
Le fonti citano un capostipite (Standholf di Michiken) vissuto nel XIII secolo in parte a Messina dove pare fosse un cavaliere dell’Ordine Teutonico, ma probabilmente egli era originario da Villalba, ove insisteva il Feudo di Michiken, appunto, riportato da Michele Amari come Miḥikan, quindi, con molta probabilità (le fonti non lo dicono) egli aveva rapporto con quel feudo da cui prendeva nome e non è chiaro se altri suoi antenati avessero quel titolo prima di lui, come si può pensare. In genere per i casati nobili siciliani è difficile dire qualcosa di certo prima del XII-XIII secolo, quindi non ci sentiamo di andare a datazioni più alte neppure in questo caso. Comunque, già parlare del XIII secolo ci consente di pensare di avere solo scalfito una storia di 7-8 secoli, con alti e bassi, di un casato imparentato con altre tra le più importanti famiglie siciliane.
Qual è l’etimologia del nome?
Come accennato, Amari individuava il casale arabo di Miḥikan (poi feudo) presso Alimena, ma più esattamente esso aveva luogo presso l’attuale paese di Villalba. Nel libro tentiamo una ricostruzione etimologica cercando di restare fedeli all’arabo classico; Amari non dirime la questione. D’altro canto, Girolamo Caracausi, citando i diplomi bizantini catalogati da Salvatore Cusa, tenta una ricostruzione dal greco Mitzekenion (Μιτζηκένιον), ma anche in questo senso non andremmo lontano senza congetture e argomentazioni nostre, che non sono però supportati dalle fonti. È certo quindi un legame con il casale (poi feudo) ma non l’esatta etimologia. Ad ogni modo, nel libro propendiamo verso l’arabo, qualcosa di vicino a “pietra miliare, pietra di paragone”, detto del luogo e poi passato al cognome. Non si dimentichi che in Sicilia, soprattutto in quella occidentale, notevole è stato l’influsso degli Arabi (e i berberi) prima e di quello che possiamo chiamare periodo arabo-normanno dopo, e ancora tra il 1100 e il 1200 esistevano casali che erano stati casali arabi e di questi portavano il nome. Una fonte cita alcuni personaggi arabi, come Gaytus de Michiken e Ychie de Michiken, già nel 1100, ma non sappiamo se questi siano gli antenati (o parenti) di Standolfo (Standholf) di Michiken o solo proprietari di quelle terre che in seguito vennero chiamate Feudo di Micciché (ora Villalba).
Quali vicende segnarono la storia della casata?
Anche qui se fonti sono avare di notizie, abbiamo solo ricostruito frammenti: si inizia dalle vicende del probabile capostipite, Standholf, cavaliere dell’Ordine Teutonico presente a Messina (ma probabilmente portatosi là dal centro della Sicilia, forse Villalba) e da alcune fonti definito «proveniente da Alemagna» (Vassallo), che tramite i suoi discendenti Guido (o Guidone), Tomeo, e poi Giovanni, Pietro, Margarita, Elisabetta ed altri si insediarono a Scicli, Naro, Piazza Armerina e forse altre città (Caltanissetta, ecc…). Fonti frammentarie che ci permettono di citare esponenti della famiglia dal XIII al XVII secolo, senza peraltro poter ricostruire una genealogia completa. Soprattutto notevole, nel Seicento, fu l’opera di Don Giuseppe Micciché e del figlio Vincenzo a Scicli, specialmente durante la Peste del 1626 e per la fondazione della Scuola pubblica dei Gesuiti, la prima scuola pubblica in Sicilia.
Poi abbiamo quasi nulla per il XVII secolo e di nuovo notizie di Micciché a Palermo, Caltanissetta, Pietraperzia ed altre città nel XIX secolo, quando, volutamente, fermiamo la nostra ricerca, che non vuole essere una genealogia ma solo un modo di vedere vicende siciliane attraverso le sorti di questa famiglia e di quelle ad essa imparentate.
Contemporaneamente alle sorti dei nobili, nel volume riportiamo i pochi cenni di personaggi del popolo, con qualche caso di persone “discutibili” riportate in alcune fonti o rapporti di polizia, soprattutto nel Quattrocento, nel Seicento e nell’Ottocento, come un don Niccola (siamo nel 1848) di cui un rapporto di polizia sottolinea che «prima del 1848 egli era mastro Niccola Micciché calzolaio ed oggi di seguito a quell’e- poca per lui felice è divenuto don Niccola», definito capo dei ribelli palermitani o come anche i pochi cenni su Paolo Micciché, definito tout court “lu briganti” o, infine, alle vicende “torbide” di Antonuzzo Micciché che si appropriava di terre attorno a quelle a lui assegnate dal Conte di Modica, aumentando la sua ricchezza a tal punto che i conti (catalani) dovettero imporre pure a lui una “repreza”, una rimisurazione per ricondurlo al pristino stato, non riuscendovi, peraltro.
Chi ne furono gli esponenti più illustri?
Sicuramente (a parte i già detti Standholf, Guido e Giovanni) don Giuseppe Micciché, che possedeva terre in varie città siciliane e non solo a Scicli, sua sorella Gerlanda (moglie del nobile Vincenzo Passanisi) e il figlio don Vincenzo Micciché, sposato a Beatrice, una nobile della famiglia Paternò, un nobile casato del catanese, poi altri loro collaterali, come Andrea, Antonuzzo, Pietro ed Elisabetta (due cugine).
Ancora Andrea barone del Comiso e del Consorto, Francesco altro barone del Consorto, don Pietro da Piazza Armerina con le sorelle Chiara e Antonia (entrambi suore con il privilegio dell’arme gentilizia scolpita nel chiostro ove furono sepolte), due omonimi notari di nome Girolamo (uno a Scicli, l’altro a Caltanissetta), altro Girolamo (da Pietraperzia) barone del Consorto, Pietro “secreto della Città di Palermo”, un altro Pietro Micciché e suo figlio Marc’Antonio Micciché e Colnago che furono baroni di Grottacalda, Francesco Micciché, don Ivo Micciché in Caltanissetta, Antonio Miccicheni da Pietraperzia, citato a proposito dell’Inquisizione…
Poi vanno citati importanti esponenti la cui madre era una Micciché, ad es. Caterina Romeo e Micciché marchesa di Magnisi (Siracusa), Domenico Di Giovanni e Micciché, principe di Trecastagne, Ninfa Morillo e Micciché, nobile nissena. Aspetto, questo, che ci consente di ricostruire frammenti della storia di altre nobili famiglie, come i Moncada (tra cui un viceré), gli Alliata, i Trigona, i Di Giovanni, i Colnago, i Paternò, ecc… che furono assai importanti per la storia siciliana dal XIII al XIX secolo.
Ma vanno citati anche personaggi e nobili che non discendevano direttamente dal casato ma presero il nome di Micciché dal feudo, come la nobile famiglia Palmieri di Micciché il cui più illustre esponente fu l’intellettuale Michele Palmieri di Micciché, storico a contatto con Giuseppe Mazzini che a lui indirizzò una importante lettera (riportata nel libro).
In che modo la storia della casata offre un significativo spaccato culturale e storico da cui partire per capire la Sicilia, la sua gente e le sue dinamiche storico-sociali?
Come detto, non ci siamo volutamente occupati delle vicende nobiliari ed araldiche della famiglia ma abbiamo riportato quanto si conosce dell’opera degli esponenti di essa in varie occasioni importanti per capire la storia della Sicilia, a partire dalla Peste (in vari anni, ad es. nel 1626) che sterminò molti siciliani e per cui i Micciché, ad es. a Scicli e Naro prestarono la loro opera di beneficenza ed aiuto alle autorità in materia sanitaria e contro chi depredava i cadaveri; si pensi poi al colera che vide altre decimazioni della popolazione e in Palermo anche la perdita di alcuni esponenti della famiglia e di altri nobili e popolani.
Non ultima, è importante l’opera dei notai, come Francesco e Girolamo Micciché che trascrivevano con gli atti la storia dell’Isola, le vicende dei Micciché a Scicli nell’ambito della Contea di Modica, il più vasto stato feudale della Sicilia e ci hanno permesso di ricavare molte notizie sulla storia tra Cinque e Seicento, soprattutto.
Da notare l’aspetto della vita religiosa con le vicende (in Naro) della beata Suor Serafina Maria Pulcella Lucchesi, figlia di donna Francesca Micciché Brancato (nobile da Nicosia) e parallelamente di don Francesco Micciché, là reggente del convento francescano; don Paolo Micciché canonico a Scicli; alcuni Micciché sono citati poi tra i testimoni del processo di canonizzazione del Beato Guglielmo Cuffitella da Scicli.
A proposito di cultura, si ricorda l’opera (seppur breve, essendo egli morto giovane) di don Vincenzo Micciché, tra l’altro poeta latino e quella del già citato storico Michele Palmieri di Micciché, ma anche quella di suo padre, il barone Nicolò Palmieri di Micciché, le opere dei quali contribuirono al progresso della Sicilia a cavallo del Risorgimento.
Le vicende delle famiglie imparentate sono anche più importanti, con principi, marchesi e baroni che possedevano buona parte delle terre siciliane. Si pensi ai Moncada conti di Caltanissetta che annoveravano tra gli esponenti un viceré o ai Trigona e Micciché duchi di Misterbianco e baroni di Cannicarao o ai principi Alliata (Pedara), su cui esiste una vasta letteratura scientifica e storica. I cenni che si danno nel volume sulla Contea di Modica, sul Ducato di Misterbianco e sulla Contea di Caltanissetta bastano a capire come era amministrata la Sicilia dal periodo feudale al Risorgimento e come i Micciché e le famiglie con cui s’imparentarono ne furono, al pari di molte altre, protagonisti.
Oggi la famiglia non ha più quell’importanza che ha avuto in quei secoli, e molte vicende ad essa legate erano state dimenticate; abbiamo voluto estrapolarle dalle carte e dagli archivi e riunirle in questo volume da cui ogni studioso serio può partire per approfondire la ricerca e da cui il lettore curioso può tentare di capire la storia della Sicilia che gira attorno a “Micciché” che è appunto nome di una famiglia e di alcuni luoghi (il feudo, alcune contrade, un borgo), storia che non è facile capire ma che, attraverso le microstorie di alcuni personaggi possono aiutare a comprendere.
Salvo Micciché è saggista e direttore editoriale del quotidiano online Ondaiblea. Rivista del Sudest. Le sue pubblicazioni vertono sulla poesia siciliana, la medievistica, la filologia e la storia locale. Tra gli altri volumi: Onomastica di Scicli (Il Giornale di Scicli, 1991), Zàghiri e Parmi – Omaggio al Siciliano (Biancavela, 2016); Scicli: onomastica e toponomastica (Il Giornale di Scicli, 2017); Scicli. Storia, cultura e religione (secc. V-XVI) (Carocci editore, 2018); La Sicilia dei Micciché (Carocci editore, 2019).