
Come si svolse la vicenda della sepoltura delle spoglie dell’anonimo combattente?
La Commissione di nomina governativa incaricata di recuperare le salme e di cui facevano parte oltre a vari ufficiali superiori anche alcuni sottufficiali e semplici soldati (tutti o quasi tutti però decorati con medaglie al valore) entrò in funzione di fatto alla fine di settembre del 1921 e si recò in ottobre nei pressi di Rovereto, sul Pasubio e sul monte Ortigara, sul Grappa e sul Montello, a Caposile e a Cortina d’Ampezzo, sul Monte Rombon e sul San Marco, a Castagnevizza e sull’Ermada operando una selezione attenta dei caduti che dovevano infatti rappresentare l’intero insieme delle truppe combattenti. Deposti in undici bare di eguale formato i loro resti mortali furono trasportati il 28 ottobre nella basilica patriarcale di Aquileia dove a indicare quale sarebbe diventato il Milite Ignoto venne chiamata Maria Maddalena Blasizza originaria di Gradisca d’Isonzo e madre di Antonio Bergamas un tenente triestino “disertore” dall’esercito austroungarico che sotto falso nome aveva combattuto per l’Italia morendo in battaglia a Marcesina nel giugno del ‘16. La bara prescelta fu collocata su di un treno speciale con un affusto di cannone e con numerose carrozze al seguito che partì all’indomani alla volta della capitale. Il convoglio avrebbe attraversato da nord a sud buona parte della penisola sostando cinque minuti in ogni stazione sul percorso le cui fermate principali e intermedie furono Venezia, Bologna e , prima di giungere a Roma, anche Arezzo. Il tutto avvenne come da protocollo ministeriale in assoluto raccoglimento e in un silenzio rotto appena, talvolta, dall’esecuzione bandistica o dal canto dell’Inno del Piave di E. A.Mario (intonato solitamente da gruppi di fanciulli) e alla presenza peraltro di folte rappresentanze di categorie politiche (parlamentari e senatori) nonché sociali e militari (madri di caduti, vedove di guerra, mutilati ed ex combattenti). L’adesione popolare alla cerimonia itinerante fu massiccia e tale da stupire in un paese già da mesi precipitato nel turbine di una guerra civile senza quartiere e radicalizzata dalle violenze – non solo di piazza – dei contendenti del tempo. La sensazione che tutta l’Italia si fosse inginocchiata al passaggio del Milite Ignoto fu confermata dopo l’arrivo della sua salma a Roma il 2 novembre e poi nel giorno fissato per le cerimonie finali tra piazza Venezia e l’Altare della Patria alla presenza del Re e delle massime cariche dello Stato e dell’Esercito (fatta eccezione per i Generali Diaz e Cadorna ma anche per D’Annunzio e Mussolini) ovvero il 4 novembre 1921 grazie a una coreografia visibilmente studiata dalle autorità a tavolino ma resa possibile dalla sentita partecipazione di molte centinaia di migliaia di uomini, di donne e di ragazzi (forse un milione di persone in totale). A rinforzo e nella stessa ottica commemorativa dal basso (per quanto sempre gestita dall’alto) intervennero a latere – non solo a Roma ma in tutta Italia – imponenti cerimonie religiose dedicate al Milite Ignoto e persino alcune ricadute “epistolari” di cui rimase poi traccia nel Fondo del Milite Ignoto presso l’archivio del Museo Centrale del Risorgimento costituito infatti da una serie di materiali documentari che non riguardano soltanto le fasi del trasporto da Aquileia a Roma bensì l’intero insieme delle iniziative che ne dipese. Il Fondo composto da faldoni contenenti i dati relativi all’organizzazione generale del “viaggio dell’eroe”, alla individuazione della Madre di un caduto quale simbolo di tutte le donne italiane in lutto e alla realizzazione dei lavori eseguiti per costruire la fatidica bara comprende anche le numerose piantine predisposte per l’organizzazione del rito con la definizione preliminare delle rigide direttive della cerimonia romana la quale prevedeva già in partenza un corteo diviso in blocchi, omogenei per tipologie e rappresentanze, e oltre a ciò ulteriori materiali dai bozzetti delle medaglie commemorative ai facsimile delle cartoline commemorative di cui ha dato notizia in un suo saggio di un paio d’anni fa Barbara Bracco («A te o Milite ignoto». Guerra e lutto nelle cartoline al soldato senza nome, 4 novembre 1921, in “Memoria e ricerca” 2019, pp. 579-602) ricordando come esse raffigurassero due donne in lutto inginocchiate dinanzi al corpo senza vita di un soldato caduto, con alle spalle l’allegoria della Patria vittoriosa e sullo sfondo il monumento del Vittoriano. Già durante la cerimonia del viaggio ferroviario furono dunque messe in vendita al prezzo di 1 lira queste cartoline disegnate da un ex combattente e proposte dal Comitato Esecutivo per le Onoranze al Soldato Ignoto affinché potessero essere inviate al Vittoriano. Molte di esse, quasi 40 mila, vennero effettivamente spedite e corredate con frasi e piccoli pensieri dedicati “a quel milite che realmente nell’immaginario collettivo rappresentava “il soldato italiano”.
La cartolina, il ricavato delle cui vendite fu devoluto agli orfani e alle vedove di guerra, era divisa in due. Una parte a disposizione dell’acquirente e un’altra destinata invece ad essere impostata “dopo avervi apposto, a tergo, la propria firma, accompagnata, se [ritenuto utile] da un suo pensiero”. Nella maggior parte dei casi si trattò di brevi testi, spesso ingenuamente laudativi dell’eroe sconosciuto ma in qualche caso frutto di riflessioni un po’ più profonde che risentivano persino di un giudizio politico controcorrente (come quella di un mittente avellinese con tutta evidenza un ex combattente animato da vedute eterodosse ed anti militariste che scrisse: “A voi, martiri della nefanda guerra Europea, cui fu gioco forza abbandonare la famiglia, subire disagi di ogni specie sacrificando atrocemente la giovinezza nel fango, diventando carne da cannone e da strapazzo, a Voi un pensiero fraterno, doloroso, imperituro, l’ex combattente ferito in guerra…”)
Nella sua ricostruzione, il soldato sconosciuto non muore sul campo di battaglia, ma in ben altra circostanza…
La mia ricostruzione nella parte romanzesca (accompagnata peraltro, alla fine, da una postfazione questa sì di natura squisitamente storiografica) parla di colui che secondo me potrebbe essere stato, al pari di migliaia di altri del resto, il “vero” Milite Ignoto. Personalmente me lo sono raffigurato come un giovanotto figlio di emigranti veneti nato nello Stato di San Paolo e partito sua sponte dal Brasile nel luglio del 1915 per venire a combattere in Italia nelle file dell’esercito regio. Tutta la sua biografia sino al momento della morte sotto un bombardamento austriaco nei giorni della vittoria italiana di fine ottobre del ‘18 è stata da me immaginata con il sussidio di fonti autobiografiche, epistolari, documentarie ecc. del periodo 1911-1918 tratte dai più diversi archivi (non ho tenuto un conto esatto ma stimo che si sia trattato di alcune migliaia di testimonianze, di scritture pubbliche e private, di canzoni ecc.). Della Grande guerra italiana e di alcuni suoi aspetti meno (un tempo) conosciuti come le lettere dei soldati, le cronache dei parroci, i resoconti delle autorità mediche militari, le memorie e le autobiografie dei combattenti, ma anche i ricordi dei civili e delle donne, comprese le prostitute “ufficiali” o “vaganti” mi sono a lungo occupato tra il 1978 e il 2018 in varie sedi (riviste, convegni e tradizionalissimi libri di storia). Qui ho solo tirato le fila di una assidua frequentazione delle vicende umane e belliche di uomini e di donne di quel tempo remoto e corrusco ipotizzando una fine singolare per i miei protagonisti a cominciare dal soldato italo brasileiro Cravigno e dalla sua amorosa, una ex prostituta per salvare la cui vita egli si sacrifica finendo ucciso da una granata nemica che lo colpisce mentre aiuta la ragazza a fuggire dopo essersi dimenticato la giubba con la propria piastrina identificativa nella camera in cui avevano passato assieme le ultime ore prima del bombardamento austriaco. Ho scritto ancora di recente (settembre 2021) introducendo l’ultima edizione del mio lavoro di fantasia e però anche di conoscenza che il Milite Ignoto – del quale nessuno può conoscere per definizione l’identità – che preferisco di gran lunga immaginarmelo come un giovane normale e molto innamorato sul tipo di quello che di cui hanno cantato a suo tempo i Gufi o Claudio Lolli non per sottovalutare o trascurare la portata del più forte mito nazionalista della storia contemporanea (e anzi di tutti i tempi), ma per ricordare l’immenso spreco di vite umane che le guerre di norma comportano.
Quale mito alimentò la grandiosa coreografia costruita intorno al soldato emblema e memoria di tutti i caduti della Grande guerra?
Il mito di una guerra “giusta” vinta dall’Italia prefascista a prezzo di enormi sacrifici richiesti in particolare a quasi 700 mila dei suoi figli che vi persero la vita.
Cosa testimonia la vicenda del Milite ignoto?
La vicenda del Milite Ignoto conferma (e addirittura rafforza) per l’età contemporanea la tenuta di miti se non integralmente falsi quanto meno opinabili della retorica guerresca di sempre (Dulce et decorum est pro patria mori) aggiungendovi però l’impatto di un apparente consenso di massa che si confonde visibilmente con l’umano sentimento di cordoglio di chi ha perso qualcuno dei propri cari in guerra e ha profondo bisogno di compiere una elaborazione del lutto all’altezza del sacrificio compiuto o subito.
Emilio Franzina ha insegnato storia del Risorgimento e storia contemporanea nelle Università di Padova e di Verona. Tra le sue pubblicazioni: La grande emigrazione (Marsilio, 1976); Merica! Merica! Emigrazione e colonizzazione nelle lettere dei contadini veneti in America Latina (1876-1902) (Feltrinelli, 1979); Gli italiani al nuovo mondo. L’emigrazione italiana in America (1492-1942) (Mondadori, 1995).