
Quale funzione rivestono le sirene nell’arte medievale?
Diverse funzioni. Mi sia concessa però, prima di rispondere, una premessa. Il Medioevo eredita dall’Antichità l’affascinante figura della sirena. Il suo significato e il suo aspetto cambiano a seconda del tempo e del contesto. All’inizio per i Padri della Chiesa e i commentatori della prima cristianità questa mitica creatura rappresenta la lussuria e l’inganno e questo è il suo messaggio prevalente nei secoli successivi. Comunque la cosiddetta età di mezzo ricava dal passato anche interpretazioni più positive della sirena rispetto a quelle sviluppate dal filone omerico (l’episodio di Ulisse e le sirene, ripreso e commentato).
Riguardo al suo aspetto, la sirena appare sia donna-pesce sia donna-uccello, sia un ibrido tra queste due forme. La prima descrizione di tali creature come donne-pesce si legge nel Liber monstrorum, un testo composto nell’VIII secolo nel Settentrione europeo (probabilmente in Inghilterra). In quest’opera si afferma che le sirene sono “marinae puellae”, hanno corpo di fanciulle fino all’ombelico e code squamose di pesce e ingannano i marinai con il loro bellissimo aspetto. Ma l’arte figurativa, come già detto, non sempre le raffigura come esseri marini e tantomeno affascinanti (in quanto simbolo negativo). Dal XIII secolo in poi la sirena-pesce prevale in maniera quasi definitiva, forse per motivi simbolici o più banalmente pragmatici (la coda si prestava meglio ai giochi compositivi).
Secondo una lettura cristiana, quando sono simbolo di lussuria, le sirene devono servire ad ammonire i fedeli nei confronti di uno dei peccati più raffigurati nel Medioevo. Talvolta però esse rivestono una funzione cosmografica, sono utili perciò per descrivere il mondo, ovviamente quello presente nella mente di un uomo medievale. In alcuni casi, è stato ipotizzato che le sirene rappresentino l’acqua rigeneratrice, che porta conoscenza sapienza e salvezza. Last but not least, le sirene possono avere anche semplicemente un valore decorativo (soprattutto, ma non solo, nella forma di donna-pesce a due code).
Per concludere, questa ambigua figura, in quanto essere fantastico e mostruoso, non vuole e non può sottostare a rigide e noiose tassonomie. Guardare (e leggere) per credere.
Delle sirene, è proverbiale il canto: quale valore assume, all’interno del mito, la musica delle sirene?
C’è un legame molto stretto tra il corpo della sirena e la sua modalità espressiva. La trasformazione iconografica che avviene nel corso del tempo non riguarda soltanto la rappresentazione visuale della sirena, ma anche la modalità specifica della sua produzione fonica. Per la sirena-uccello il canto è uno strumento fondamentale per esercitare la sua forza ammaliatrice perché produce a un’ancestralità’ acustica in cui melodia e narrazione si fondono perfettamente, creando un’armonia in grado di sconvolgere le menti e spingerle verso la morte. Il potere di questo canto, che ha origine dall’ibridazione corporea tra donna e animale, è legato non soltanto alla dimensione musicale ma anche a quella narrativa. Come ci mostra perfettamente Omero, le sirene intonano un canto che è già storia, perché già raccontato dal poeta, promettendo di narrare nuovamente quanto accaduto e di celebrare le grandi imprese compiute dagli eroi, ma parallelamente mettono in scena ciò che accade in patria creando così una grande trappola per la nostalgia. Ora, con il progressivo passaggio da una rappresentazione ornitomorfa a una ittiforme, la sirena perde la necessità fisica di cantare e la potenza mortifera che la caratterizza si lega più strettamente alla sua avvenenza e alla capacità di emettere sussurri indistinti. Facendo un balzo nella contemporaneità, l’annullamento del canto fa strada al singhiozzo sincopato per giungere al puro silenzio di cui narra il racconto di Kafka. Lo spazio letterario in cui vengono relegate le sirene mute, come acutamente mostra Blanchot, diventa la possibilità ultima perché questo canto, svuotato ormai di ogni grana fonica, possa comunque aprire a una nuova esperienza di ascolto di un silenzio mormorante o profondo, che non è semplice dimensione anacustica, ma brulichio di piccoli suoni impercettibili che chiedono una forma di udibilità inedita, capace di cogliere l’espressivo-inespressivo di cui il silenzio è portatore.
Come viene rappresentata la figura della sirena nella letteratura dall’Ottocento a oggi?
Nei secoli XIX, XX, XXI molti autori, italiani e no, più o meno noti, dedicano numerose pagine alle sirene, ma lo fanno con modalità diverse: vi è chi resta nel solco della tradizione senza discostarsi sostanzialmente dalla rappresentazione che ce ne davano gli antichi; c’è chi rovescia il topos, che da bello e fantastico si trasforma in brutto e reale, seguendo il percorso già tracciato da Dante nella Commedia; c’è chi, infine, lo annulla, vanificando così la possibilità della sopravvivenza del fantastico, modo nel quale si muove il mito. Il percorso proposto in questa terza parte del libro – che, pur occupandosi di letteratura, non disdegna la prospettiva comparata e transmediale − si interroga sui diversi modi in cui il mito antico viene analizzato e rinnovato, per mettere in luce le diverse proiezioni che costruiscono e ricostruiscono tale mito. Così facendo, illustra come sia cambiato il modo della sirena di presentarsi, di muoversi, di avvicinarsi e di entrare in relazione con l’uomo, modo che mostra come si è passati dal dover difendersi dalle sirene al doverle difendere. Al centro del discorso non c’è solo il soggetto che provoca l’incantamento − le sirene − ma anche l’oggetto dell’incantamento − l’uomo − e tale discorso è propedeutico al passaggio dall’incanto al disincanto. La sirena, da crudele e scellerata (Capuana, Melville), da femme fatale e ammaliatrice (Ocampo), diventa fanciulla della porta accanto (Camilleri), barista (Joyce), creatura che geme (Pascoli) e il suo canto seducente e adescatore si trasforma in insulto (Brecht) e si riduce in silenzio (Kafka). Dal silenzio al suo annullamento (Malaparte, Pugno) il passo è breve. In questo percorso evolutivo la scomparsa del canto, elemento di fascino, seduzione e perdizione, prelude al tentativo di annullamento del mito che, in ultima analisi, corrisponde alla rinuncia a fantasticare. La lunga parabola si snoda quindi dalla tradizione del mito alla sua pseudo-cancellazione attraverso le molteplici immagini letterarie che dal modello primario, punto di partenza sempre tenuto presente come pietra di paragone, si trasformano in fenomeno socio-economico (pubblicità, cinema, fumetti, canzoni). Senza creare una faglia col passato, l’antico mito è tenuto in vita attraverso la ricerca di nuovi modelli, modernizzando e modificando l’antico.