Cohen. Manuale per vivere nella sconfitta (Paginauno, 2018) e Questo è domani. Gioventù, cultura e rabbia nel Regno Unito 1956-1967 (Paginauno, 2020).

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