
Quali ambiti segnalano l’odierna inadeguatezza della sovranità statale tradizionale?
Tutti quelli che contano, come abbiamo cercato di mostrare nella nostra ricerca: il governo dei processi economici, delle migrazioni internazionali, del cambiamento climatico, del progresso tecnologico, della Rete. Lo ha poi confermato, in maniera drammatica, la terribile pandemia che ha investito e sconvolto il pianeta a partire dai primi mesi del 2020. I grandi problemi che sfidano oggi per davvero il genere umano e la tenuta stessa delle società contemporanee hanno una natura globale e non possono essere risolti con gli strumenti ormai spuntati e obsoleti della politica statal-nazionale. Richiedono nuove forme di cooperazione tra i gruppi umani. Insomma, una visione radicalmente rinnovata dell’arte del governo.
Quali vicende segnano l’emergere e gli sviluppi della governance?
“Governance” è una parola ambigua e al tempo stesso ubiquitaria, che viene impiegata su scale molto diverse, dalla gestione di un dipartimento universitario o di un’impresa a quella della comunità internazionale nel suo complesso. Indica, in linea generale, il venir meno del modello “leviatanico” dello Stato, basato sul “government” e su processi di decisione esclusivi e verticali che vanno dai governanti ai governati, e l’affermazione di modelli almeno in parte orizzontali di governo delle società umane, in cui diventano attori primari di decisione politica altri soggetti pubblici e privati, come le grandi aziende, i sindacati, le organizzazioni non governative. Per alcuni è una benedizione, perché viene messo in discussione il carattere in ultima istanza “autoritario” di ogni forma di governo. Per altri è una maledizione, perché gli interessi pubblici – tradizionalmente garantiti dal soggetto pubblico per eccellenza, lo Stato – verrebbero così asserviti agli interessi privati, in primo luogo a quelli dei “forti”, le grandi aziende, potenti gruppi finanziari, lobbies sempre più influenti e via dicendo. Di fatto, però, è attraverso meccanismi di “governance” che si gestiscono ormai, in grande e in piccolo, i più diversi gruppi umani. Il che, tra l’altro, non costituisce esattamente una novità del tempo presente.
Di fronte alle sfide poste dalla globalizzazione, quali ridefinizioni della democrazia sono possibili?
Difficile dirlo. Tutti riconoscono che la democrazia per come l’abbiamo conosciuta è ormai in crisi. Dopo di che, l’elenco delle ricette è molto vario. C’è chi invoca la democrazia cosmopolitica, un bel sogno difficilmente realizzabile. Chi vorrebbe tornare a forme primitive di democrazia di prossimità, su quella scala locale che i processi di globalizzazione rendono sempre meno attrezzata a governarne i processi. Chi immagina forme spinte di direttismo, una sorta di ritorno tecnologico al modello dell’ecclesia ateniese. Chi, ancora, si lascia sedurre dalle sirene del populismo e talora degli stessi regimi autoritari. Regna insomma – questa volta “sovrana” – la confusione, il conflitto delle visioni. Ma è quanto accade nelle epoche di transizione e di accelerazione del tempo storico: per l’appunto, la nostra epoca.
Francesco Tuccari è ordinario di Storia delle dottrine politiche presso l’Università di Torino. I suoi ambiti di ricerca riguardano la storia del pensiero politico e più in generale la storia contemporanea. Si è occupato e si occupa più specificamente di storia dell’Italia, della Germania e degli Stati Uniti tra XIX e XXI secolo; di teorie della democrazia e delle élites; di storia e teoria dei partiti politici; di storia e teoria delle relazioni internazionali e del nazionalismo. Ha dedicato molti anni allo studio dell’opera di un grande classico del pensiero politico e sociale novecentesco: Max Weber. Ha recentemente pubblicato da Laterza La rivolta della società. L’Italia dal 1989 a oggi (2020).