“La Scuola di Scienze corporative dell’Università di Pisa. Studenti, editoria, strumenti” a cura di Fabrizio Amore Bianco e Marco Cini

Dott. Fabrizio Amore Bianco, Lei ha curato con Marco Cini l’edizione del libro La Scuola di Scienze corporative dell’Università di Pisa. Studenti, editoria, strumenti pubblicato da Pisa University Press: quando e come nasce una “scienza del corporativismo”?
La Scuola di Scienze corporative dell'Università di Pisa. Studenti, editoria, strumenti, Fabrizio Amore Bianco, Marco CiniDell’esigenza di fondare una vera e propria “scienza del corporativismo”, intesa come un momento di profondo rinnovamento delle dottrine giuridiche ed economiche secondo i principi del corporativismo fascista, si iniziò a parlare, negli ambienti culturali del regime, tra la fine degli anni Venti, in coincidenza con l’avvio delle prime riforme di carattere sindacale-corporativo, e l’inizio dei Trenta, quando anche in Italia arrivarono gli effetti della “grande crisi” del 1929.

Affermata dal regime la centralità del corporativismo nel problematico contesto delle trasformazioni dell’economia contemporanea – in quest’ottica maturò la lettura del corporativismo come “terza via” di valenza universale, superatrice di capitalismo e socialismo –, alcuni settori della cultura fascista elaborarono – nell’ambito di una certa varietà di posizioni – una serrata critica della scienza giuridica e della scienza economica tradizionali, ormai inadeguate, secondo i più convinti sostenitori della soluzione corporativa, a comprendere i caratteri della nuova epoca e a fornire gli “strumenti” adatti a una riforma dello Stato giudicata improcrastinabile.

L’edificazione dello “Stato nuovo” corporativo nella temperie della “grande crisi” (da Mussolini interpretata non come una ordinaria crisi nel sistema, ma come crisi del sistema), insomma, imponeva una organica revisione delle scienze sociali.

Il problema della sistemazione del “nuovo” diritto corporativo, ad esempio, stimolò in alcuni giuristi un’ampia riflessione avente per tema, in particolar modo, il rapporto tra la dottrina corporativa (e i suoi concreti istituti) e quelle elaborazioni giuridiche che venivano identificate come appartenenti a una tradizione giudicata incapace di comprendere i mutamenti della società contemporanea.

Il volume – che si inserisce nell’ambito di uno specifico progetto di ricerca dell’Ateneo di Pisa – è dedicato, appunto, al più importante centro di elaborazione preposto negli anni del regime allo studio della scienza del corporativismo, oltre che alla formazione di una nuova classe dirigente secondo le “nuove” dottrine corporative.

Quali ragioni spinsero l’Università di Pisa, nel 1928, a creare una “Scuola di Scienze corporative”?
La fondazione, nel 1928, della Scuola di Scienze corporative – annessa alla Facoltà di Giurisprudenza e inizialmente denominata Scuola di perfezionamento in Legislazione corporativa – rientrava in un articolato progetto di rilancio dell’Università di Pisa promosso dal neorettore Armando Carlini. Il “padre” degli studi corporativi pisani, tuttavia, fu il gerarca fascista Giuseppe Bottai, allora sottosegretario al Ministero delle Corporazioni (nel 1929 avrebbe assunto la titolarità del dicastero), che assicurò all’istituzione i necessari finanziamenti per la sua attivazione e per il funzionamento degli anni successivi.

Semplificando un po’, si potrebbe dire che l’idea originaria alla base della creazione della Scuola, riservata a determinate categorie di laureati (in primis a coloro che avevano completato gli studi di Giurisprudenza), era quella di addestrare la nuova classe dirigente del regime secondo l’indirizzo corporativo, in omaggio alla nota massima mussoliniana “lo Stato fascista o è corporativo, o non è fascista”. Proprio il problema della creazione della futura classe dirigente costituiva da tempo uno dei temi principali della riflessione di Bottai, che agì nella convinzione che il nuovo ceto direttivo fascista avrebbe dovuto sostituire la vecchia classe dirigente liberale, dando così stabilità e continuità a un progetto che avrebbe ben presto assunto il significato di una radicale trasformazione dello Stato e della società in senso totalitario.

La Scuola di Scienze corporative fu la prima struttura di tal genere attivata in Italia, sebbene già nei mesi precedenti gli altri atenei della Penisola avessero già provveduto ad attivare alcuni corsi universitari nelle nuove discipline. Nel contesto del menzionato tentativo di rilancio dell’Ateneo, Carlini – con il decisivo supporto di Bottai – cercò quindi di non lasciarsi sfuggire l’occasione di dotare gli studi pisani di una specializzazione corporativa che, al fondo, rientrava nella politica di fascistizzazione delle università messa in atto con una certa fatica dalle autorità fasciste.

Chi ne furono i docenti?
Durante l’intero arco della sua esistenza (1928-1943), la Scuola di Scienze corporative ospitò tra i membri del corpo docente personalità di primo piano del regime e della sua vita culturale. Essa ebbe quattro direttori: Carlo Costamagna, Giuseppe Bottai, Widar Cesarini Sforza e Carlo Alberto Biggini. Tre di questi (Costamagna, Bottai e Cesarini Sforza) si avvicendarono sulla cattedra di Diritto corporativo, impartendo un insegnamento strategico per le finalità politico-educative della Scuola con sensibilità e obiettivi solo in parte convergenti. La Scuola, ad ogni modo, almeno fino al 1935 fu una “creatura” di Bottai, che garantì all’istituzione e al suo corpo docente, oltre ai necessari finanziamenti, una solida protezione politica nei confronti dei frequenti attacchi provenienti da altri ambienti universitari e della cultura fascista, soprattutto all’indomani del noto convegno di studi sindacali e corporativi di Ferrara (maggio 1932).

Tra i docenti della Scuola di Scienze corporative occorre certamente ricordare, inoltre, i nomi di Ugo Spirito e Arnaldo Volpicelli, che ricoprirono gli insegnamenti di Economia e politica corporativa (Spirito) e Dottrina generale dello Stato (Volpicelli), facendosi interpreti di un indirizzo teorico in materia di corporativismo che per un certo periodo sembrò caratterizzare l’istituzione pisana. Importante fu inoltre l’insegnamento di Tecnica aziendale impartito da Federico Maria Pacces, che stimolò pure la riflessione di altri docenti sulle tematiche corporative applicate all’organizzazione aziendale e sul ruolo dell’azienda nello Stato corporativo. Altri docenti che contribuirono in maniera rilevante agli studi corporativi pisani furono Celestino Arena, Filippo Carli e Giuseppe Bruguier Pacini.

In cosa consisteva la proposta scientifica della Scuola?
Una delle preoccupazioni costanti di Bottai fu quella di non identificare l’elaborazione teorica dei docenti della Scuola pisana con un preciso – diciamo così – “indirizzo” scientifico. All’interno del corpo docente della Scuola, del resto, diverse furono le letture del corporativismo e le proposte in merito ai caratteri che avrebbe dovuto assumere lo Stato corporativo, così come non vi fu accordo sul ruolo dell’iniziativa privata e dello Stato nell’economia. Ciò premesso, vero è che ad accomunare le riflessioni della quasi totalità dei “corporativisti” pisani furono le critiche – variamente dosate – all’impostazione e agli “indirizzi” della scienza giuridica e della scienza economica tradizionali (furono presi di mira tecnicismo, formalismo e “dogmatismo” della scuola orlandiana, così come i paradigmi dell’economia pura), nell’ottica di una rivisitazione (più o meno radicale) delle scienze sociali funzionale alla costruzione dello Stato nuovo corporativo, che sembrava individuare nelle dottrine e negli istituti di matrice liberale i principali avversari da abbattere, riservando alla critica al socialismo un’attenzione minore.

Fu all’interno di questo quadro che, nella prima metà degli anni Trenta, i docenti Ugo Spirito e Arnaldo Volpicelli riuscirono ad affermare la loro visione radicale del corporativismo, che contribuì non poco – pur nella varietà degli indirizzi e della sensibilità dei membri del corpo docente – a fare della Scuola di Scienze corporative il più importante luogo di elaborazione teorica del corporativismo fascista, orientato alla progettazione di uno Stato autenticamente totalitario, che poco o niente intendeva concedere agli ordinamenti e alle suggestioni che avevano caratterizzato lo Stato liberale da una parte e le “vecchie scienze” economica e giuridica dall’altra.

Qual era l’articolazione della Scuola?
La Scuola, annessa secondo le disposizioni dello statuto di Ateneo alla Facoltà di Giurisprudenza, era inizialmente destinata ai laureati in Giurisprudenza, Scienze politiche, Scienze sociali e Scienze economiche (con gli anni, tuttavia, le autorità accademiche cercarono di allargare la platea dei potenziali iscritti); a norma di regolamento interno, essa aveva lo scopo di “perfezionare i giovani nelle speciali discipline attinenti all’ordinamento corporativo italiano, di fornire loro la preparazione specifica per gli uffici direttivi dell’organizzazione corporativa e sindacale”. Il corso di studi aveva la durata di un anno (divenne biennale solo nella fase finale di esistenza della Scuola), al termine del quale lo studente, dopo aver sostenuto gli esami previsti dal regolamento e discusso una tesi finale, otteneva uno speciale diploma di perfezionamento.

A pochi anni dalla sua fondazione, comunque, la Scuola fece da capofila a un più articolato dispositivo didattico, non limitato agli studi post-laurea: nel 1931 fu istituito il Collegio nazionale di Scienze corporative, dall’anno successivo intitolato a Mussolini, amministrato dalla Scuola Normale e destinato a ospitare, previo concorso nazionale, coloro che, sia iscritti ai corsi ordinari che laureati, intendevano studiare le dottrine politiche, giuridiche ed economiche corporative; con l’anno accademico 1932-33 fu inoltre attivato presso la Facoltà giuridica un corso di laurea in Scienze politico-corporative, destinato a sopravvivere, tuttavia, solo per pochi anni.

In che modo la Scuola operò anche da canale di collegamento tra il dibattito italiano e le principali teorie economiche ed esperienze politico-economiche internazionali critiche o alternative al capitalismo e alle dottrine economiche liberali?
Grazie al varo di alcune importanti iniziative culturali, la Scuola pisana riuscì in breve tempo a potenziare la propria attività scientifica, non limitandola a un ambito meramente nazionale. Già nel 1930, infatti, iniziò le pubblicazioni l’“Archivio di Studi Corporativi”, rivista ufficiale della Scuola e importante sede di elaborazione nel dibattito corporativo dell’epoca; a partire dal 1933, in particolare, la rivista ospitò una serie di interventi rivolti all’approfondimento delle più importanti esperienze straniere in materia di politica economica, affiancati da dettagliate rassegne della letteratura giuridica ed economica, italiana e straniera, compilate dagli studenti più promettenti che collaboravano a uno speciale Osservatorio economico, interno alla Scuola, preposto alla raccolta e all’ordinamento dei dati e dei risultati ottenuti all’estero in ambito economico e sociale. Tutto questo sullo sfondo di uno sforzo organizzativo che vide la Scuola dotarsi in breve tempo di una specifica biblioteca, ricchissima di volumi e di pubblicazioni periodiche a carattere economico, giuridico e sociale, che mise a disposizione degli studiosi materiale altrove difficilmente reperibile, consentendo loro di maturare le proprie riflessioni in una prospettiva di studio comparato delle soluzioni elaborate negli altri Paesi in risposta alla “grande crisi”.

Fu grazie a questa attività, così, che l’Ateneo pisano poté disporre di un centro di studi per certi versi unico nel suo genere, nel quale furono approfonditi i temi della programmazione economica e dell’anticapitalismo, analizzati in una prospettiva comparata con quelle esperienze economiche straniere che più di altre avevano tentato – o stavano tentando – di porre in discussione l’assetto capitalistico della produzione.

Punta di diamante di questo sforzo culturale fu la pubblicazione, a partire dal 1933 e d’intesa con la casa editrice Sansoni (acquisi­ta da Giovanni Gentile nel 1932 e diretta dal figlio Federico), della nota e fortunata serie di volumi che costituì il prodotto editoriale più interessante in materia di corporativismo da parte delle istituzioni accademiche pisane (la collana più corposa e originale dell’intera collezione fu quella delle Pubblicazioni a cura della Scuola di Scienze corporative della R. Università di Pisa), in cui i temi della crisi del capitalismo e della cosiddetta “economia programmatica” furono approfonditamente indagati con uno sguardo rivolto all’estero.

A finire sotto la lente d’indagine della Scuola di Pisa, così, furono il New Deal di Roosevelt, il planismo di Henri De Man, il piano quinquennale sovietico e la legge sull’ordinamento del lavoro nazionale tedesca, tutte “esperienze, teoriche e pratiche” – come le definì Bottai nel primo volume della collana Pubblicazioni – di fronte alle quali il corporativismo fascista veniva dichiarato vincitore.

Quali carriere e percorsi universitari e post-universitari seguirono gli studenti della Scuola?
Nelle intenzioni dei promotori della Scuola, il diploma ottenuto al termine degli studi di perfezionamento avrebbe consentito l’accesso alle carriere direttive dell’organizzazione sindacale e corporativa dello Stato, conferendo così concretezza al progetto di creazione della nuova classe dirigente fascista.

Come indicato nel Repertorio degli iscritti alla Scuola curato da Daniele Ronco nel presente volume, tuttavia, del ragguardevole numero di iscritti all’istituzione pisana durante l’intero arco della sua esistenza (867 studenti, in buona parte provenienti da Giurisprudenza e, a seguire, da Economia e commercio), solo il 21% (185 diplomati) terminò con successo il corso di studi, così come limitata fu la frequenza delle lezioni, considerato che molti studenti risiedevano fuori Pisa e svolgevano già un’attività lavorativa. Ciò premesso, diversi diplomati furono effettivamente assorbiti dagli uffici corporativi e sindacali (in molti casi ne facevano già parte), sia a livello centrale, sia a livello locale, così come trovarono una collocazione in altri enti e istituzioni del regime. Si trattò, comunque, di una piccola parte del corpo degli iscritti alla Scuola, e ciò testimoniava sia la maggiore attrattività di altri percorsi di formazione per coloro che facevano già parte del corso di perfezionamento (in diversi casi gli allievi dell’istituzione pisana abbandonarono gli studi per conseguire la seconda laurea in Scienze politico-corporative), sia la difficoltà di collocazione professionale dei diplomati in Scienze corporative (le autorità accademiche si attivarono a più riprese con il ministero per ottenere il riconoscimento del diploma per l’accesso a determinati impieghi).

Occorre precisare, ad ogni modo, che negli intendimenti di Giuseppe Bottai il successo dell’esperimento tentato nell’Ateneo toscano non sarebbe dipeso dal numero degli iscritti – nella maggior parte dei casi interessati alla spendibilità del diploma in ambito professionale –, quanto dalla condivisione e dalla consapevolezza, da parte degli studenti, dei compiti politici loro assegnati dal regime. Da questo punto di vista, l’operazione tentata a Pisa da Bottai, seppur dagli esiti quantitativamente assai circoscritti, poteva dirsi (con alcune significative eccezioni) nel complesso riuscita (anche in riferimento al nucleo dei selezionati studenti del Collegio “Mussolini”) almeno fino a guerra inoltrata, quando le parabole biografiche e politiche dei singoli, esposte a una sconfitta che si faceva via via sempre più tangibile, si “dispersero” in molteplici rivoli di scelte individuali che approdarono, in diversi casi, alla decisa rottura con il fascismo e alla collaborazione con le forze resistenziali. E consistente, fu, nel dopoguerra, la pattuglia degli ex studenti della Scuola che entrò a far parte del Parlamento della Repubblica Italiana.

Fabrizio Amore Bianco è ricercatore a tempo determinato di tipo B (senior) in Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa. Studioso del fascismo, ha pubblicato i volumi Il cantiere di Bottai. La scuola corporativa pisana e la formazione della classe dirigente fascista (Cantagalli, 2012) e Mussolini e il «Nuovo ordine». I fascisti, l’Asse e lo «spazio vitale» (1939-1943) (Luni, 2018). È inoltre autore di vari saggi sul corporativismo, sulla politica culturale del regime e sul dibattito politico ed economico italiano degli anni ’30-’40.

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