“La Terra inabitabile. Una storia del futuro” di David Wallace-Wells

La Terra inabitabile. Una storia del futuro, David Wallace-WellsLa Terra inabitabile. Una storia del futuro
di David Wallace-Wells
traduzione di Giovanni Zucca
Mondadori

«Questo libro non è un testo scientifico sul riscaldamento globale; questo libro parla di cosa significa il riscaldamento per il modo in cui viviamo su questo pianeta. Ma cosa ci dice la scienza in proposito? Stiamo parlando di ricerche molto complesse, perché costruite sopra un doppio livello di incertezza: uno riguarda cosa faranno gli esseri umani, soprattutto in termini di emissioni di gas serra, e l’altro come reagirà il sistema climatico, sia direttamente, con il riscaldamento, sia indirettamente, attraverso una serie di complessi, e a volte contraddittori, cicli di retroazione. Ma anche al netto di queste incertezze, le ricerche scientifiche parlano molto chiaro, e con una chiarezza francamente terrificante.

Le valutazioni più affidabili sullo stato del pianeta e sulla probabile traiettoria del cambiamento climatico – più affidabili, in parte, perché sono prudenti, e tengono conto delle nuove ricerche solo se presentano risultati inconfutabili – sono quelle emesse dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) delle Nazioni Unite. […] il più recente afferma che se interveniamo subito sul problema delle emissioni – ottemperando immediatamente agli impegni assunti con l’accordo di Parigi, sul piano pratico ancora inattuati pressoché ovunque – è probabile che arriviamo a circa 3,2 gradi in più, vale a dire tre volte l’innalzamento delle temperature che il pianeta ha conosciuto dall’inizio dell’industrializzazione; questo significherebbe spostare lo scioglimento delle calotte glaciali del pianeta, che sembrava impensabile, non solo nel regno del reale, ma già nel presente. Vorrebbe dire l’inondazione non solo di Miami e Dacca, ma anche di Shanghai e Hong Kong e di un altro centinaio di città nel resto del mondo.Si ritiene che il tipping point, il punto di non ritorno, per questo fenomeno sia intorno ai 2 gradi: stando a diversi studi recenti, anche fermando entro brevissimo tempo le emissioni di carbonio potremmo comunque arrivare a questo livello di riscaldamento entro la fine del secolo.

Gli assalti del cambiamento climatico non si esauriranno nel 2100 solo perché molti modelli statistici, per convenzione, si fermano a quella data. Infatti alcuni climatologi definiscono i prossimi cento anni il «secolo infernale». Il cambiamento è rapido, molto più rapido della nostra possibilità di riconoscerlo e di ammetterne la realtà, ma è anche lungo, forse ancora più lungo di quanto ci possiamo realmente immaginare.

Leggendo del surriscaldamento, si incontrano spesso analogie riferite alla storia della Terra: «l’ultima volta che il pianeta era così tanto più caldo» – è il ragionamento – «il livello dei mari era questo». Queste condizioni non sono coincidenze: il livello del mare era quello, in gran parte, perché il pianeta era «così tanto più caldo», e lo studio della stratificazione geologica offre il modello migliore che abbiamo per capire il complesso sistema climatico, e stimare quali e quanti saranno i disastri provocati da un innalzamento delle temperature tra i 2 e i 6 gradi. Per questo è particolarmente preoccupante che recenti ricerche più approfondite sulla storia del pianeta avanzino l’ipotesi che i modelli climatici attualmente in uso stiano sottostimando il livello di surriscaldamento atteso per il 2100 addirittura della metà. In altre parole, le temperature potrebbero salire, alla fine, anche del doppio rispetto alle previsioni dell’IPCC. Anche raggiungendo gli obiettivi di riduzione delle emissioni stabiliti a Parigi, potremmo ugualmente arrivare a 4 gradi in più: vorrebbe dire avere un Sahara verdeggiante, e le foreste tropicali del pianeta trasformate in savane dove imperversano gli incendi. Gli autori di uno studio recente ipotizzano che il riscaldamento potrebbe essere ancora più drammatico: pur tagliando le emissioni di CO2 potremmo ancora arrivare a 4 o 5 °C in più, uno scenario che secondo i ricercatori porrebbe gravi rischi all’abitabilità dell’intero pianeta, tanto che l’hanno ribattezzato «Terra serra» (Hothouse Earth). […]

Con 2 gradi, le calotte glaciali cominceranno a sciogliersi e a sfaldarsi, ci saranno quattrocento milioni di persone in più che avranno carenza d’acqua, le principali città della fascia equatoriale diventeranno invivibili e le ondate di calore mieteranno migliaia di vittime ogni estate, anche alle latitudini settentrionali. Le ondate di caldo più violente aumenteranno di trentadue volte in India, e ciascuna durerà il quintuplo del tempo, con il risultato che il numero delle persone esposte sarà quasi centuplicato.

E questa è la migliore delle ipotesi. A 3 gradi, l’Europa meridionale sarebbe oppressa in permanenza dalla siccità, e la media dei periodi aridi sarebbe più lunga di diciannove mesi nell’America centrale e di ventuno nei Caraibi, e di sessanta mesi in più nel Nordafrica, vale a dire cinque anni. Le aree devastate ogni anno dagli incendi raddoppierebbero nel Mediterraneo, e salirebbero fino a sei volte tanto, e anche più, negli Stati Uniti. Arrivati a 4 gradi, avremmo ogni anno otto milioni di casi di dengue in più nella sola America latina, ed emergenze globali da carenze alimentari quasi ogni anno. I decessi legati alle temperature elevate potrebbero aumentare del 9 per cento. I danni prodotti dalle esondazioni dei fiumi si moltiplicherebbero per trenta in Bangladesh e per venti in India, e nel Regno Unito addirittura per sessanta. Ci sono poi luoghi che potrebbero essere investiti in contemporanea da sei calamità naturali causate dal clima, per un computo dei danni che potrebbe superare i seicentomila miliardi di dollari: più del doppio dell’attuale ricchezza mondiale. Guerre e conflitti potrebbero raddoppiare.

Anche se fermassimo il riscaldamento della Terra a non più di 2 gradi entro la fine del secolo, rimarremmo comunque con un’atmosfera contenente 500 ppm di carbonio, e forse anche più. L’ultima volta in cui un’eventualità del genere si è verificata, sedici milioni di anni fa, la temperatura terrestre era più calda, ma non di 2 gradi: semmai di qualcosa tra i 5 e gli 8 gradi, che causarono un innalzamento del livello dei mari intorno ai quaranta metri […]. Alcuni di questi processi richiedono migliaia di anni per compiersi, ma sono anche irreversibili e quindi a tutti gli effetti permanenti. E se qualcuno spera di rovesciare il trend del cambiamento climatico, sappia che non è possibile. Il cambiamento climatico va più forte di tutti quanti noi. […]

Eppure, già adesso queste conseguenze promettono di farsi largamente beffe di noi e del nostro distorto senso del reale. Le tragedie ecologiche che abbiamo scatenato con il nostro uso dissennato del suolo e il consumo di combustibili fossili – a un ritmo relativamente lento per un secolo, e poi veloce per alcuni decenni – andranno in scena nei millenni a venire, in un arco di tempo più lungo di quello mai trascorso sulla Terra dall’uomo, e saranno interpretate in parte da creature e in ambienti che nemmeno conosciamo, le une e gli altri condotti sul palcoscenico del mondo dalla forza del riscaldamento globale. È per questo che, per convenienza cognitiva, abbiamo trovato più pratico considerare il cambiamento climatico solo per come si presenterà in questo secolo. Entro il 2100, sostiene l’ONU, se non modifichiamo la rotta attuale ci aspetta un innalzamento della temperatura di 4,5 gradi: un dato che è più lontano dal limite dell’accordo di Parigi di quanto quest’ultimo lo sia dai 2 gradi fissati come soglia della catastrofe, visto che è oltre il doppio. […]

Nella stima della situazione a fine secolo elaborata dalle Nazioni Unite per lo scenario business as usual – quello in cui le scelte peggiori possibili sulle emissioni portano alle conseguenze peggiori possibili – il vertice della curva delle probabilità indica un aumento di 8 gradi: con una temperatura del genere, qualunque essere umano nella fascia equatoriale e tropicale che uscisse all’aperto morirebbe. Ma in una Terra di 8 gradi più calda gli effetti diretti del calore sarebbero il meno: gli oceani salirebbero di sessanta metri, inondando i due terzi di quelle che sono attualmente le più grandi città del mondo; quasi nessuna delle zone coltivate del pianeta sarebbe in grado di produrre in modo efficiente anche solo parte del cibo che consumiamo oggi; le foreste sarebbero sconvolte da continue tempeste di fuoco, mentre le coste subirebbero l’assalto di uragani sempre più violenti; la cappa soffocante delle malattie tropicali si estenderebbe a nord, fino a raggiungere parti di quella che chiamiamo Artide; è probabile che circa un terzo del pianeta diventerebbe invivibile per l’effetto immediato del caldo, e lunghi periodi di siccità che oggi ci paiono senza precedenti, insieme a intollerabili ondate di calore, sarebbero all’ordine del giorno per qualunque vita umana che fosse eventualmente in grado di sopravvivere in tali condizioni.

Quasi certamente riusciremo a evitare un surriscaldamento di 8 gradi; vari studi recenti avanzano l’ipotesi che il clima sia in realtà meno sensibile alle emissioni di quanto pensassimo, e quindi anche lo scenario peggiore appena considerato ci porterebbe intorno ai 5 gradi, con il risultato più probabile che si attesta verso i 4 gradi. Ma resta il fatto che 5 gradi sono impensabili tanto quanto 8, e 4 non sono comunque molto meglio: significherebbero un mondo sempre a corto di cibo, con le Alpi aride quanto le montagne dell’Atlante.

Tra questo scenario e il mondo in cui viviamo c’è solo una questione aperta: come reagirà l’uomo a tutto ciò? Grazie ai lunghi processi di adattamento del pianeta ai gas serra, un ulteriore riscaldamento è stato già in parte assorbito. Ma i vari percorsi che possiamo proiettare dal presente – quelli che possono condurci a 2, 3, 4 o 5 gradi, se non addirittura a otto, in più – saranno determinati soprattutto da ciò che scegliamo di fare oggi. Non c’è nulla che ci impedisca di arrivare a 4 gradi, se non la nostra volontà di cambiare direzione, che rimane ancora tutta da dimostrare. Poiché il nostro pianeta è così grande e caratterizzato dalla diversità ecologica; poiché l’uomo si è dimostrato una specie adattabile, e probabilmente continuerà a adattarsi per affrontare e superare una minaccia letale; e poiché gli effetti devastanti del riscaldamento diventeranno presto troppo estremi per essere ignorati o negati, se già non lo sono diventati; a causa di tutto questo, è improbabile che il cambiamento climatico renda il pianeta veramente inabitabile. Ma se non interveniamo in alcun modo sulle emissioni di carbonio, se la produzione industriale dei prossimi trent’anni seguirà la stessa parabola ascendente degli ultimi trent’anni, già alla fine di questo secolo intere regioni diventeranno invivibili rispetto a qualunque standard oggi accettabile.

Qualche anno fa, il biologo Edward O. Wilson ha proposto l’idea di una «metà della Terra» per aiutarci a ragionare su come potremmo adattarci alle pressioni di un nuovo e diverso clima, lasciando che la natura segua un suo percorso di stabilizzazione su metà del pianeta e confinando la specie umana nella restante metà abitabile del mondo. Potrebbe trattarsi anche di meno della metà – forse parecchio di meno – e non per libera scelta […]. Su un arco temporale più lungo è possibile anche un finale più cupo, col pianeta vivibile che diventa buio mentre si avvicina il tramonto dell’umanità.

Per far sì che la Terra venga concretamente azzerata nel corso della nostra vita sarebbe necessaria una spettacolare coincidenza di scelte sbagliate e di sfortuna. Il fatto che abbiamo portato alla ribalta questa eventualità da incubo è forse il dato culturale e storico più importante dell’èra moderna: è probabilmente quello che studieranno gli storici del futuro che si occuperanno di noi, ed è ciò che avremmo tanto voluto che le generazioni prima della nostra avessero considerato con maggiore lungimiranza. Qualunque cosa faremo per fermare il riscaldamento globale, e qualunque sia il livello di aggressività che useremo per difenderci dalle sue devastazioni, avremo comunque messo in piena luce il disastro che incombe sulla vita umana sulla Terra: abbastanza vicino da riuscire a vedere chiaramente come avverrebbe e sapere, con un certo grado di precisione, in che modo colpirebbe i nostri figli e nipoti. Abbastanza vicino, anzi, da cominciare già a sentirne gli effetti noi stessi, quando non ci voltiamo dall’altra parte. […]

Gli esseri umani, come tutti i mammiferi, sono motori a combustione; per sopravvivere devono continuamente raffreddarsi, come fanno i cani quando ansimano con la lingua fuori. Per questo occorre che la temperatura sia sufficientemente bassa perché l’aria agisca come una sorta di refrigerante, estraendo calore dalla pelle in modo che il motore possa continuare a girare. Se il riscaldamento arrivasse a 7 °C in più, questo processo diventerebbe impossibile in vaste zone della fascia equatoriale del pianeta, e soprattutto ai tropici, dove il problema è aggravato dall’umidità.1 L’effetto sarebbe rapido: nel giro di poche ore, un corpo umano si ritroverebbe cotto dentro e fuori, e il risultato sarebbe la morte.

Con 11 o 12 gradi in più, oltre la metà della popolazione mondiale, secondo l’attuale distribuzione sul pianeta, morirebbe per il calore diretto. Quasi certamente non si arriverà tanto presto a uno scenario così estremo, sebbene alcuni modelli climatici prevedano che, nel caso in cui le emissioni continuino senza tregua, si finirà per raggiungerlo, in un arco di secoli. Tuttavia, secondo alcuni calcoli, basterebbero 5 °C per rendere intere parti del globo letteralmente invivibili per l’uomo. […]

È improbabile che si arrivi a 5 o 6 gradi in più entro il 2100. Secondo le previsioni dell’IPCC potremmo toccare un aumento della temperatura media di oltre 4 gradi, se dovessimo continuare con l’attuale livello di emissioni.»

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