“La Villa dei Papiri. Una residenza antica e la sua biblioteca” di Giovanni Indelli, Francesca Longo Auricchio, Giuliana Leone e Gianluca Del Mastro

Prof. Giovanni Indelli, Lei è autore con Francesca Longo Auricchio, Giuliana Leone e Gianluca Del Mastro del libro La Villa dei Papiri. Una residenza antica e la sua biblioteca edito da Carocci: quale importanza riveste, per gli studi sull’antichità, la scoperta della Villa dei Papiri di Ercolano?
La Villa dei Papiri. Una residenza antica e la sua biblioteca, Giovanni Indelli, Francesca Longo Auricchio, Giuliana Leone, Gianluca Del MastroLa scoperta, del tutto casuale, della Villa di Papiri, avvenuta nel 1750, durante il regno di Carlo di Borbone, insieme con quella delle antiche città sepolte dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., i cui scavi erano cominciati nel 1738, si è rivelata di eccezionale importanza per vari motivi.

  • È stato riportato in luce, anche se parzialmente, un edificio romano di particolare rilievo per le sue dimensioni (aveva un fronte di 253 metri), una delle più sontuose ville del I secolo a.C. – gli ultimi tempi della Repubblica -, costruita a breve distanza dal mare. Aveva due peristili: uno, rettangolare, lungo circa 100 metri e largo 37, con 25 co­lonne sui lati maggiori e 10 sui lati minori e, al centro, una gran­de pi­scina, lunga più di 66 metri e larga più di 7; l’altro, quadrato, i cui lati misuravano circa 30 metri, con 10 colonne per lato e, al centro, una vasca. Gli scavi realizzati negli Anni Novanta del secolo scorso hanno permesso di individuare tre livelli al di sotto del piano raggiunto dagli scavatori borbonici, confermando la monumentalità dell’edificio, che, come abbiamo scritto nel libro, è «paragonabile a una villa imperiale, distribuito su più livelli per la migliore fruizione della posizione privilegiata che era stata scelta per la sua costruzione».
  • Nella Villa sono state trovate circa novanta sculture, in marmo e in bronzo, di diverse tipologie: figure stanti, busti, animali, piccole statue che decoravano fontane o giardini.
  • Nella Villa, ed è questo l’aspetto più importante, che la rende un unicum, sono stati scoperti circa 1.840 papiri carbonizzati, soprattutto, ma non esclusivamente, greci (tra i non molti papiri latini, 125 porzioni riconducibili a 60/80 rotoli, alcuni sono particolarmente significativi), che fanno ipotizzare un numero di rotoli compreso tra 650 e più di 1.100.

Quali testi contiene la biblioteca della Villa dei Papiri?
I papiri recuperati nella Villa, oggi conservati nella Biblioteca Nazionale ‘Vittorio Emanuele III’ di Napoli, appartengono all’unica biblioteca dell’antichità superstite, anche se non nella sua completezza e in parte deteriorata. I rotoli papiracei, databili tra il III secolo a.C. e, ovviamente, il I secolo d.C., restituiscono, più o meno frammentariamente, soprattutto opere della Scuola epicurea, insieme con opere di filosofia stoica e testi latini di contenuto vario; tutte le opere trovate erano precedentemente sconosciute.

  • Del fondatore della Scuola, Epicuro, sono state recuperate ampie parti dell’opera principale, La natura: venticinque rotoli riferibili a quest’opera restituiscono sezioni di nove (il II, il IX, l’XI, il XIV, il XV, il XXI, il XXV, il XXVIII e il XXXIV) dei trentasette libri che la costituivano e di altri libri di incerta collocazione, oltre a frammenti che le sono stati attribuiti per considerazioni di carattere paleografico, bibliologico, di contenuto e di lessico. Grazie ai papiri ercolanesi sono aumentate le nostre informazioni sull’intero sistema filosofico epicureo.
  • Non mancano testi di Epicurei più e meno vicini nel tempo al fondatore. Di Colote, del quale sapevamo molto poco, sono state trovate due opere antiplatoniche, Contro il Liside di Platone e Contro l’Eutidemo di Platone; di un completamente sconosciuto Carneisco si è conservato il II libro del Filista, un’opera che rientra nel filone encomiastico-commemorativo; di Polistrato, terzo capo della Scuola epicurea, del quale si conosceva poco più che il nome, sono stati trovati il primo libro dell’opera La filosofia, in frammenti scarni e malridotti, di carattere protrettico, ma non priva di un tono polemico, e Il disprezzo irrazionale delle opinioni popolari, un’opera particolarmente interessante come esempio delle polemiche esistenti tra le scuole filosofiche del III secolo a.C., che sembra avere diversi bersagli polemici, ma il cui tono è fondamentalmente antiscettico; di Demetrio Lacone, noto soltanto grazie alle citazioni di Diogene Laerzio, Sesto Empirico e Strabone, che lo indicavano come un epicureo illustre, sono state trovate opere che mostrano la molteplicità dei suoi interessi: poesia, filologia filosofica, teologia, matematica, geometria, etica.
  • L’autore più rappresentato nei papiri ercolanesi finora recuperati è Filodemo di Gadara (110 a.C. circa – poco dopo il 40 a.C.), già noto come epigrammista, che ha scritto opere di storiografia filosofica, etica, teologia, logica, musica, retorica, poesia, consentendoci di avere un quadro più completo della posizione dell’Epicureismo al riguardo e, nello stesso tempo, informandoci sui punti di vista di altri pensatori contro i quali ha polemizzato.
  • Tra le opere conservate nei papiri ercolanesi, due (Ricerche logiche e La provvidenza) sono di Crisippo, che forse è autore anche di altri due libri di cui non si conserva il titolo, delle quali una ha per argomento il sapiente stoico, l’altra è di contenuto etico.
  • Dei papiri latini, il principale è quello che conserva resti di un poema in esametri sulla battaglia di Azio, di autore sconosciuto, di epoca augustea; in un altro sono stati recentemente individuati frammenti di un’opera storica di Seneca Padre; un altro è di contenuto giudiziario. Sull’individuazione, in alcuni papiri, di versi degli Annali di Ennio, della commedia L’usuraio di Cecilio Stazio e, soprattutto, del De rerum natura di Lucrezio, proposte dal compianto Knut Kleve, gli studiosi non sono stati concordi.

Chi era il proprietario della Villa dei Papiri?
Il problema dell’identificazione del proprietario della Villa è uno dei più complessi negli studi di papirologia ercolanese e nel corso di più di un secolo sono state avanzate diverse proposte, da Lucio Calpurnio Pisone Cesonino a Lucio Calpurnio Pisone Cesonino Pontefice (suo figlio), Marco Ottavio, Appio Claudio Pulcro, i Mammii, i Balbi, Lucio Marcio Filippo, Gaio Memmio. Nonostante ognuna di queste ipotesi sia stata più o meno convincentemente motivata, allo stato attuale delle nostre conoscenze i nomi più plausibili sono quelli dei due Pisoni, perché è innegabile che debba esserci un legame tra il proprietario e l’autore più rappresentato nella biblioteca della Villa, Filodemo, del quale sono testimoniati i rapporti con Pisone padre. È probabile che Lucio Calpurnio Pisone Cesonino sia stato il proprietario della Villa durante la prima metà del i secolo a.C. e negli anni seguenti e che, alla sua morte (42 a.C. circa), la Villa sia passata al figlio, Pisone Pontefice, rimanendo proprietà della gens Calpurnia fino al 79 d.C.

Quali avventurose vicende hanno segnato la storia dei papiri, dal ritrovamento allo svolgimento, alla loro decifrazione?
La scoperta dei papiri ercolanesi è fissata, convenzionalmente, al 19 ottobre 1752, data sotto la quale la relazione di scavo registra il ritrovamento nel tablinum dei primi rotoli. In realtà, già precedentemente erano stati trovati pezzi carbonizzati, definiti da Winckelmann «corna di capra», ma fu solo per caso – stando alle testimonianze dell’epoca – che ci si rese conto di trovarsi di fronte a libri antichi. I papiri furono trovati in cinque punti diversi della Villa, ammucchiati per terra o conservati in uno stipo, in casse in scaffali. Proprio l’accidentalità dell’individuazione di questi pezzi di carbone come rotoli papiracei impedisce di calcolare quanti papiri furono effettivamente trovati e, ancor più, quanti fossero nella Villa al momento dell’eruzione. Tenendo conto della varietà dei luoghi di ritrovamento, si è supposto che la biblioteca fosse nelle stanze tra i due peristili (cioè il tablinum e le stanze adiacenti) e lì i libri erano consultati e studiati, mentre che fosse un deposito la piccola stanza dove fu ritrovato il maggior numero di papiri, indicata con il numero romano V nella pianta della Villa realizzata dall’ingegnere militare svizzero Karl Jakob Weber.

In primo luogo, si affrontò il problema dello svolgimento. I tentativi, fatti subito dopo la scoperta dei papiri, che si basavano su approssimative conoscenze chimiche, furono maldestri e di­strussero i rotoli. Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, che il Re conosceva per certe sue invenzioni, volle utilizzare il mercurio, con il risultato di distruggere i pezzi a lui consegnati.

Il sistema di apertura più rovinoso fu praticato su un gran numero di pa­piri da Camillo Paderni, Direttore del Museo di Portici, il quale ideò il metodo della ‘scorzatura’: dopo aver bagnato i papiri con sostanze che permettessero di staccare gli strati, li tagliava verticalmente in due e poi ‘scarniva’ (questo è il verbo che si legge nei documenti dell’epoca) l’interno dei due semicilindri, finché otteneva una porzione ampia di testo, e, nella migliore delle ipotesi, soltanto la parte più interna del rotolo, il ‘midollo’, rimaneva intatta e poteva es­sere tolta e in parte srotolata.

Per interrompere la realizzazione di questo procedimento estremamente aggressivo che portava alla per­dita di porzioni del rotolo, su richiesta del Re, Monsignor Asse­mani, prefetto della Biblioteca Vaticana, nel 1753 inviò a Portici lo scolopio ge­novese Antonio Piaggio, scrittore di latino e custode delle miniature nella Biblioteca Vaticana, che ideò la macchina con la quale sono stati svolti, senza danneggiarli, quasi tutti i rotoli oggi leggibili. Il papiro, appoggiato sulla parte inferiore della macchina, veniva sospeso tramite due nastri fissati alla parte superiore. Trovata la parte più esterna, se ne bagnava una piccola porzione con una colla che ammorbidiva e permetteva il distacco. Sulla parte esterna del papiro venivano incollati pezzetti di vescica di maiale o di pecora (la pelle dei battiloro), ai quali si incollavano fili di seta che, per mezzo di bi­scheri posti sulla parte superiore della macchina, riuscivano a distaccare la striscia di papiro foderata e a tenerla sollevata. Inizialmente, nella parte superiore c’era un rullo intorno al quale veniva arrotolata la parte svolta, perché Piaggio avrebbe voluto che il rotolo si conservasse intero in tutta la sua lunghezza; tuttavia questa modalità di svolgimento avrebbe reso problematica la sistemazione dei papiri aperti, per di più difficili da maneggiare e consultare: per questo motivo, nella macchina il rullo fu sostituito con un telaio quadrato di legno, sul cui piano superiore erano applicati i bischeri, e quando si raggiungeva la tensione massima tra la vaschetta inferiore e il telaio il papiro svolto era ta­gliato in pezzi di circa 50 cm, veniva incollato su una base di cartone leggero applicata a sua volta su una tavoletta di legno e sistemato in cornici dapprima di legno, successi­vamente di metallo.

Alla metà degli Anni Sessanta del secolo scorso fu sperimentato il metodo del bibliotecario viennese Anton Fackelmann: dopo aver ridato ai rotoli parte dell’elasticità per­duta con pennellate di succo di papiro, Fackelmann li sottoponeva all’azione termoelettromagnetica di un lume da tavola, grazie alla quale la coesione delle diverse volute diviene meno stretta; a questo punto con una pinzetta metallica staccava i fogli e chiudeva ermeticamente tra due la­stre di vetro le parti così svolte.

Dal 1983 e praticamente fino al 2003 è stato utilizzato un metodo messo a punto dai norvegesi Knut Kleve, Bryniulf Fosse e Fredrik C. Størmer, basato sull’uso di una miscela composta da gelatina e acido acetico, che, senza danneggiare le fibre papiracee, per­mette, appena asciugata, di staccare i fo­gli del papiro.

Negli ultimi anni, sono state sperimentate metodologie che permettono un approccio non invasivo ai papiri, consentendo di leggerli senza bisogno di srotolarli. Brent Seales, ricercatore dell’Università del Kentucky, nel 2007, ha effettuato i primi tentativi di lettura ai raggi X di alcuni frammenti dei papiri ercolanesi conservati presso l’Institut de France di Parigi. Dal 2014, il fisico Vito Mocella e i papirologi Daniel Delattre e Gianluca Del Mastro, applicando la tomografia a contrasto di fase, hanno potuto leggere lettere e sequenze di lettere che si trovano all’interno del rotolo e ricostruirne la struttura interna. Anche la tecnica della fluorescenza sta offrendo risultati incoraggianti, permettendo di analizzare la composizione degli inchiostri: si è appurato che negli inchiostri di molti papiri ercolanesi ci sono tracce di metalli e ciò consente di retrodatare l’utilizzo di questa pratica, che si considerava iniziata solo più tardi; inoltre, con la stessa tecnica, sarà possibile aumentare la leggibilità di molti rotoli, perché la fluorescenza fa risaltare solo gli elementi costitutivi degli inchiostri rispetto al fondo del papiro.

Per studiare un papiro ercolanese è necessario leggerlo, con l’aiuto di un microscopio. Poiché, negli ultimi anni, ci si è resi conto che molti papiri con numeri diversi sono pezzi di uno stesso rotolo originario (si tratta di porzioni esterne, separate dalle parti più interne dei rotoli con il metodo della ‘scorzatura’), il cui midollo è stato aperto con la macchina di Piaggio, bisogna ricollegare i diversi pezzi per cercare di ricostruire il rotolo e ricomporre porzioni di testo più estese. In questo lavoro di ricostruzione aiutano gli Inventari antichi, che, come abbiamo scritto nel libro, permettono di «capire le dimensioni dei papiri e le condizioni di conservazione prima di eventuali operazioni di svolgimento, rinumerazioni o spostamenti nella collezione che abbiano causato la perdita delle condizioni di partenza». Vanno tenuti presenti i disegni, cioè le riproduzioni dei papiri realizzate fin dai primi tempi successivi allo svolgimento dei rotoli, e un sussidio forniscono anche le eccellenti fotografie multispettrali, realizzate da Steven W. Booras (Institute for the Study and the Preservation of Ancient Religious Texts) e David R. Seely (Brigham Young University di Provo), che hanno avuto un ruolo fondamentale per un nuovo approccio ai papiri ercolanesi, rendendo leggibili lettere e segni non visibili a occhio nudo e, in generale, migliorando la leggibilità dei rotoli carbonizzati, consentendo cospicui progressi nella lettura e decifrazione dei testi; tuttavia, le fotografie non possono sostituire l’autopsia dell’originale, dal momento che spesso è difficile distinguere fibre, inchiostro e piccoli buchi, leggere nelle pieghe del papiro carbonizzato e riconoscere i diversi strati. Attualmente è sperimentata la tecnica denominata Reflectance Transformation Imaging, che, permettendo di illuminare ogni immagine del papiro da diverse prospettive, attraverso la fusione dei diversi punti di illuminazione consente di distinguere gli strati e leggere le lettere che si trovano nelle pieghe.

Quale importanza hanno avuto i papiri ercolanesi nella storia e nella cultura europea dal XVIII al XX secolo?
La scoperta dei papiri ercolanesi ebbe un’eco immediata in Europa e suscitò molto interesse tra i regnanti e gli uomini di cultura, perché per la prima volta manoscritti così antichi venivano alla luce (la scoperta dei papiri in Egitto avvenne molto più tardi). Carlo di Borbone vide in Ercolano soprat­tutto una miniera di opere d’arte in grado di rivaleggiare con le cospicue raccolte papali; la ricerca degli og­getti e il loro restauro erano compiuti con lo scopo di presentarli per au­mentare la gloria del Re: le antichità e il Museo di Portici (del quale oggi resta il cancello in ferro battuto, con l’iscrizione, in lettere dorate, Herculanense Museum) furono al servizio dell’immagine della monarchia e la Corte ebbe un atteggiamento di assoluta chiusura nei con­fronti dei visitatori ammessi nelle sale del Museo, i quali non potevano disegnare o scrivere niente. Ovviamente lo stesso atteggiamento fu tenuto nei confronti dei papiri, nei quali il mondo della cultura si aspettava di leggere opere perdute delle letterature greca e latina. Non mancarono reazioni di delusione, quando si cominciò a pubblicare i testi e si capì che erano opere di una scuola filosofica; tuttavia, nello stesso tempo, si lamentò l’estrema lentezza con la quale si procedeva nell’edizione e il voler affidare tale compito esclusivamente a eruditi italiani. Se la comparsa, nel 1793, del primo volume di edizioni dei testi ercolanesi, Herculanensium Voluminum quae supersunt (la cosiddetta Collectio Prior), segna l’inizio della Papirologia (l’ultimo volume fu pubblicato nel 1855), soltanto con la pubblicazione della seconda serie di edizioni, Herculanensium Voluminum quae supersunt Collectio Altera (1862-1876) gli studi sui papiri ercolanesi si svilupparono, sia in Italia sia in altri Paesi, soprattutto la Germania. L’interesse per i testi conservati nei papiri ercolanesi non venne mai meno, anche nella prima metà del Novecento, ma è soltanto con l’infaticabile lavoro del compianto Marcello Gigante, fondatore, nel 1969, del Centro Internazionale per lo Studio dei Papiri Ercolanesi (a lui intitolato dal 2001), che i testi ercolanesi hanno ricevuto la meritata considerazione negli studi di storia della filosofia antica, di storia del libro e di letteratura, come testimonianze uniche al mondo. Il Centro collabora con la Biblioteca Nazionale ‘Vittorio Emanuele III’ di Napoli, con il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Napoli Federico II e con il Parco archeologico di Ercolano, il Philodemus Translation Project, la Herculaneum Society, il Gruppo di ricerca TELEPhE, l’Università di Würzburg, il CNRS.

A che punto è il lavoro di ricostruzione e lettura dei rotoli ercolanesi?
Oggi sono numerosissimi gli studiosi italiani e non, giovani e meno giovani, che si occupano dei papiri ercolanesi, frequentando le sale dell’Officina dei Papiri ercolanesi nella Biblioteca Nazionale ‘Vittorio Emanuele III’ di Napoli, e pubblicano testi ancora inediti, ripropongono in edizioni modernamente concepite testi già editi, indagano, sul fondamento dei papiri ercolanesi, problematiche del pensiero antico. Mi limito a ricordare, come pubblicazioni che curiamo a Napoli, la Rivista «Cronache Ercolanesi», iniziata nel 1971, della quale quest’anno uscirà il volume 50 (sono stati pubblicati anche cinque Supplementi e quest’anno uscirà il sesto), la Collezione di testi ercolanesi ‘La Scuola di Epicuro’, iniziata nel 1978, della quale sono stati pubblicati diciannove volumi (e cinque Supplementi), il Catalogo dei Papiri Ercolanesi (1979, con due Supplementi), poi sostituito da Chartes, la versione multimediale messa on-line e aggiornata.

Quali prospettive per lo studio dei testi ercolanesi?
Marcello Gigante fondò il Centro Internazionale per lo Studio dei Papiri Ercolanesi per intensificare la ricerca scientifica sui Pa­piri Ercolanesi. Possiamo dire che, in oltre mezzo secolo, il fervore di studi è stato sempre più intenso in Italia e in altri Pae­si e ormai non è più nemmeno immaginabile occuparsi dell’Epicureismo o delle problematiche del pensiero di età ellenistica senza tener conto dei testi conservati nei Papiri ercolanesi.

Giovanni Indelli è Professore ordinario di Papirologia nel Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Dal 2002 è Segretario del Centro Internazionale per lo Studio dei Papiri Ercolanesi ‘Marcello Gigante’ e, dal 2017, è condirettore di «Cronache Ercolanesi». Ha pubblicato le edizioni dei papiri ercolanesi contenenti l’opera di Polistrato Il disprezzo irrazionale delle opinioni popolari e le opere di Filodemo L’ira e Le scelte e i rifiuti, oltre a numerosi contributi sui papiri ercolanesi e sulla storia della Papirologia ercolanese.

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