“La verità di carta. A cosa servono gli archivi?” di Federico Valacchi

Prof. Federico Valacchi, Lei è autore del libro La verità di carta. A cosa servono gli archivi?, edito da Graphe.it. «Dentro agli archivi c’è di tutto. C’è molto di più di quanto lascino intendere inespugnabili luoghi comuni intrisi di polvere e fatiscenza», scrive nel libro: che importanza rivestono, nello scenario attuale dell’informazione, gli archivi?
La verità di carta. A cosa servono gli archivi?, Federico ValacchiLa parola archivio, soprattutto ai nostri tempi, ha molte possibili declinazioni. Si tende a definire archivio qualsiasi aggregazione di dati, soprattutto se digitali. L’archivio in senso proprio, come lo si definisce tecnicamente, ha però caratteristiche particolari che lo legano alla natura del soggetto che lo produce e ne determina per così dire l’orientamento. Gli archivi intesi in questo senso sono contenitori polifunzionali di informazione qualificata in quanto contestualizzata. La distinzione sull’accezione del termine archivio non è quindi una semplice resistenza accademica ma ci serve per orientarci dentro a una marea informativa montante, che trascina con sé sistemi di documenti non sempre affidabili. Si parla al riguardo di invented archives, cioè di archivi costruiti per rappresentare un determinato punto di vista, utilizzando selezioni documentarie aggregate tra loro a prescindere dall’effettiva provenienza. Un caso del genere è quello del September 11 digital archive, potente montaggio commemorativo degli attentati del 2001, capace di suscitare emozioni e reazioni in grado di orientare le emozioni e il consenso degli utenti in una precisa direzione.

Premesso che un archivio non è mai un neutrale specchio di presunte verità, in assenza di trattamento archivistico e di adeguata contestualizzazione (tecnicamente rispetto del principio di provenienza) si perde l’affidabilità e la credibilità dei documenti. In ultima analisi l’importanza degli archivi e direi dell’archivistica nello scenario dell’informazione risiede soprattutto nel richiamo costante alla critica delle fonti e alla valutazione dei contesti.

Il che non significa naturalmente che non ci si debba occupare anche di archivi “impuri” perché ogni fenomenologia documentaria ha la sua dignità e pone i suoi peculiari problemi.

Che funzioni svolgono gli archivi?
Gli archivi ci interessano prima di tutto come cittadini perché riguardano la nostra vita, i nostri diritti e i nostri doveri.

L’archivio è per definizione polifunzionale. Gli archivi in senso proprio, come li abbiamo definiti, nascono con finalità giuridiche e amministrative, l’uso storico arriva molto più tardi e in maniera fortemente mediata. La funzione naturale di ogni archivio quindi è quella di sostenere, certificare e legittimare determinate attività e di garantire efficienza e trasparenza alle organizzazioni o alle persone che producano documenti a supporto della propria attività. e usa archivi. È decisamente fuorviante immaginare l’archivio soltanto come forma di memoria organizzata e di accoppiare agli archivi il senso del passato. Un simile approccio, purtroppo diffuso, impedisce di capire l’utilità e la vera natura dell’archivio stesso che è uno strumento del presente per il presente. Gli archivi, tutti gli archivi sono figli di presenti.

Naturalmente col tempo i documenti maturano anche una rilevanza storica di grande importanza ma questo aspetto come dicevo è per certi versi secondario nel ciclo vitale di un archivio. L’archivio storico, insomma, non è l’idea principale che dobbiamo avere dell’archivio e questa è la ragione, tra l’altro, per cui ritengo che sia improvvida la normativa che confina gli archivi tra i beni culturali. Considerare un archivio un “semplice” bene culturale ne depotenzia la portata informativa, nel momento stesso in cui si perde di vista la sua utilità quotidiana.

Da cosa nasce il disprezzo per gli archivi?
Non parlerei di disprezzo, mi sembra una parola forte. Diciamo piuttosto disinteresse e disinformazione. Le cause sono molte ma credo vadano ricercate intanto in un tipo di comunicazione e attenzione archivistica che ha sempre privilegiato la dimensione storica finendo con il chiudere gli archivi in recinti lontano dalla vita quotidiana. La dimensione storica ha un ruolo importante e, come diremo tra poco, affascinante ma fintanto che non riusciremo a trasmettere l’idea dell’archivio strumento, dell’archivio utile, non si può pensare che questo trend negativo si inverta. Per dare valore agli archivi bisogna che la comunicazione archivistica ribalti percezione e paradigmi, partendo dall’uso quotidiano e dall’importanza vitale degli archivi nella società. Se un archivio non funziona il problema è del cittadino non dell’archivista, ma il cittadino deve sapere che l’archivio lo riguarda e non è patrimonio di pochi studiosi. In definitiva quindi per ribaltare percezioni di maniera e infiniti luoghi comuni intorno agli archivi bisognerebbe partire dall’inizio, insegnando ai cittadini la funzione concreta dei documenti che producono, usano e conservano. In questo modo credo che si otterrebbe la giusta attenzione da parte di un’opinione pubblica che peraltro non può essere criminalizzata se si tiene a distanza da cose che non capisce e non sente sue perché le si è sempre rappresentate come qualcosa di avulso dalla vita vera.

In che modo gli archivi possono coinvolgere e appassionare?
Ci si appassiona soprattutto a ciò che è utile e a ciò che ci offre risposte. Quindi anche soltanto recuperare un documento utile a concludere una transazione può suscitare più di un’emozione. La cultura dell’efficienza, della trasparenza e della democrazia, poi, si basano sugli archivi in quanto strumenti di certificazione e identità e anche questa mi sembra un’emozione non da poco. Il nostro monumentale archivio nazionale, l’Archivio Centrale dello Stato all’EUR, dove si conserva l’originale della costituzione è un esempio eccellente in questo senso. Credo che ogni cittadino lo dovrebbe vedere, anche senza esplorarlo, perché suscita davvero sensazioni identitarie forti. L’identità del resto non si costruisce sulla retorica della memoria ma sul confronto con i diritti, i doveri, le aspirazioni e i sogni di cui di documenti sono il veicolo per eccelenza.

L’emozione dell’archivio può poi essere più intima, più personale e manifestarsi in quella esplorazione dello spazio tempo che è la ricerca degli archivi storici. Anche in questo caso non mancano formule retoriche che appiattiscono il senso di questa ricerca, ma se riusciamo a farne a meno è indubitabile che cercare dentro gli archivi possa essere un’avventura imprevedibile.

La fantasia è una buona compagna di viaggio quando ci si muove in archivio, perché molto spesso saper immaginare significa comprendere. Nella consapevolezza però che negli archivi non ci sono verità incise sulla pietra ma segnali di verosimiglianza, indizi per interpretare il passato.

Verità di carta, appunto, perché la verità non è una categoria archivistica ma una costruzione possibile, così come la memoria che non è una soltanto ma tante quante sono le sensibilità che la cercano.

“Finché non raggiungerai la verità, non potrai correggerla. Ma se non la correggi non la raggiungerai. Nel frattempo non rassegnarti”, scriveva del resto Saramago…

Federico Valacchi è ordinario di archivistica all’Università di Macerata. Studia il rapporto tra tecnologie dell’informazione e archivi anche in riferimento al web e alle problematiche di conservazione di lungo periodo. Si è interessato, inoltre, al ruolo politico e sociale degli archivi e della disciplina archivistica, pubblicando monografie e articoli al riguardo.

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