“La verità sulla menzogna. Dalle origini alla post-verità” di Liliana Dell’osso e Luciano Conti

Prof.ssa Liliana Dell’osso, Lei è autrice con Luciano Conti del libro La verità sulla menzogna. Dalle origini alla post-verità pubblicato da ETS: cos’è la menzogna?
La verità sulla menzogna. Dalle origini alla post-verità, Liliana Dell'osso, Luciano ContiIl Grande Dizionario della Lingua Italiana definisce la menzogna come “Affermazione contraria a ciò che è o si crede corrispondente a verità, pronunciata o propalata con l’intenzione esplicita di ingannare”. Gli antichi la definivano “locutio contra mentem”, cioè affermazione contraria al pensiero e più recentemente D.L. Smith ha estremizzato il concetto di menzogna in una definizione omnicomprensiva: “una qualsiasi forma di comportamento la cui funzione è fornire agli altri false informazioni, o privarli di informazioni vere”. In tal modo, tutto ciò che non è genuino, verbale o non verbale, conscio o inconscio, esplicito o implicito, è menzogna. È a questa accezione più ampia che abbiamo fatto riferimento nel nostro saggio.

Per affrontare l’argomento, è stato necessario porci in un’ottica scientifica, non tenendo conto di pregiudizi moralistici. Cosa del resto ovvia se teniamo conto che la natura, allo scopo di garantire la sopravvivenza dell’individuo e della specie, fa ampiamente ricorso alla menzogna, all’inganno. Non solo gli animali hanno sviluppato caratteristiche tali da rendersi quasi invisibili ai loro predatori (e per compenso i predatori, per poter sopravvivere, hanno sviluppato, a loro volta, sistemi percettivi capaci di riconoscere l’inganno) o “indossano” le loro “livree” più attraenti per vincere la concorrenza dei rivali nella stagione degli amori. Anche il mondo vegetale si “maschera” per raggiungere gli stessi fini, come le orchidee che si “travestono” da femmine di imenottero per attirare gli imenotteri maschi, ricoprirli di polline e, in tal modo, fecondare altre orchidee. La fantasia della natura, in questo campo, non si è risparmiata! E poteva essere l’uomo da meno, visto che le sue possibilità di ingannare e di mentire non si limitano alle forme e ai colori ma possono avvalersi di uno strumento insuperabile, il linguaggio? Dovremmo perciò meravigliarci se l’uomo mente? Se ha fatto della menzogna un’arte? Non c’è campo in cui si esplicano le attività dell’uomo che sia al riparo dall’inganno e dalla menzogna.

A quando risalgono le origini della menzogna?
La menzogna esiste da quando esiste la verità, menzogna e verità sono una diade inscindibile, è come dire che esiste l’ombra perché c’è la luce. Se così non fosse, non avrebbe senso cercare di instillare nella mente dei nostri figli la necessità di dire la verità, mentre, al contempo, raccontiamo loro menzogne non solo con le fiabe, ma anche fingendo, ad esempio, che ci faccia piacere la visita di un parente o di un conoscente di cui fino a poco prima parlavamo male. E poi ci meravigliamo che essi, già a tre-quattro anni, siano abili mentitori e che sviluppino ulteriormente quest’abilità negli anni successivi. Non bisogna dimenticare, infatti, che mentire è anche uno strumento importante nel rapporto sociale poiché per mentire è necessario interagire con altre persone, dialogare con loro, capire i loro punti di forza e di debolezza, sapere che cosa possano essere disposti a credere, insomma comprenderle affinché la menzogna, l’inganno, vadano “a buon fine”.

Quale ruolo svolge la menzogna nello sviluppo dell’individuo?
La menzogna è così finemente intrecciata con le nostre esperienze da ricadere nell’invisibile categoria dell’ovvio, al punto da scotomizzarne la presenza. È un comportamento naturale, che si instaura precocemente e non ha bisogno di un particolare apprendimento. È utile nel processo di crescita, tanto personale quanto sociale, facilitando i rapporti interpersonali e la vita di relazione. Potremmo dire che la natura stessa è stata in un certo senso maestra nell’arte della menzogna con i suoi numerosissimi esempi di mimetismo, non solo animale ma anche vegetale. Questa osservazione è molto importante poiché testimonia che il comportamento menzognero sia stato selezionato dall’evoluzione in quanto funzionale all’adattamento. Il fatto che un bambino, già a quattro anni, sia in grado di mentire con successo dimostra la precocità dell’insorgenza dell’attitudine a mentire.
La menzogna inizia presto il suo cammino, non appena il bambino incomincia a capire che le regole dei genitori possono essere violate e che, violandole, può acquistare nuove conoscenze. Piaget, che ha studiato a lungo le tappe evolutive del bambino, sostiene che «la tendenza alla bugia è una tendenza naturale, la cui spontaneità e generalità dimostra quanto essa sia costitutiva del pensiero egocentrico del bambino» tanto che dovremmo preoccuparci se non fosse in grado di mentire e/o di distinguere una menzogna da una verità poiché questo può indicare la presenza di un disturbo cognitivo o di un disturbo dello spettro autistico.

Esiste un linguaggio segreto della menzogna?
Se, come dice a Pinocchio la Fatina dai capelli turchini, le bugie avessero veramente le gambe corte o il naso lungo, la menzogna avrebbe vita breve. Nella realtà questo non accade e, anzi, i mentitori incalliti sono proprio quelli che appaiono più credibili e convincenti. Nel tentativo di cogliere i segnali, anche i più sfumati, che “incastrino” il mentitore (soprattutto in ambito giudiziario), sono stati messi a punto strumenti (il più noto è il lie detector o poligrafo) che registrano anche minime variazioni dei diversi parametri biologici verosimilmente correlate al mentire (frequenza cardiaca e respiratoria, sudorazione ecc.): sfortunatamente, il grande numero di falsi positivi e di falsi negativi ne limita fortemente l’attendibilità tanto che, in genere, i risultati che essi forniscono non sono accettati come prove in tribunale. Neppure indagini biologiche, come l’elettroencefalogramma e la risonanza magnetica funzionale, risultano capaci di discriminare in maniera sicura chi mente da chi è sincero.
Anche se, nell’opinione generale, scoprire il mentitore dovrebbe essere piuttosto facile – cosicchè solo pochi sciocchi o sprovveduti cadrebbero nei suoi inganni – in realtà le cose non vanno così. D’altra parte, nella vita quotidiana, partiamo dal preconcetto che l’interlocutore sia sincero, a meno che non abbiamo specifici motivi per pensare che voglia ingannarci: altrimenti, vivremmo in una condizione paranoidea incompatibile con la vita sociale.

Può accadere che la menzogna sia inconsapevole: quando e perché la memoria ci inganna?
La memoria è il filo conduttore della nostra vita, è il deposito delle esperienze del passato che influiscono sul nostro modo di essere di oggi e ci permettono di prevedere il futuro. Senza la memoria saremmo in ogni istante costretti a decifrare le esperienze che ci scorrono davanti agli occhi come se ciascuna fosse assolutamente nuova, senza punti di riferimento o chiavi di lettura. Il funzionamento della memoria è estremamente complesso tanto che non ci meraviglierà certamente il fatto che un meccanismo tanto complesso e sofisticato possa andare incontro a disturbi di vario genere e gravità a causa sia di danni organici cerebrali, sia, anche, di disturbi psichici. I disturbi della memoria dovuti a danni organici cerebrali sono di prevalente interesse neurologico. I disturbi su base psichica si osservano nel corso di disturbi mentali quali i disturbi dell’umore e le psicosi e possono assumere le caratteristiche di allucinazioni della memoria, cioè produzioni di ricordi privi di qualsiasi riscontro reale, o di illusioni della memoria, cioè rievocazione in maniera distorta (ad esempio attribuzione di significato diverso) di eventi realmente accaduti. Un caso particolare di allucinazione della memoria è la sindrome della memoria recuperata, di cui riportiamo un esempio significativo nel saggio.

Che rapporto esiste tra menzogna e sessualità?
A costo di apparire cinici, non possiamo sottacere che il fine ultimo della sessualità è la conservazione della specie ma per mascherare questa prosaica verità tiriamo in ballo quel sentimento elevato, spirituale, dolce, che chiamiamo amore: corteggiamenti, ritrosie, finzioni maliziose ecc. sono strategie per dissimulare il desiderio e, al tempo stesso, per aumentare l’eccitazione del partner, rendere più appassionato e gratificante il rapporto e aumentare in questo modo le probabilità di conservazione della specie.

Non possiamo nascondere che l’amore è certamente uno dei sentimenti più simulati e più traditi. L’incontro, ad esempio, è caratterizzato da una serie di rimandi tra ciò che siamo, ciò che pensiamo di essere, come riteniamo che l’altro ci veda e come vorremmo che l’altro ci vedesse. Si mettono quindi in moto, inevitabilmente, una serie di comportamenti volti ad apparire nella luce migliore. Per mantenere un certo livello di attrazione e di desiderio, per far continuare un amore, o per nascondere i tradimenti, le bugie e le iperboli si sprecano: “ti amo da morire”, “mi spezzi il cuore”, “non penso che a te”, “sei la luce dei miei occhi”, “non amo che te”… e chi più ne ha più ne metta! Senza considerare il linguaggio non verbale, come il trucco, l’abbigliamento ecc. che sono un forte elemento di attrazione sessuale.

Ma la vera grande menzogna dell’amore è la gelosia. La gelosia non è amore, non è nemmeno desiderio sessuale, è desiderio di possesso, è oggettificare, reificare l’altro, è “Dio me l’ha dato e guai a chi lo tocca”, che deve essere mio anche se l’ho gettato in un angolo, se lo maltratto, se non l’uso più, se lo lascio morire.
È menzognero il luogo comune che se non c’è gelosia non c’è amore! La gelosia (brama, desiderio di possesso, secondo il suo significato letterale) viene fatta passare per amore ma spesso è la morte dell’amore.

Nell’epoca attuale la menzogna riveste un ruolo decisivo nel flusso dell’informazione: viviamo realmente nell’era della post-verità (post-truth)?
Oggi, nell’era digitale, l’informazione ha cambiato pelle e non sempre in meglio. Mai, nella storia dell’umanità, gli uomini sono stati immersi nell’informazione come oggi: potremmo dire che ne siamo letteralmente sommersi. Dovremmo esserne felici, pensando che quanto maggiore è l’informazione cui possiamo accedere tanto minore è la possibilità di essere ingannati, manipolati, da coloro che ci governano, o che gestiscono l’economia mondiale, o che amministrano la giustizia, la sanità o altro. L’informazione digitale è diventata ormai l’informazione per eccellenza, un’informazione libera da ogni vincolo o controllo, della quale ciascuno di noi può essere sia il fruitore sia il produttore e che, di fatto è diventata, troppo spesso, disinformazione. Sul web, infatti, passa ormai una mole tale di notizie che è praticamente impossibile (e forse inutile) filtrare per separare il vero, o almeno il verosimile, dalle cosiddette bufale (o fake news). Di queste caratteristiche si sono resi conto i politici più esperti, che si sono affidati ai migliori “guru” del web e proprio recentemente, nel 2016, ne abbiamo potuto vedere gli effetti nella campagna referendaria sulla Brexit in Inghilterra e, ancor più, nelle elezioni presidenziali americane, in cui sono state sparate menzogne colossali che sembrerebbero aver condizionato l’esito del voto grazie a un meccanismo che è stato definito “post-truth”, termine che definisce situazioni in cui non è importante se ciò che viene affermato sia o meno la “verità” (e generalmente non lo è) ma è importante l’effetto emotivo che produce. A parte la novità del termine – che a ben vedere sta a quello di “menzogna” come “operatore sanitario” sta a “netturbino” –, non possiamo non sottolineare che diffondere false verità, bufale, a fini politici è una cosa vecchia come il mondo: già Platone l’ammetteva per i governanti e Machiavelli la consigliava al principe. Quello che è nuovo è che, nell’era digitale, l’informazione si è, per così dire, democratizzata, tutti possiamo essere, ad un tempo, utenti e produttori di informazione e questo, inevitabilmente, ne ha abbassato il livello di qualità al punto che, ormai, la qualificano, più che i contenuti, il grado di emotività, di clamorosità che contiene. E quanto più le informazioni, autentiche o meno, colpiscono, tanto più vengono “taggate” e tanto più si diffondono, diventando “virali” … e più si diffondono, maggiori sono le probabilità che facciano presa sugli utenti influenzandone i giudizi.

Il boom della post-verità e delle fake news ha allarmato personaggi autorevoli che hanno invocato un controllo istituzionale dell’informazione che circola sul web. Per iniziativa di privati, sono stati creati siti di fact-checking della cui efficacia è lecito dubitare in quanto la verifica arriva dopo che la notizia (falsa) si è diffusa e ha sortito il suo effetto.

Come proteggerci dalla menzogna?
Nella comunicazione umana hanno sempre avuto spazio le menzogne e le mezze verità, che trovavano un parziale compenso nella credibilità delle autorità tradizionali. Senza contare che in passato la struttura sociale era molto più semplice, i ruoli più chiaramente definiti, la quantità di informazione più scarsa, la partecipazione sociale più limitata. Abbiamo appena detto che già Platone ammetteva la menzogna per i governanti ma, man mano che il potere si è “democratizzato”, si è democratizzata anche la menzogna per cui tutti ormai si sentono autorizzati a mettere in rete, senza alcun controllo, fake news protetti dall’anonimato del web e con la quasi certezza dell’impunità. E ben sappiamo che, una volta che la fake news ha iniziato il proprio cammino, ogni smentita è inutile, se non controproducente poiché arriva necessariamente quando ormai l’impatto emotivo c’è già stato ed una smentita finirebbe per rafforzarne il ricordo che, nella marea di informazioni che circolano, si sarebbe, altrimenti, rapidamente sbiadito.

Dobbiamo comunque dire che l’informazione, vera o falsa che sia, trova un’autolimitazione vuoi nel pregiudizio di conferma (confirmation bias), cioè nell’aderenza delle informazioni agli stereotipi e ai pregiudizi del gruppo sociale di appartenenza: ciascuno di noi, infatti, ha un proprio “universo” informativo che prende vita molto precocemente nel corso dell’inculturazione e questo porta a considerare vere le informazioni che ci confermano nelle nostre idee preconcette e false le altre. Un altro meccanismo in gioco è quello delle casse di risonanza (echo chambers), di spazi autoreferenziali in cui si ha a che fare con persone che la pensano allo stesso modo – per cui le informazioni, le credenze, le idee, vengono amplificate, rinforzate dalla comunicazione ripetitiva – e nei quali opinioni e idee differenti o contrastanti vengono censurate.
L’unica difesa risiede nella cultura, nell’educazione al pensiero critico, unico baluardo all’azione della menzogna.

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Non perderti le novità!
Mi iscrivo
Niente spam, promesso! Potrai comunque cancellarti in qualsiasi momento.
close-link