
Da qui la ragione di studiare le forme e i meccanismi che consentono l’applicazione della shari’a all’interno di ordinamenti giuridici occidentali, superando il pregiudizio della assoluta incompatibilità e volgendo lo sguardo ai meccanismi e alle tecniche giurisdizionali che consentono il raffronto tra le disposizioni religiose e quelle vigenti sul terreno concreto dell’applicazione, all’atto della risoluzione delle controversie tra musulmani.
Come viene regolata e disciplinata la giurisdizione religiosa negli ordinamenti occidentali?
Le possibilità che la shari’a trovi applicazione nel territorio di uno Stato democratico e laico sono sostanzialmente riconducibili a cinque modalità, le prime tre ufficiali e formalizzate, le altre entrambe prive di una forma propria; di queste ultime due, l’una è ufficiale, l’altra è priva anche della ufficialità.
Una prima modalità, che potremmo dire fondata sulla incorporazione della shari’a nell’ordinamento dello Stato, trova espressione nell’esperienza della Grecia ove si prevede l’applicazione del diritto islamico per i cittadini della Tracia di fede musulmana, dinanzi a un Mufti, a sua volta inquadrato nell’ordine giudiziario della Repubblica Ellenica. L’applicazione della shari’a è tuttavia rimessa alla scelta delle parti della controversia; esse hanno infatti la facoltà di invocare in alternativa l’applicazione del diritto civile ordinario, anche solo per trarne maggiori vantaggi.
Una seconda modalità è data dalle regole del diritto internazionale privato.
Una terza è offerta dall’arbitrato a base religiosa.
Una quarta si basa sul prudente apprezzamento del giudice che, in sede di risoluzione delle controversie tra musulmani, ha la facoltà di formulare soluzioni interpretative volte a una composizione ragionevole tra il diritto vigente e il diritto islamico (reasonable accommodation) .
Infine, la modalità priva di forma e ufficialità rispetto all’ordinamento vigente è quella che si concretizza nella prassi para-giurisdizionale delle c.d. corti sharaitiche.
Quali problemi pone l’applicazione della shari’a in Occidente?
L’applicazione della shari’a costituisce un “fatto” giuridicamente significativo in quegli ordinamenti dove le minoranze islamiche ne chiedono l’applicazione o ne fanno un uso informale.
In estrema sintesi, si è visto che la shari’a è applicata e produce effetti come fatto normativo che l’ordinamento indirettamente riconosce idoneo a regolare i rapporti tra privati (in virtù delle disposizioni sull’arbitrato, ove lascino la porta aperta al diritto religioso, o in base alla legislazione in materia di diritto internazionale privato); oppure la si utilizza come chiave di lettura e interpretazione del diritto vigente ai fini di una composizione ragionevole (reasonable accommodation) con le istanze di matrice religiosa in sede di giurisdizione civile; ovvero, essa agisce come mera prassi legale, priva di forma e di riconoscimento, diffusa e diritto di famiglia e successorio.
Più in generale, si registra diffusamente quel fenomeno di legal polycentricity , una pluralità complessa di fonti del diritto extra-legali, non statali, dovuta alla presenza nello Stato di gruppi che esercitano variegate forme di autonomia normativa e istituzionale. La varietà di queste forme si deve principalmente al fatto che sono prive di un riconoscimento e inquadramento statale e dunque non sono tipizzate, non corrispondono a modelli preordinati. Tuttavia, le norme che ne derivano sono osservate all’interno dei gruppi, costituiscono sistemi normativi minori e non di rado entrano in connessione con le norme dell’ordinamento statale dando luogo a fenomeni di carattere inter-giuridico o a forme di ibridazione.
Quali modelli adottano al riguardo Regno Unito, Canada e Stati Uniti?
L’arbitrato a base religiosa in materia di diritto di famiglia sembra essere lo strumento formalizzato più efficace: il collegio arbitrale nell’applicare il diritto islamico deve adattarlo – pur senza negarne il significato proprio – al diritto vigente. L’award pronunciato è vincolante per le parti; tuttavia, in caso di inadempimento di una delle parti se ne può chiedere l’esecuzione oppure può essere impugnato dinanzi a una corte civile. In quella sede l’autorità giudiziaria esercita un controllo sulla legittimità della decisione e, se del caso, può annullarla.
Quali prospettive per il tradizionale monopolio statale in materia di produzione del diritto e il processo di istituzionalizzazione dell’Islam?
La partecipazione allo spazio pubblico è una condizione essenziale del dialogo: essa richiede la messa a punto di meccanismi e strumenti di comunicazione idonei a rendere le istanze delle comunità musulmane persuasive e comprensibili. Gli interlocutori sono, al tempo stesso, le istituzioni – a partire da quelle locali, fino agli organismi di governo dello Stato – e la società civile nel suo insieme.
Le forme della partecipazione allo spazio pubblico sono mutevoli e rispondono alle condizioni proprie del contesto in cui si manifestano: tradizionalmente, la comunità di fedeli musulmani in Europa si organizza, costituisce associazioni e dà vita a organizzazioni, fonda scuole dedicate ai giovani della comunità, edifica moschee e minareti; organismi e strutture che rendono visibile e organizzata la presenza della comunità islamica e che rispondono a esigenze specifiche dei fedeli. In altre parole, la comunità islamica costituisce i propri enti e le proprie istituzioni e partecipa allo spazio pubblico. In determinate circostanze, istituisce un proprio partito che ne rappresenta gli interessi politici e le istanze religiose, ma che tuttavia fa proprio lo statuto dei partiti democratici e non si posiziona tra i partiti anti-sistema. In altre parole, non si prefigge di rovesciare l’ordine costituzionale per instaurare una teocrazia islamica soggetta alla shari’a.
Lo sviluppo dei processi di istituzionalizzazione delle comunità islamiche contribuisce a rafforzare la cittadinanza dei musulmani d’Europa; consente loro una più significativa partecipazione alla vita politica del paese e un contributo ai processi democratici di decisione degli atti politici e legislativi.
Il diritto della società politica e il diritto delle comunità religiose presentano diversi spazi di sovrapposizione; ogni società – anche se di ispirazione religiosa – necessita di un sistema giuridico laico perché le norme religiose non coprono l’intera sfera della vita umana.
Il monopolio assoluto della legge secolare e la sua conseguente egemonia sulle altre fonti oggi rappresenta ancora un “baluardo” della civiltà occidentale. La produzione, l’applicazione e l’interpretazione delle leggi sono nelle mani delle istituzioni secolari e rispondono a ragioni e criteri secolari. Per le comunità religiose, specie quelle minoritarie e tradizionalmente estranee al contesto sociale in cui sono stanziate, di fronte a questo scenario si aprono due strade: quella di ricercare la partecipazione allo spazio pubblico per concorrere alla determinazione delle scelte politiche e dei contenuti normativi delle leggi; oppure quella di invocare deroghe e eccezioni all’atto della attuazione di politiche e della applicazione di norme che non hanno contribuito a formare.
La prima via definisce i luoghi del dialogo e ne crea le condizioni favorevoli; la seconda approfondisce i cleaveges delle odierne società plurali.
Angelo Rinella, avvocato, è professore ordinario di Diritto costituzionale comparato presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università LUMSA di Roma