
«Il tempo, a quanto pare, è diventato un lusso»: è l’apodittica affermazione con la quale si apre il libro. Eppure, fino a «non molto tempo fa le riflessioni sulla società postindustriale lasciavano presagire una “rivoluzione del tempo libero” innescata dai processi di automazione […] Il progresso, combinato a un maggior benessere economico, avrebbe finalmente affrancato gli esseri umani dall’obbligo di concentrarsi sui bisogni primari, assicurando loro più tempo per lo svago. I sociologi parlavano di “fine del lavoro”, e con una certa apprensione si chiedevano come sarebbero state utilizzate tutte quelle ore libere.»
Ad una più attenta analisi si scopre in realtà che, come confermano tutti gli studi condotti sull’utilizzo del tempo, «la quantità di tempo libero a nostra disposizione è aumentata, non diminuita. […] in media la durata dell’orario di lavoro è cambiata ben poco tra gli anni Settanta del secolo scorso e il primo decennio del Duemila. […] Se poi si aggiunge il fatto che oggi la nostra aspettativa di vita si è allungata, quindi abbiamo materialmente più anni a disposizione, questa incongruenza tra tempo oggettivo e tempo soggettivo appare ancor più inspiegabile. Il divario tra la quantità di tempo libero o discrezionale di cui effettivamente disponiamo e questo nostro sentirci sempre trafelati e stressati è stato definito il paradosso della pressione del tempo.»
Tuttavia, «il dinamismo accelerato della modernità non intrappola tutti in egual misura»: «è evidente, per esempio, come la povertà di tempo sia molto più avvertita dai genitori single che dalle coppie senza figli e che, rispetto agli uomini, le donne tendono ad avere una minor autonomia temporale»; «le tecnologie domestiche che in teoria avrebbero dovuto farci risparmiare tempo, per esempio la lavatrice e il microonde», hanno «miseramente fallito nell’intento di ridurre il carico di lavoro tra le mura di casa.» La causa del perché «l’effetto della tecnologia si è rivelato marginale» va ricercata nelle «mutate aspettative culturali in materia di accudimento dei figli», oltre che nell’«insorgenza di nuovi standard e di nuovi compiti».
Oltre a ciò, «il tempo del lavoro, non soltanto la sua durata ma anche il ritmo, l’intensità o quella che potremmo definire la sua densità» i mutamenti nei modelli lavorativi, negli assetti familiari e nell’idea stessa di genitorialità si sono tutti rivelati fattori di stress»: «i nostri rapporti sociali, le nostre comunicazioni quotidiane, siano sempre più caratterizzate da una connettività onnipresente e multiforme», mentre «la vita in ufficio ha finito per essere identificata con un sovraccarico di informazioni, continue interruzioni, multitasking e crescenti aspettative nella velocità dei tempi di risposta.»
Ma non solo: le tecnologie dell’informazione hanno «portato a un’intensificazione nelle attività legate al consumo e anche al tempo libero, in pratica a quella che viene spesso definita la cultura dell’istantaneità o dell’immediatezza.»
Scopriamo però che «il rapporto tra mutamento tecnologico e temporalità è dialettico, non teleologico»: «per quanto i mutamenti economici, tecnologici, sociali e culturali nelle società moderne abbiano radicalmente alterato l’esperienza del tempo, il quadro che emerge non è quello di un’accelerazione uniforme. Se abbiamo la sensazione di non avere abbastanza tempo per il lavoro, per occuparci dei nostri figli, per goderci gli amici e il tempo libero e per dedicarci all’impegno civile, questo non dipende soltanto dalle macchine, vecchie o nuove che siano. Le tecnologie di per sé non portano né a un’accelerazione né a un rallentamento.»
Ad ogni modo, «non esiste alcuna soluzione tecnica per la nostra situazione attuale. Non possiamo semplicemente iniziare una dieta digitale, rifiutare gli smartphone e tornare alla natura, come sembrano suggerire alcune riflessioni sulla decelerazione». «Non è più questione di arrendersi o di opporsi alla tecnoscienza, bensì di gestirla in modo strategico senza mai perdere uno sguardo spietatamente critico […] Invece di rifiutare la velocità moderna tentando di riportare indietro l’orologio, dovremmo accogliere con gioia le sue potenzialità per il pensiero, il giudizio, la solidarietà umana e il cosmopolitismo.» Dal canto loro, «i dispositivi digitali possono rivelarsi dei validi alleati in questa nostra ricerca di controllo sul tempo.»