“La vita segreta dei libri” di Santiago Posteguillo

La vita segreta dei libri, Santiago PosteguilloNon deluderà chi ama i libri, La vita segreta dei libri di Santiago Posteguillo, edito da Piemme. Posteguillo, professore di Lingua e letteratura inglese all’Università Jaume I di Castellón e uno dei maggiori scrittori di romanzi storici al mondo, con un milione di copie vendute solo in Spagna, ci accompagna infatti in un viaggio nello spazio e nel tempo, alla scoperta dei misteri e i retroscena dei protagonisti e delle opere che hanno fatto la storia della letteratura universale. Un susseguirsi di aneddoti sorprendenti, vicende di riscatto e successo ma anche di delusione e miseria. Come scrive nel Prologo, l’Autore si propone di «mostrare al lettore ciò che si nasconde al di là della facciata conosciuta della letteratura: gli autori, le loro vite, i loro capricci, i loro colpi di genio e, a volte, le loro miserie, ma che vuole rivelare anche i segreti dei libri intesi come oggetto.» Si dà infatti il caso che «un libro, dal momento in cui prende forma nella mente di un autore o di un’autrice a quando arriva nelle mani del pubblico, attraversi decine di piccoli istanti carichi di casualità o ispirazione, di felicità e spesso anche di sofferenza.»

Conosciamo così la vicenda dell’enigmatica morte di Christopher Marlowe, presunto vero autore delle opere di William Shakespeare: «La corrente dominante della critica letteraria inglese insiste nel considerare Shakespeare il vero autore di tutte le grandi opere che abitualmente gli vengono attribuite, ma c’è chi ha messo in dubbio che un uomo senza una formazione accademica come lui possa aver scritto simili capolavori. Per esempio Zeigler, nel 1895, e Webster, nel 1923, hanno espresso in modo rigoroso i propri dubbi in varie pubblicazioni accademiche. […] Curiosamente Shakespeare non pubblicò niente prima del 1593, anno della morte di Marlowe». O la storia di Auguste Maquet, dimenticato autore delle opere di Alexandre Dumas.

Posteguillo narra i retroscena della nascita di uno dei maggiori capolavori delle letteratura universale, Frankenstein: «Era l’estate del 1816. Mary Shelley e suo marito Percy Bysshe Shelley, anche lui scrittore, si recarono in una graziosa casa sulle montagne svizzere, proprietà del loro amico Lord Byron. Lì tutti gli ospiti poterono godere di una meravigliosa estate alpina colma di boschi, valli e sentieri che percorsero spesso per tenersi in forma, ammirando al contempo gli spettacolari paesaggi di quel territorio. Ma un giorno, durante una delle frequenti variazioni meteorologiche tipiche delle zone di montagna, le nubi oscurarono il sole e la pioggia interruppe le loro escursioni. E non soltanto per un giorno o due, tutt’altro; la pioggia sembrò trovarsi a suo agio tra quei verdi pendii e decise di restarci per un lungo periodo. Byron, la coppia degli Shelley e il resto degli ospiti decisero allora di ritrovarsi alla luce del fuoco che ardeva nel grande camino della casa in cui alloggiavano e lì, tra un calice di vino e l’altro, si dilettarono ascoltando Percy Shelley che leggeva ad alta voce i classici della letteratura universale. […]

Lo sappiamo con certezza perché ce lo racconta la stessa moglie, Mary Shelley, sia nel prologo della sua opera Frankenstein, sia nel suo diario personale, in cui giorno dopo giorno l’intrepida autrice si prendeva la briga di annotare tutte le attività a cui si dedicava […]. Così Mary ci riferisce come Lord Byron, in una di quelle interminabili giornate di maltempo estivo, senza la possibilità di camminare in montagna o di svolgere qualsiasi altra attività all’esterno, si alzò di colpo e lanciò una grande sfida. Si trattava di una sfida letteraria, né poteva essere diversamente vista la professione della maggior parte dei suoi ospiti.» Lord Byron propose «che ciascuno scrivesse un racconto, una storia horror; quella che, a giudizio di tutti, si fosse rivelata il racconto più terrificante, avrebbe vinto.

«Byron e Percy Shelley erano grandi scrittori, ma incostanti […], e ben presto abbandonarono penne, inchiostro e parole scritte per avventurarsi di nuovo tra i bei boschi alpini. Invece Mary Shelley, molto più disciplinata dei suoi amici maschi, non si lasciò distrarre o tentare dalle meraviglie della natura, ma preferì trattenersi in quella casa dove giorno dopo giorno, notte dopo notte, diede vita allo splendido romanzo intitolato Frankenstein, o il moderno Prometeo. Frankenstein non è, lo sappiamo bene, il mostro, o la “creatura”, secondo l’affettuosa definizione della stessa Mary Shelley, bensì Victor Frankenstein, il suo creatore, anche se si tende spesso a far confusione. Tuttavia il particolare più interessante di questa storia è che la scrittrice non creò il suo romanzo dal nulla più assoluto, ma fu senz’altro ispirata dalle atmosfere alpine che la circondavano (e montagne e freddo e neve compaiono, senza dubbio, nel libro da lei scritto, che si apre con un viaggio in una regione polare) e influenzata, in un modo o nell’altro, dalle meravigliose letture di grandi classici della letteratura che suo marito Percy continuava a proporre ogni sera accanto al camino.

Mary scriveva soprattutto di giorno, ma continuava a partecipare insieme agli altri alle serate di lettura collettiva in cui il marito li dilettava tutti con la sua maestria incantatrice […]. E in una sera speciale, dopo le lunghe camminate in montagna del gruppo e un’intensa sessione di scrittura di Mary, Percy scelse un capolavoro della letteratura spagnola tradotto in inglese: il Don Chisciotte della Mancia. Così riporta Mary Shelley nel suo diario sotto la data del 7 ottobre 1816: «Percy legge Curtius e Clarendon; scrivo; la sera Percy legge dal Don Chisciotte». E suo marito continuò a leggere ogni sera, per un mese intero, un mese eterno e indimenticabile per la storia della letteratura universale durante il quale Mary scrisse il suo grande romanzo. Finché il 7 novembre l’autrice annota sul diario: «Ho scritto. Percy ha letto Montaigne il mattino e la sera ha concluso la lettura del Chisciotte».

Mary Shelley s’innamorò della letteratura mediterranea e in particolare di Cervantes, forse per la passione con cui Percy leggeva quella traduzione del Don Chisciotte o per i suoi lunghi soggiorni nei paesi dell’Europa meridionale. Comunque sia anni dopo, tra il 1835 e il 1837, Mary Shelley avrebbe contribuito alla stesura di un’opera assai ben documentata e ancora adesso molto interessante: Vite dei più eminenti uomini della scienza e della letteratura in Italia, Spagna e Portogallo, in cui, tra molti altri autori italiani e portoghesi, si riportano anche le biografie di poeti, drammaturghi e romanzieri spagnoli come Boscán, Garcilaso de la Vega, Cervantes, Lope de Vega, Góngora, Quevedo o Calderón de la Barca. Del resto Mary Shelley non parlava solo inglese, ma anche francese, italiano, portoghese e persino spagnolo. E volete sapere come imparò lo spagnolo? “Semplice” […]: tanto le era piaciuto il Don Chisciotte e la lettura fatta dal marito nel 1816 che quattro anni più tardi lo riprese, dopo aver iniziato lo studio dello spagnolo, ma stavolta lo lesse direttamente in castigliano. E tale era la passione che Mary Shelley sentiva per quella grande opera, che il lettore curioso troverà un riferimento a Sancho Panza nel prologo di Frankenstein, così come potrà notare che il romanzo della Shelley presenta la propria storia ricorrendo a molteplici narratori (l’esploratore Walton, il dottor Frankenstein e addirittura lo stesso mostro); vale a dire, la tecnica narrativa utilizzata da Cervantes nel Chisciotte (narrato da qualcuno che ha trovato un presunto originale scritto in arabo che dev’essere tradotto da una terza persona e dove ciascuno toglie e mette a suo piacimento). E ci fosse ancora qualche dubbio, Mary Shelley decide di ricreare la famosa «Storia del prigioniero» (capitoli XXXIX-XLI del Don Chisciotte della Mancia, Parte prima) nel capitolo 14 della versione riveduta e corretta del suo Frankenstein (1831). Per farvi un’idea delle somiglianze: nella «Storia del prigioniero» del Chisciotte, un cristiano rapito in un paese musulmano viene riscattato da una musulmana disposta ad abbracciare la fede cristiana sposandosi con il prigioniero cristiano che aiuterà a scappare; mentre nel romanzo di Mary Shelley la mostruosa creatura del dottor Frankenstein conoscerà Safie, una musulmana il cui padre è detenuto nelle carceri parigine e sarà aiutato da un cristiano che ama la figlia.»

Un libro avvincente, questo di Posteguillo, il cui stile chiaro e spigliato ne rende la lettura davvero godibile e mai faticosa.

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