“La società feudale” di Marc Bloch

La società feudale, Marc BlochLa società feudale
di Marc Bloch
Einaudi

«Solo da un paio di secoli un libro avente per titolo La società feudale può sperare di fornire in anticipo un’idea del suo contenuto. Non che l’aggettivo, in sé, non sia abbastanza vecchio. Nella sua forma latina – feodalis – risale al Medioevo. Il sostantivo «feudalesimo», più recente, risale al più tardi al secolo XVII. Ma l’uno e l’altro termine conservarono a lungo un valore strettamente giuridico. Essendo il feudo, come vedremo, una forma di possesso di beni reali, veniva inteso con feudale «quel che concerne il feudo» – diceva il dizionario dell’Académie française – e con feudalesimo ora «la qualità del feudo», ora gli oneri propri a questo. Nel 1630, il lessicografo Richelet dice che eran «termini di giuristi», non termini storici. Quando si pensò di allargarne il senso sino ad usarli per designare uno stadio di civiltà? «Governo feudale» e «feudalesimo» figurano, in questa accezione, nelle Lettres Historiques sur les Parlemens, pubblicate nel 1727, cinque anni dopo la morte del loro autore: il conte di Boulainvilliers. È l’esempio più antico che un’indagine abbastanza accurata mi abbia permesso di scoprire. Forse un altro studioso sarà, un giorno, più fortunato. Boulainvilliers era un uomo veramente singolare: a un tempo amico di Fénelon e traduttore di Spinoza, soprattutto ardente apologista della nobiltà, che egli immaginava discesa dai capi germanici […]; ci si lascia volentieri tentare dall’idea di fare di lui, sino a più ampie informazioni, l’inventore di una nuova classificazione storica. Poiché, in verità, di questo si tratta, e i nostri studi hanno conosciuto poche tappe cosi decisive come il momento in cui «Imperi», dinastie, grandi secoli – ciascuno d’essi raccolto sotto l’appellativo di un eroe eponimo – in una parola, tutte queste vecchie spartizioni, nate da una tradizione monarchica e oratoria, cominciarono a lasciare il posto a un altro tipo di divisioni, fondate sull’osservazione dei fenomeni sociali.

A un più illustre scrittore era tuttavia riservato di dare diritto di cittadinanza all’idea e al suo nome. Montesquieu aveva letto Boulainvilliers. Il vocabolario dei giuristi non aveva, d’altronde, nulla che lo sgomentasse; la lingua letteraria doveva infatti arricchirsi per merito suo delle spoglie di causidici e notai. Se pare che egli abbia evitato il vocabolo «feudalesimo», certo troppo astratto pel suo gusto, fu senz’altro lui a imporre al pubblico colto del suo secolo la convinzione che le «leggi feudali» caratterizzarono un momento della storia. Dalla Francia, le parole, con l’idea, si irradiarono sulle altre lingue d’Europa, ora semplicemente calcate, ora, come in tedesco, tradotte (Lehnwesen). La Rivoluzione infine, ergendosi contro quanto ancora sussisteva delle istituzioni appena battezzate dal Boulainvilliers, finì col render popolare il nome che, in un senso del tutto opposto, egli aveva dato loro. «L’Assemblea Nazionale – dice il famoso decreto dell’11 agosto 1789 – distrugge interamente il regime feudale». Come mettere d’ora innanzi in dubbio la realtà di un sistema sociale la cui distruzione era costata tante fatiche?

Questo termine, destinato a tanta fortuna, era tuttavia, bisogna pur confessarlo, scelto molto male. Abbastanza chiare sembrano, senza dubbio, le ragioni che, all’origine, ne decisero l’adozione. Contemporanei dell’assolutismo monarchico, Boulainvilliers e Montesquieu consideravano il frazionamento della sovranità tra una moltitudine di piccoli principi o, persino, di signori di villaggi, come la più stupefacente singolarità del Medioevo. Questo carattere appunto ritenevano di esprimere pronunziando il nome di «feudalesimo». Poiché, quando parlavano di feudi, pensavano ora a principati territoriali, ora a signorie. Ma, di fatto, né tutte le signorie erano feudi, né tutti i feudi, principati o signorie. Soprattutto è lecito dubitare che un tipo abbastanza complesso di organizzazione sociale possa essere qualificato in modo felice, sia per il suo aspetto esclusivamente politico, sia, se «feudo» viene considerato in tutto il rigore della sua accezione giuridica, per una forma di diritto reale. Le parole sono come monete molto usate; a forza di circolare di mano in mano, perdono il loro rilievo etimologico. Oggi, nell’uso corrente, «feudalesimo» e «società feudale» ricoprono un intricato complesso di immagini in cui il feudo propriamente detto ha cessato di figurare in primo piano. […]

£ un grave problema sapere se altre società, in altri tempi e sotto altri cieli, abbiano o no presentato una struttura abbastanza simile, nei suoi aspetti fondamentali, a quella del nostro feudalesimo occidentale, onde meritare a loro volta di essere chiamate «feudali». Lo riprenderemo alla fine di quest’opera. Ma questa non gli è dedicata. Stiamo per tentare l’analisi di quel feudalesimo che, per primo, assunse tale nome. Sotto l’aspetto cronologico l’indagine, fatta riserva di qualche problema d’origine o di continuità, sarà dunque circoscritta a quel periodo della nostra storia che si estende, press’a poco, dalla metà del secolo XI ai primi decenni del secolo XIII; sotto quello geografico, all’Europa occidentale e centrale. […]

La parola «feudalesimo», applicata a una fase della storia europea, nei limiti cosi fissati, può bensì essere stata – come vedremo – oggetto di interpretazioni quasi contraddittorie; la sua stessa esistenza attesta l’originalità istintivamente riconosciuta al periodo che essa qualifica. Talché un libro sulla società feudale può essere definito come uno sforzo per rispondere a un problema posto dal suo stesso titolo: per quali singolarità questo frammento del passato ha avuto il pregio di essere stato isolato dai suoi vicini? In altri termini, quel che qui ci proponiamo di tentare è l’analisi e la chiarificazione di una struttura sociale, con tutti i suoi legami.»

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