“La tribù degli alberi” di Stefano Mancuso

La tribù degli alberi, Stefano Mancuso, trama, riassunto, recensioneÈ una voce antica quella che narra la storia de La tribù degli alberi. Per il suo ultimo libro Stefano Mancuso ha scelto un narratore inusuale: il suo nome è Laurin Il Piccolo e, albero ormai vecchio, ci racconta la storia di Edrevia. È inevitabile pensare a Tolkien, perché anche nel mondo della mappa all’inizio del libro di Mancuso la natura è una presenza viva e potente. Però vengono in mente anche le casate di Harry Potter, perché gli alberi si dividono in cinque tribù che le ricordano vagamente. Ma qui i protagonisti sono gli alberi. Ci sono i creativi Terranegra, gli stoici Gurra, gli scienziati Dorsoduro, i mediatori Guizza e gli storici Cronaca: ogni tribù ha sue specifiche caratteristiche e suoi territori ed Edrevia è la comunità che tutt’insieme formano. Qui gli alberi cantano, scelgono, persino immagazzinano il loro sapere in una gigantesca biblioteca-labirinto sotterranea. Un mondo idilliaco fondato sulla reciprocità e sull’equilibrio, se non fosse per un piccolo mistero che incombe: le popolazioni nelle rispettive tribù sono sempre più sbilanciate, al punto da minacciare il funzionamento della società. È quindi questo il compito che Laurin ci racconta essergli stato assegnato da giovane, quando era ancora “appena un virgulto”, in quanto ultimo Cronaca nato: scoprire cosa si cela dietro lo squilibrio. Qui comincia il suo viaggio. A metà tra fiaba e racconto epico, Laurin ha una missione e due aiutanti, Lisetta e Pino, con cui attraversa il regno di Edrevia cercando risposte e non trovando altro che domande.

Laurin racconta nel modo in cui si raccontano le storie attorno al fuoco: con famigliarità e leggerezza, parlando a noi, proprio a noi lettori, con la semplicità che a quanto pare i bambini hanno in comune con gli alberi. La sua è una storia antica quanto il mondo, è un viaggio con tanto di peripezie, ostacoli e aiutanti. Gli archetipi sono gli stessi di Odisseo quanto quelli di Bilbo Baggins. Eppure non potrebbe essere più attuale.

Stefano Mancuso, dopo una serie di saggi come Verde brillante (2013) e La pianta del mondo (2020), approda per la prima volta alla narrativa con una scrittura che intreccia la leggerezza della fantasia alla precisione della neurobiologia vegetale. La sua è una prosa innamorata, perfetta per raccontare un mondo che troppo spesso rimane ai margini della nostra attenzione, alla cui presenza siamo così abituati da aver ormai bisogno di rieducarci alla meraviglia. Dando voce agli alberi, ci prende per mano per mostrarci una delle forme di vita più antiche e preziose del pianeta. Leggendo il suo libro, è curioso notare come basti donare il linguaggio a ciò che per noi è silenzioso ed ecco che subito si è disposti con maggiore sensibilità a riconoscere agli alberi quello che i precedenti libri di divulgazione di Mancuso spiegano: che hanno intelligenza, sensazioni, capacità di comunicare. È il potere della narrativa: farci sentire ciò che la scienza dice con dati, analisi, studi. Mancuso riesce però a farlo senza mai risultare troppo didascalico. Ed ecco che, in equilibrio tra fantasia e scienza, si legge di come gli alberi contino gli anni nei propri anelli dei tronchi o di come accada la fioritura o ancora dell’incredibile connessione assicurata dagli apparati radicali di un bosco. Non è un saggio che si finge narrativa: è una storia che restituisce una forma di alterità e che proprio per questo risulta preziosa.

Ma il cuore del libro è il tema più attuale di tutti: l’equilibrio di un mondo. La crisi climatica aleggia come una morale tra le righe, perché una storia che ha come protagonisti gli alberi non può eludere dalle problematiche ambientali di oggi. I problemi di un mondo come quello di Edrevia sono legati al nostro in modo indissolubile ed evidente. Eppure, si sa, le storie migliori non sono quelle che ci impongono una morale troppo trasparente o troppo specifica, bombardandoci di lezioni didattiche. Si potrebbe dire che l’ultimo libro di Mancuso corra proprio questo rischio. Quanto pesi sulla qualità della narrazione sta al gusto del singolo lettore stabilirlo. Ma, dopotutto, forse è scusabile perché in certa misura necessario, quando oggi si scrive di crisi climatica. E poi, quello che d’importante devono riuscire a fare le storie è soprattutto chiederci di mostrare attenzione, semplicemente. E questo, La tribù degli alberi, lo fa con il candore che è sua caratteristica, rendendosi storia per tutte le età. Vengono affrontate così le tematiche più disparate: oltre la crisi climatica, anche il dilemma tra identità e appartenenza, persino l’uguaglianza politica. Il risultato? Riesce a cullare senza però essere mai né semplice fuga né pedante condanna. C’è infatti un grande pregio tra quelle pagine: quello di non cedere mai, nemmeno per una riga, alla tentazione di limitarsi a mettere alla gogna pubblica l’essere umano. La nostra specie è sempre chiamata in causa solo per allusioni, come un qualcosa di molto lontano, pur nella consapevolezza delle sue responsabilità. Siamo marginali, effimeri, finalmente detronizzati dal centro del mondo che ci siamo autoassegnati ormai da troppo tempo. Ma il romanzo non è un’elegia del mondo arboreo contro quello umano, non c’è nessuna divisione manichea e cinica tra forme di vita “buone” e forme di vita “cattive”. Il libro preferisce piuttosto suggerire speranza, una cosa di cui l’attivismo ambientale di oggi ha più bisogno che mai. Perché, come ricorda Asfodelo, uno dei personaggi più belli che s’incontrano tra quelle pagine, la vita sul pianeta «è basata non tanto sull’equilibrio, come generalmente si tende a credere, quanto sulla correzione degli squilibri (che è cosa ben diversa)». Vien da sorridere ad accorgersi che questo possa valere tanto a livello ambientale quanto a livello personale. Sfiorando con candore e leggerezza questi due livelli, il libro riesce a misurare la realtà con la finzione. E, d’altronde, farci abitare in entrambe allo stesso tempo è uno dei compiti più alti della narrativa: solo così diventa possibile ipotizzare altri sé e altri mondi possibili.

Sara Luderin

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