
Quali sono le fonti normative che regolamentano l’arte di strada?
La Street art è una corrente relativamente nuova, che il legislatore non poteva prevedere. Una legge specifica per la Street art non c’è e probabilmente saranno disciplinate alcune applicazioni, a partire dai murales pubblici, aggiudicati per concorso o ad artisti già riconosciuti, come quello fuori dalla metro di Rebibbia realizzato da Zerocalcare o il Parco dei Murales a Ponticelli (Na). Il diritto dell’arte di strada è un diritto atipico, che cerca le sue fonti in istituti previsti per diverse fattispecie. Per rimanere nel campo civile, due sono gli articoli fondamentali, di cui tratto nel mio libro: l’art. 2043 codice civile, per la responsabilità extracontrattuale e l’art. 2041 c.c. come possibile richiamo normativo per una remunerazione dello Street artist. Dal valore alla remunerazione, è il passo successivo.
Quale rapporto esiste tra Street art e diritto d’autore?
Non c’è una definizione giuridica di arte. Il legislatore è stato ben attento a non addentrarsi su questo campo minato. La Legge sul diritto d’autore protegge “le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione.” Senz’altro le opere di Street art rientrano in questo ampio gruppo. Sono protette sia le opere originali che, con dei limiti per il loro utilizzo, le opere derivate. Un’opera di Street art viene tutelata a partire dal momento stesso in cui è creata. Il diritto d’autore riconosce allo Street artist, come a qualsiasi altro creatore, dei diritti di natura morale, la paternità dell’opera e altri di contenuto patrimoniale. Un artista non guadagna soltanto dalla vendita della sua opera, ma anche dal concedere licenze di sfruttamento economico delle immagini tratte dal suo lavoro o nel farsi sponsorizzare, senza per questo perdere la sua libertà artistica. Ne ho parlato nel mio “Arte condivisa”, Iemme Edizioni e nelle altre mie successive pubblicazioni sull’art sharing e i fenomeni di condivisione nel campo delle opere d’arte. Ora la Street art offre la possibilità di uno step successivo. Molti degli attuali artisti di strada vengono da altri campi, dalla musica, dall’ambiente dei videomaker, persino dalla pubblicità che ha “copiato” dall’arte di strada linguaggio e forme, come per gli spot su marciapiede realizzati con materiale biodegradabile e pagando un canone ai Comuni. Alcuni Street artist hanno dato vita, attraverso la riconoscibilità dei loro interventi, a dei veri e propri marchi di fatto e non semplici tag.
Quali sono i reati in cui potrebbe incorrere lo Street artist?
Imbrattamento, vandalismo, danneggiamento e occupazione della proprietà privata. La legge penale non è tenera con gli Street artist, probabilmente perché non ne comprende il “movente”. In un caso, i ragazzi dei centri sociali che cancellavano i murales di Blu a Bologna dietro sua indicazione sono stati denunciati per violazione di domicilio. Da ultimo in Italia uno Street artist che vive all’estero si è visto condannare a due anni di carcere, perché il processo si è svolto in sua contumacia e non gli si sono potute applicare le circostanze attenuanti che, in pratica, vengono date con larga mano. Aspettando che prenda corpo un diritto dell’arte di strada, avremo prima come passaggio intermedio la formazione di una Giurisprudenza. Ed essendo il nostro un sistema di civil law, dove il precedente giurisprudenziale non è vincolante, potremo avere, almeno nei primi tempi, una casistica delle più varie: da una posizione severa a una più tollerante e viceversa. Un aspetto ulteriore che tratto è quello dell’oscenità, strumento in passato utilissimo per fini repressivi. Spesso le opere di Street art vogliono essere un pugno nell’occhio, sono esteticamente sgradevoli, irriverenti, persino volgari. Come poi se galateo e bon ton fossero la norma nelle nostre strade. Attraverso l’esame di un case study su un gruppo di artisti romani si affronta la domanda: l’arte – e la Street art – può essere considerata oscena? È una scelta frequente per gli Street artist agire nell’anonimato, i 70 anni della tutela del loro diritto patrimoniale d’autore, sono in genere più lunghi dei termini di prescrizione per gli eventuali reati commessi nella realizzazione delle opere.
I graffiti sono illegali?
Il graffitismo ha fatto il suo tempo, è una terminologia che non risponde a quello che abbiamo sotto gli occhi. Gli Street artist, come si diceva, solo in parte provengono da quel mondo. Molti di loro hanno messo su famiglia, si sono dedicati ad altro o semplicemente sono imbolsiti. C’è una leggenda nera intorno alla Street art, che vuole che la Street art, per non tradire se stessa, debba essere sempre “contro”, in una sorta di rivoluzione permanente. Il mio libro vuol far chiarezza tra i comportamenti illegali e quelli soltanto non autorizzati; ritrovarsi un murales dalla sera alla mattina può apparire all’inizio come una iattura, ma se fosse il nuovo Banksy? È successo e si ripeterà.
Un tema delicato, quando si parla di Street art, è il suo rapporto/scontro con la proprietà privata: come possono convivere?
La Street art si è scelta il nemico più ostico sulla piazza: la proprietà privata. Il mio libro si interroga sulla proprietà dei muri e vuole aprire uno spiraglio di dialogo tra gli Street artist e i condomini dei palazzi. La convivenza non è facile. A volte il consenso è preventivo, come per le autorizzazioni e commissioni, altre è successivo, altre ancora è temporaneo e può essere revocato ad nutum. L’anno prima che Blu cancellasse le sue opere bolognesi per protesta, un suo murales rischiava di essere cancellato dai condomini di un palazzo a Ravenna perché erano cambiati i proprietari e semplicemente non piaceva più. La ricerca del consenso e il mantenerlo non sono solo un esercizio delle funzioni politiche, sono alla base del vivere civile, della vita activa di cui parlava Hannah Arendt. Un condominio potrà sempre decidere di dare una mano di bianco ai suoi muri. Le cose cambiano se però staccasse l’opera per esporla o venderla. Gli Street artist potrebbero rimanere sopresi scoprendo di avere più diritti di quanto pensino.
È possibile fare Street art legalmente?
Si può. Non arriverei a dire che si debba. La responsabilità penale è personale e persino la possibilità di delinquere ha un valore democratico, fermo restando la certezza della pena conseguente.
Una parte della Street art resterà ribelle, disinteressata al guadagno e concentrata su un messaggio politico-sociale-culturale. Ci sta. Ma un artista è anche un interprete, una persona che si racconta e che ci racconta con le sue opere e l’ingrediente per la ricetta magica è il rispetto. Non tutti accettano la Street art, alcuni non lo faranno mai e francamente non si può pretendere che la Street art raggiunga un consenso universale. Non oggi almeno e neanche domani. Ma la storia dell’arte è anche la storia di artisti maledetti che i posteri sentiranno vicini al loro modo di sentire, mentre noi rischiamo di apparirgli estranei. E qui incontriamo quello che è il vero limite (e la bellezza) della Street art. Non è arte fatta per durare, nessuna opera umana lo è, ma murales e stencil meno delle altre. È un fatto che se un giorno noi e i nostri figli e nipoti ci troveremo a parlare di Street art, sarà avendo in mente le opere delle rispettive generazioni. Si aprirà a breve per la Street art una fase di catalogazione e conservazione? È difficile prevedere come la Street art evolverà, non che un’evoluzione ci sarà. Forse la Street art diventerà più interattiva, un’esperienza di realtà aumentata o magari in una delle sue svolte si ritroverà conservatrice e chiusa verso i nuovi artisti, dandosi canoni e manifesti autoreferenziali. Una cosa è certa, non correremo il rischio che il cambiamento ci passi davanti inosservato, visto e considerato che la Street art “abita” con noi in città. Sempre più prenderanno piede fenomeni di commercializzazione e “mal di pancia” artistici non risolveranno granché. Già abbiamo assistito a guerre dei muri, con crew che si combattono a colpi di crossover, distruggendo reciprocamente le loro opere, a Parigi le installazioni di Invader spariscono ogni giorno, mentre a Napoli l’unico Banksy italiano, conosciuto come “la Madonna con la pistola”, è stato posto sotto la non richiesta “custodia” di esercenti locali (con effetti devastanti, vista l’imperizia dell’intervento. Ne ho parlato in un mio recente post intitolato: “How to cook a Banksy: an original Neapolitan recipe”). Probabilmente tra qualche anno guarderemo a questi anni come al Far West della Street art, ma norme ne abbiamo. Sul piano civile e su quello penale. Pochi sembrano conoscerle e ancor meno vogliono applicarle, nonostante la legge, si sa, non ammetta ignoranza. E anche queste norme evolveranno, per rispondere alle nuove esigenze dei consociati. Ed è una buona notizia.