
Protagoniste del racconto sono due ragazzine di tredici e diciassette anni, Angelica e Carlotta, divise dalla separazione «di una coppia di genitori quarantenni decisi a inseguire le loro necessità amorose a scapito delle figlie. Narcisi, distratti, ostinatamente giovani.»
Costrette ad abitare l’una lontano dall’altra, le due giovani sorelle intessono una fitta corrispondenza nella quale si confidano le difficoltà della vita nelle nuove famiglie: Angelica è rimasta a Roma con la mamma, che frequenta Cesare, e il fratellino Alex mentre Carlotta ha scelto di vivere a Parigi con il papà, che ora convive con Valerie e i suoi due figli Pauline e Didier: «Non sono qui per mia volontà. Sono qui in seguito a un’illuminazione. Lui mi è stato grato, quando gli ho chiesto asilo presso Valerie. Un pareggio, nella partita contro mamma.»
Le lettere che le sorelle si scambiano sono l’occasione per condividere la sofferenza del momento: «Non abbiamo mai sentito il bisogno di scriverci. Ci parlavamo. Ma scrivere è più potente, è un risarcimento per solitudini precoci, non volute, come questa separazione fra sorelle. Ora che siamo povere una dell’altra, ci scriviamo.»
Valerie mal sopporta la presenza di Carlotta: «La mia presenza nella sua casa la rende molto infelice. È innamorata di mio padre, ma, alla sua età, la faccenda è complicata. A quarant’anni si vive una specie di torrido agosto. Fa ancora caldo, ma l’estate sta per finire, e dietro di te ci sono giorni di sole accumulato, detriti portati dalle maree. Io sono un detrito, l’avanzo di un’altra vita, le sporco il panorama. […] Ha detto che non devo pensare di perdere il mio caro papà se torno dalla mia cara mamma, il caro papà verrà sempre a trovarmi e anche lei, se voglio».
Angelica è esuberante, Carlotta riflessiva e introversa: «Il mio francese è perfetto per me, ma penso che tu lo troveresti insufficiente: capisco benissimo quando altri parlano, ho una certa difficoltà a esprimermi. Così posso tacere e ascoltare, il che corrisponde in pieno alle mie esigenze.»
Carlotta pratica la meditazione, Angelica è in terapia psicanalitica impostale dalla madre, con la quale vive un rapporto conflittuale: «Non la odio. Non riesco a odiarla. Immagino che si possano odiare genitori dai contorni più precisi. Lei ondeggia, si confonde. Quando è depressa è normale, quando si arrabbia o è allegra recita. Allora ti viene voglia di spegnerla, o di uscire dopo il primo tempo. Ma non di farle veramente del male.»
Angelica scrive con un sarcasmo capace di generare grande ilarità, uno stile limpido e lucido figlio del carattere forte e smaliziato della tredicenne: impossibile non sorridere di fronte a frasi come «Se papà ritarda gli alimenti di aprile andrò a battere, diglielo» o «Tra un po’ sarò costretta a farmi sbattere dal tabaccaio in cambio di un francobollo espresso per la Francia.»
Anche la sorella e il padre riconoscono le sue doti letterarie: «scrivi dannatamente bene, e sono certa che lui ha ragione, diventerai una scrittrice di quelle che vendono perfino i loro libri […] Però, ho detto, non deve soffrire troppo. Soffrire un po’ fa bene alla letteratura. Ma non bisogna eccedere.
L’annuncio del trasferimento a casa di Cesare, getta Angelica nella disperazione. La corrispondenza con Carlotta si interrompe per oltre un mese. Angelica è scomparsa, scappata da casa.
È Carlotta a ritrovarla, tornata in Italia, e a scoprire così la verità: «“È per colpa mia che sei scappata da casa. Ero io che ti mancavo. Non dovevo farlo. Non dovevo andarmene.”
– “Perché l’hai fatto?” mi chiede, con una voce atona, soffocata.
– “Un attacco di presunzione,” dico “volevo ristabilire un equilibrio. Ma l’equilibrio non è una faccenda aritmetica. Una figlia di qua, una di là.”
– “E qual è l’equilibrio? Dov’è?”
– “Non lo so, di volta in volta va ad annidarsi in un posto diverso.”
– “Adesso?”
– “Qui. Adesso è qui.”
– “Perché?”
– “Non senti? Non lo senti che la somma di noi due è uno?”»