“La simbologia delle piante” di Carlo Lapucci e Anna Maria Antoni

Carlo Lapucci, Lei è autore assieme alla botanica e compianta moglie Anna Maria Antoni, della monumentale opera La simbologia delle piante, edita da Sarnus: perché l’uomo ha da sempre associato alle piante significati simbolici?
La simbologia delle piante Carlo Lapucci Anna Maria AntoniLa pianta è stata la culla della vita: quando l’uomo è apparso sulla terra, nei modi e nella forma in cui si immagina, ma non si conosce, certamente il suo primo incontro è stato con una pianta: un albero come riparo dalle intemperie, dal sole, un’erba, un frutto come alimento, un fascio di paglia o di foglie come giaciglio, un ramo come arnese, come arma e così via: le piante sono state l’avvio dell’uomo nel viaggio dall’animalità alla civiltà, o comunque alla sua evoluzione. La simbologia botanica ha accompagnato questa vicenda compendiandone i punti fondamentali, così come è servita come metafora a sondare il mistero della vita, dell’origine, del destino, della natura umana, del suo perché. L’albero è la sintesi del mistero della vita: affonda le sue radici nel buio della terra, nella zolla che a noi pare inerte, alla quale abbiamo terrore di tornare e che pure ci genera. Affiora sulla terra dove si concretizza in forme vitali e meravigliose, apre le braccia verso il cielo e la luce in un anelito inesausto a una realtà metafisica che sente, sogna e desidera: l’albero cosmico è l’emblema più alto e più vero della vita e dell’uomo, tema che si traduce in moltissime leggende, analogie, miti che sono stati per millenni lo specchio in cui si è guardato l’uomo riflettendo il suo essere e il suo destino. Ne deriva che il mondo vegetale, con la sua storia più lunga di quella umana, con le sue varietà sterminate di forme, di immagini, di processi vitali, sia stato il libro più vasto della natura.

In un’epoca tecnologica e razionalista come la nostra, le piante mantengono una loro simbologia nella nostra vita quotidiana, addirittura nella politica: pensiamo all’ulivo o alla quercia utilizzati nei simboli di alcune forze politiche: qual è il loro significato?
Il mondo tecnologico ha imboccato una strada sbagliata che lo porta rapidamente fuori delle braccia della natura, lontano dalle sue scaturigini vitali, quindi anche dalle metafore e dai simboli che possano, se non spiegare, acquietare, sedare l’ansia della vita, l’assillo del suo mistero e della sua fine. Non è che la scienza e la tecnica siano contrarie a una vita armonica con le creature del cosmo, ma è la brutale, arrogante violenza del mondo delle macchine nell’imporre le meschine pretese del profitto, del preteso benessere ad essere una colpa. Questa si scaglia contro gli altri esseri del mondo, siano questi vegetali che stermina nelle specie, come animali, che annienta con diserbanti e veleni, cancella col diboscamento, altera con le manipolazioni, costringe in coltivazioni coatte, consuma in modi dissennati. Nondimeno le piante s’impongono con la loro incoercibile presenza, quasi volessero dire che inevitabilmente vinceranno loro, perché loro è la forza vera della vita. Dopo un bombardamento atomico, dove l’uomo non esiste più, ne può entrare, i muschi affiorano e ricominciano il loro secolare lavoro di preparare l’humus nel terreno desertificato. Licheni, microrganismi, alghe ricominciano la sinfonia vitale che ricostituisce la foresta, coi profumi, i colori, il fruscio del vento, i covi delle bestie e i canti degli uccelli. L’uomo sente questo immenso potere e guarda ancora con ammirazione e timore le essenze vegetali, avvertendo, come i primitivi, che in loro c’è una cifra del mistero, del perché e dell’immensa dignità della vita che, devastata dall’egoismo insipiente, risorge dallo scrigno della terra.

Perché si usa cingere di alloro la testa dei neolaureati?
Mi pare che nella parola laurea ci sia la prima risposta alla domanda: laurus è la parola latina che indica l’alloro e si collega a laurea proprio rappresentando il serto che onora colui che raggiunge uno scopo prefissato: in questo caso il titolo di studio riconosciuto da un ateneo. La scelta della pianta come emblema esemplifica i vari passaggi attraverso i quali un vegetale (o altro) diviene un simbolo. L’alloro è una pianta inutile in quanto non si presta a una coltivazione o a una raccolta per fini pratici o economici, per cui non è servile. Il nome scientifico è Laurus nobilis: non essendo utile, come il grano, s’impone tuttavia per la sua personalità: ha un aspetto di grande decoro, per cui viene piantato come ornamento in luoghi eletti, religiosi o di rispetto; ha un profumo avvolgente, profondo, un colore serio, un verde cupo non chiassoso, che non viene interrotto da colori di fiori vistosi, anzi sono quasi invisibili, e ha solo piccole bacche. È pianta perenne, non perde mai le foglie col freddo al quale resiste, come alla siccità e alla scarsezza di alimento, crescendo anche in zone povere. Non è invadente e si circonda intorno di uno spazio libero nel quale difficilmente consente la presenza di altre piante. Vive lungo i muri, soprattutto di edifici in zone tranquille, dimenticate, non proprio rovine, ma aree di quiete come monumenti, tempi, sacelli. Tutto ciò l’ha fatto pensare a un essere appartato, ma denso di capacità, di sapienti scelte, in definitiva di pensiero e quindi di saggezza. È divenuto la pianta sacra di Apollo, il dio del sapere, delle arti, delle scienze e quindi della poesia. Il mito si è arricchito della diceria che vicino alla pianta non cadano i fulmini, avvicinandolo a Giove e facendone l’essenza protettrice delle abitazioni, presso le quali usa ancora piantarlo e curarlo. Se si aggiunge il concetto di perennità (che condivide con la quercia) si comprende come, insieme alle sue capacità decorative, possa essere divenuto la corona dei trionfatori e dei poeti che si incoronavano d’alloro soprattutto dopo un certame, una gara.

Anche la tradizione natalizia ricorre abbondantemente alle piante: dal vischio, all’abete, qual è il loro significato simbolico?
Il Natale privilegia le piante nella simbologia e nei riti soprattutto nelle zone settentrionali dove appunto la presenza dei vegetali è più consistente e diffusa. Le ragioni specifiche per le quali ogni pianta, come la stella di natale, ha trovato una sua funzione nella celebrazione natalizia si trovano sfogliano le pagine del libro La simbologia delle piante. Spesso si tratta di leggende che sarebbe lungo raccontare. Importante è il motivo simbolico forte della pianta che si collega a quello natalizio della luce. Faremo l’esempio dell’abete. Albero di forte personalità, nobiltà e portamento monumentale, dritto, ha creato fin dal paganesimo la credenza d’essere depositario di forze misteriose e rappresentare l’emblema dell’animo che si eleva al cielo o verso le cose sublimi. Si crede pertanto che, come in tempi greci e romani si riteneva per tutte le piante, nell’abete alberghino esseri, forze o anime superiori, in particolare spiriti dell’aria che si nascondono all’interno della pianta per trascorrere l’inverno, uscendo poi a fecondare la terra all’arrivo della bella stagione. Da qui è naturale immaginare il significato della luce che si ottiene nel periodo natalizio cospargendo le fronde dell’albero di candeline, luci e globi sfavillanti ottenendone un albero illuminato, un albero della luce. È in fondo come il sole che nel cuore dell’inverno si fa strada nelle tenebre verso la Resurrezione. È stato quindi naturale per la Chiesa accettare questa tradizione nordica dell’albero di Natale come simbolo della Luce trascendente, nascosta nella materia vegetale, come il Redentore nella paglia e nel fieno della mangiatoia di Betlemme.

I nostri cimiteri sono tutti ornati con cipressi: come mai?
Questa pianta mediterranea, longeva, alta, aghiforme, con foglie scagliose sempreverdi di colore verde cupo ha una fortissima personalità. Chiusa nel suo manto alberga altra vita come muschi, animali, è anch’essa inutile e quindi nobile. Per l’aspetto, le caratteristiche e le dicerie ha una grande quantità di simboli come il Dolore, per l’austero raccoglimento, del ritiro in se stessi per la meditazione, chiudendo in se la sofferenza di affetti perduti e ricordi di persone scomparse. La solitudine, perché sta spesso isolata in mezzo alla campagna come chiusa nei suoi rami. Religiosità: è come un omaggio d’incenso rivolto al cielo, un turibolo fumante. Il turibolo appunto, oltre alla forma di pina, anch’essa resinosa e profumata, assume spesso quella stilizzata del cipresso, assai vicina a quella della fiamma, che giustamente soggiorna nei cimiteri quasi per sollevare una preghiera continua delle anime anelanti a raggiungere la felicità del Paradiso. È inoltre segno del regno dei morti, del mondo sotterraneo perché si vuole che la radice della pianta raggiunga profondità considerevoli: il ramo principale affonda nella terra almeno per la stessa lunghezza in cui l’albero si protende in alto, mentre le diramazioni secondarie scendono ancora di più. Per questo è stato considerato nel paganesimo, insieme al tasso, la pianta che è più in contatto con le regioni sotterranee, i mondi inferi ed era consacrato al culto di Plutone, sovrano del regno dei morti. Inoltre una volta tagliato il tronco, il ceppo del cipresso non metterà più virgulti.

Molte piante possiedono, oltre ad un nome scientifico, anche uno popolare: qual è la loro origine e quali sono i nomi volgari più affascinanti?
Non è cosa nuova il fatto che in Italia, più che altrove, ogni buco di topo ha la sua cultura e il suo linguaggio: è una ricchezza che la globalizzazione vuole portarci via, ma non ce la farà. A certe singolarità è legata la nostra storia, la nostra cultura, la personalità d’una comunità che vive con il suo spirito e il suo pensiero. È una ricchezza, come lo sono le varietà dei salumi, ciascuno dei quali ha una caratteristica e un nome diverso, zona da zona, i formaggi, i piatti della cucina e tante altre cose. Le varie popolazioni hanno battezzato le stesse piante con nomi diversi che formano un mosaico multicolore, secondo l’utilità, l’aspetto, gli usi, la diffusione. I nomi popolari sono infiniti dal Cenisio alla balza di Scilla e ognuno rivela un rapporto particolare che quella popolazione ha avuto con quell’erba, quell’albero. Sono un capitolo di antropologia ancora non studiata, che ha da dire molto sulla vita di questo popolo. Le diversità vanno sparendo per l’uniformarsi del linguaggio, ma sono tenaci in quanto sono comunicate dalla lingua materna. Come ho scritto nell’Introduzione al volume il procedimento non è lontano da quello dei soprannomi e paradossalmente non sono le grandi piante o le più note ad essere ricche di nomi sinonimi, come il giglio, la rosa, la cipolla, ma quelle più modeste, come il tarassaco, soffione o dente di leone per indicare il quale c’è un piccolo dizionario: Pisciacane, in quanto la pianta è presente costantemente ai piedi dei muri; Soffione, dal globo delicato dei frutti che si disfa al soffio del vento; Testa di frate (o di monaco): appare come una chierica: Castracani (antico), Dente di leone, Dente di cane, Bugia, Macerone, Piscialletto, Grugno di porco, Cicoria selvatica, Cicoria asinina, Mi vuoi bene – Mi vuoi male, Rosorella di bosco, Piumino, Girasole di prato, Radicchiella, Volarina, Ingrassaporci, Capo di frate, Erba di pernice, Radicchio dei porci, Radicchiessa, Vesciarola, Lampioncino.

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