
Tra i casi più emblematici analizzati in questo volume segnaliamo: la spazializzazione del corpo femminile al momento dell’allattamento nelle regioni dell’Italia meridionale (la credenza cioè nell’esistenza di un latte di diversa qualità, di spalla e di cuore, in ragione della sua provenienza); la contiguità tra il sangue versato dai flagellanti di Nocera Terinese e di Verbicaro in Calabria e i germogli (di grano, d’orzo o di leguminose) coltivati dalle donne due settimane prima di Pasqua. Questa contiguità, presente in altre aree culturali come il Nepal o l’Iran, risulta da un’inversione di genere: gli uomini fanno colare ritualmente il loro sangue una volta l’anno (ciò che alle donne in età fertile arriva naturalmente ogni mese); le donne mimano l’attività di coltivazione maschile ottenendo tuttavia un prodotto senza frutto e di durata effimera. Un altro caso interessante di manipolazione simbolica del corpo attraverso l’inversione di genere è quello del travestimento rituale dello zio materno tra gli Iatmul de medio Sepik in Nuova Guinea. Sono le corrispondenze formali che consentono la comparazione tra questi casi in apparenza così diversi.
Come si articola la riflessione sull’atomo di parentela?
L’atomo di parentela, elaborato da Claude Lévi-Strauss negli anni 1950, costituisce una vera e propria svolta copernicana negli studi antropologici. Con questa configurazione trova soluzione il cosiddetto complesso avuncolare, cioè la constatazione del ruolo particolare che in quasi tutte le culture svolge lo zio materno nei confronti del nipote uterino, figlio della sorella. In pratica, secondo Lévi-Strauss, lo zio materno non si aggiunge alla famiglia biologica padre-madre-figlio ma è lì da sempre in quanto donatore di donne, dando luogo a quattro coppie di relazioni in opposizione complementare tra di loro in ragione del segno (positivo o negativo) con cui si qualificano gli atteggiamenti tra di loro: la coppia fratello-sorella opposta a quella marito moglie, il rapporto zio materno-nipote uterino opposto a quello tra padre e figlio. L’atomo di parentela ha consentito a Lévi-Strauss di immaginare il passaggio dallo stato di promiscuità primitiva allo stato di società regolato dalla proibizione dell’incesto e dall’esogamia. L’atto fondatore della società umana viene riferito alla rinunzia da parte di un individuo di accoppiarsi con le donne del proprio gruppo rendendole disponibili per gli uomini di un altro gruppo con cui avviare l’avventura della reciprocità. Di qui la pacificazione di gruppi le cui relazioni erano state fino a quel momento bellicose. Un’intuizione di questo processo l’aveva avuta l’antropologo inglese Eduard Burnett Tylor coniando l’aforisma “It is better to marry out than to be killed out” (“È meglio sposarsi fuori che esser fatti fuori”). Nel volume si compara l’ipotesi di Lévi-Strauss con quella formulata da Freud in Totem e tabù e si analizzano alcune derivazioni dell’atomo di parentela lévistraussiano (segnatamente l’atomo di parentela spirituale), nell’orizzonte cristiano come in altre culture, per esempio quella dei Na (o Moso) della Cina Himalaiana.
Quali rilievi etnografici consentono di approfondire la proibizione dell’incesto?
Negli ultimi decenni la Regola della proibizione dell’incesto è stata approfondita attraverso nuovi rilievi etnografici risultanti in larga misura dagli studi di Françoise Héritier sull’incesto del secondo tipo, cioè sui rapporti sessuali tra due consanguinei dello stesso sesso che condividono lo stesso partner. Questo concetto ha consentito di individuare il corto circuito incestuoso in società lontane nel tempo (come quella egiziana o ebraica), in società di interesse etnologico (come i Samo del Burkina Faso) ma anche nel mondo contemporaneo, in particolare nello studio delle nuove forme di parentela derivanti dalla procreazione assistita, dalle famiglie allargate o omosessuali. Altri rilievi etnografici sono stati possibili attraverso la nozione di incesto del terzo tipo (spirituale o simbolico), che noi stessi abbiamo messo in campo, tra non consanguinei di sesso diverso. Nell’orizzonte cristiano sono i rapporti proibiti in seno alla parentela spirituale, per esempio tra compari e comari. La Regola della proibizione dell’incesto si riproduce ai giorni nostri attraverso l’immaginario consumato nei media, dai cartoni animati alle soap-opera.
Quali forme del dono sono, dal punto di vista antropologico, tra le più interessanti?
Tutte le forme del dono sono interessanti, anche quelle descritte un secolo fa nel famoso Saggio sul dono di Marcel Mauss, se non altro per il fatto che alcune nuove ipotesi teoriche hanno consentito di vederle sotto una luce diversa. Particolarmente proficuo si è rivelato in questi ultimi anni lo studio del dono nelle società del mondo antico, a partire dalla recente scoperta che i tre momenti del dare, del ricevere e del ricambiare isolati da Mauss a partire dalle teorie dei Maori erano stati espressi esattamente negli stesi termini da Seneca nel De Beneficiis a proposito del motivo, di origine greca, delle Tre grazie. Le osservazioni di Lévi-Strauss nella sua Introduzione al Saggio sul dono di Mauss rimangono per noi ancora valide e ci hanno consentito di studiare “Lo scambio attraverso il dono” soprattutto nelle forme di parentela spirituale. Lo studio del dono rimane ai nostri giorni assai utile al fine di una comprensione sempre più profonda delle strutture sottese al funzionamento delle società umane.
Quali considerazioni solleva il problema dell’identità̀ dal punto di vista antropologico?
Il problema dell’identità è al cuore della riflessione antropologica perché tocca tutte le corde del discorso sull’uomo; esso è alla base dei criteri che permettono di distinguere, anche sul piano biologico, le frontiere e le possibilità del loro attraversamento. Nel saggio Noi e gli altri del mio libro si forniscono numerosi esempi del mondo antico come contemporaneo della porosità del concetto e delle pratiche identitarie, delle contaminazioni (inevitabili) che il tempo e la storia hanno loro inflitto. L’identità è la faccia di una medaglia che dall’altra parte reca l’alterità. Gli antropologi amazzonisti francesi hanno creato a questo proposito la bella espressione di “alterità costituente”, così come l’altro è integrato nella prima persona plurale di quasi tutte le lingue romanze, senza particolari sfumature di significato rispetto al noi: noialtri, nous-autres, nosotros, …Questa impossibilità di separarci dagli altri deve tuttavia condurre all’adozione di una certa condotta di sordità nei confronti delle altrui culture, condizione ineliminabile perché i talenti di ciascuna di esse possano svilupparsi. Il rispetto per la diversità è in altri termini una virtù e una condizione imprescindibile del progresso equilibrato delle società umane.
Quali riflessioni di ordine antropologico solleva lo sviluppo della tecnologia?
Penso che vi riferiate al saggio L’ascensione prometeica: una catastrofe annunciata, nel quale si fornisce una lettura non ortodossa, se così possiamo dire, del mito dell’eroe greco benefattore dell’umanità (preceduto, a dire il vero, dal georgiano Amirani). A questa revisione non è tuttavia estranea, anzi è stata sollecitata dalla realtà contemporanea sperimentata dall’umanità, come abbiamo sostenuto in un recente volumetto pubblicato prima in francese poi in traduzione italiana da Mimesis: Lévi-Strauss e la catastrofe. Si parte dall’assunto che lo sviluppo tecnologico, per molti versi impetuoso e benefico per le sorti dell’umanità, sembra non essere (più?) capace di fronteggiare le situazioni catastrofiche di cui siamo responsabili e che rischiano di provocare la scomparsa della specie umana. Gli uomini pagano il prezzo di un eccesso di potere che si dispiega nei campi più diversi e che in epoca moderna è stato inaugurato dal genocidio amerindiano, poi segnato dalle storture non sanate della rivoluzione industriale, in epoca più recente dalla shoah, dall’inquinamento e dal surriscaldamento del pianeta. Ma come sosteneva Lévi-Strauss in Tristi Tropici: “Niente è perduto: possiamo riprenderci tutto”. A condizione ovviamente di adottare misure che consentano di raffreddare la corsa e di riprendere in mano il controllo della nostra stessa umanità.
Quali ricadute ha per l’antropologia la nozione braudeliana di lunga durata?
La nozione braudeliana di lunga durata, se considerata nella giusta accezione, può continuare a suggerire agli antropologi di tenere conto di tutte le durate che presentano i fenomeni sociali, non escludendo neanche la cosiddetta “histoire événementielle” che alcuni studiosi, non Braudel, erroneamente le contrappongono. Dal punto di vista della storia degli studi e del confronto fra le diverse scienze umane è utile mostrare, come abbiamo cercato di fare nel nostro saggio, quanto la nozione braudeliana di lunga durata debba al concetto lévistraussiano di struttura.
Salvatore D’Onofrio è professore all’Università degli Studi di Palermo, docente all’École des hautes études en sciences sociales e membro del Laboratoire d’anthropologie sociale del Collège de France. Tra le sue pubblicazioni: Le Sauvage et son double (2011), Les Fluides d’Aristote (2014), Le Matin des dieux (2018), Le parentele spirituali (2018) e Lévi-Strauss e la catastrofe (2019).