
La prima volta che fui chiamato a insegnare in una scuola di scrittura mi chiesi, molto seriamente, se sarebbe stato coerente col mio percorso e le mie convinzioni accettare: mi risposi di sì, stanti determinate condizioni teoriche, e da lì cominciai a imbastire quel progetto didattico, non tanto di insegnamento delle tecniche, quanto di trasmissione di una mentalità, che negli anni ho portato avanti in tante scuole e gruppi di scrittura, finché minimum fax non mi ha chiesto di usarlo come spunto per un saggio.
Scrittori si nasce o si diventa?
Il mondo – non solo quello letterario – è pieno di persone di talento, a volte di grande talento, che non hanno combinato nulla di significativo. Il talento è comune, non è altro che un’attitudine generale. Serve a capire quali sono le attività in cui potremmo compicciar qualcosa di buono. Ciò che fa un artista professionista, in questo come in altri campi, è l’impegno, l’autodisciplina, l’insistenza – non solo nel cercare di entrare nella professione, ma anche e soprattutto nel cercare di migliorarsi. Certo, conta anche la capacità di cogliere le occasioni buone, che dipende in parte anche dalla fortuna, ma come si fa a piegare la fortuna al nostro volere? Moltiplicando i tentativi e l’impegno, e tornando migliorati ogni volta che si ritenta. Gira e rigira si torna sempre lì. Solo chi non molla ce la fa, specie in campi in cui, appunto, il talento abbonda.
Come si diventa scrittori?
Per rispondere a questa domanda è necessario prima chiarire cosa si intenda per “scrittore”: Stephen King diceva che è uno scrittore solo chi coi libri ci paga affitto e bollette; per Wikipedia, merita la “voce” solo chi ha pubblicato almeno tre libri con editori veri – ovvero non a pagamento o altre forme di pseudoeditoria – e a distribuzione nazionale. Sono definizioni plausibili, ma limitate: ci sono grandissimi scrittori i cui libri, per temi o scelte strutturali, hanno una circolazione di nicchia e quindi non gli pagano certo l’affitto, così come ce ne sono che hanno pubblicato solo un libro, o due, o nessuno. Allo stesso modo esistono celebrità che hanno pubblicato dei libri, magari anche di grande successo, e che tuttavia sarebbe difficile includere nella categoria. Se per “scrittore” intendiamo qualcuno che svolga l’attività letteraria con assoluta dedizione, è chiaro che lo si diventa solo in un modo: leggendo, leggendo, leggendo, e poi provando a scrivere qualcosa pure noi.
Viene prima la passione per la lettura o quella per la scrittura?
Come detto supra, è impensabile uno scrittore che non abbia coltivato, prima, una carriera di lettore. Non esistono formule magiche, a scrivere bene si impara solo leggendo tutto il meglio (e pure un po’ del peggio); peraltro tra le varie arti la letteratura è forse quella in cui conta meno il genio rispetto alla preparazione.
Quali consigli si sente di dare ad un aspirante scrittore?
Leggere, leggere, leggere. Poi leggere ancora. Poi rileggere. Leggere tutto, conoscere a menadito i classici ma seguire anche le uscite contemporanee, leggere ancora, non stancarsi mai di leggere. Chi non trova il tempo per leggere centinaia e centinaia di libri non avrà mai quello per scrivere qualcosa di decoroso.
Poi: cercare il confronto, trovare altri che condividono la stessa passione, confrontarsi sui testi, partecipare a una rivista letteraria o meglio ancora fondarne una – partecipare insomma alla “società letteraria”, secondo le proprie attitudini e affinità.
Poi: non aver fretta di pubblicare: l’esordio è importante ed esordire male può portare a enormi difficoltà e sprechi di energie dopo: troppo spesso chi decide di scrivere qualcosa cerca di affacciarsi al mondo editoriale il più velocemente possibile, senza prima aver capito come funziona, e soprattutto senza aver capito è già pronto a offrirgli un testo di qualche valore, di qualche interesse. Su questa diffusa ignoranza prosperano truffatori di ogni tipo, su tutti gli editori a pagamento, pronti a speculare sui sogni della gente – e non si creda che l’unico danno che può fare un “EAP” a un aspirante autore siano i soldi che gli sfila: una volta usciti con un marchio fasullo, che non manda veramente i titoli in libreria né fa vero lavoro di promozione e ufficio stampa, l’esordio sarà bruciato, e a quel punto, con quella macchia nel curriculum, sarà molto difficile pubblicare “bene” un secondo libro. Dietro all’editoria a pagamento, che può essere considerata la maggiore minaccia per l’aspirante autore sprovveduto, ci sono anche altri vicoli ciechi, non truffaldini ma comunque infruttuosi, come il “self-publishing” (ben diverso dalla nobile pratica dell’autoproduzione underground), i microeditori non a pagamento ma che basano il loro modello di business sulla pubblicazione di centinaia di titoli stampati in digitale, abbattendo i costi di produzione e poi contando che ciascun “autore” appioppi qualche decina di copie a parenti e amici… Tutte strade che possono far gola a chi brama vedere il proprio nome stampato su una copertina e non è informato sui reali meccanismi di selezione e promozione editoriale, ma che invariabilmente lo manderanno incontro a delusioni. Anche mandare manoscritti a tappeto ai veri editori, come fossero messaggi in bottiglia da parte di un naufrago, è un errore, dato che lo scouting editoriale si basa solo in minima parte sui manoscritti (ormai migliaia e migliaia l’anno) che arrivano direttamente in casa editrice: gli autori, i grandi editori li cercano sulle riviste, o tra quelli che hanno fatto buoni risultati con marchi più piccoli. Immaginiamo un tizio che desideri giocare in una squadra di Serie A: eccolo che si mette in calzoncini e maglietta e si siede fuori da San Siro aspettando che passi il presidente dell’Inter o del Milan e gli faccia un contratto. È chiaro a tutti che si tratta di un povero pazzo, perché sappiamo bene che per giocare in Serie A devi prima formarti in un vivaio, fare una buona stagione, venire preso da una squadra delle serie minori, fare altre buone stagioni, venire notato dagli osservatori e da lì magari arrivare a un provino con una grande, eccetera eccetera. Il mondo editoriale non è così diverso: i vivai sono le riviste, le squadre delle serie minori sono i piccoli marchi di qualità, e i team di Serie A sono le major: capita a volte che un giovanissimo di grande talento possa debuttare in Serie A (e anche lì c’è sempre dietro un duro lavoro nella “primavera” della squadra), ma nella maggior parte dei casi il pubblicare con Mondadori, Einaudi, Feltrinelli o Bompiani è qualcosa a cui si arriva dopo un preciso percorso.
All’aspirante autore consiglio quindi – a costo di ripetermi – di leggere moltissimo, di entrare in contatto con altri aspiranti e magari fondare con loro un progetto letterario, di preoccuparsi di capire come funziona il campo editoriale prima di azzardare tentativi infruttuosi o, peggio, finire tra le grinfie di qualche speculatore.
Vanni Santoni (1978) dopo l’esordio con Personaggi precari ha pubblicato, tra gli altri, Gli interessi in comune (Feltrinelli 2008), Se fossi fuoco arderei Firenze (Laterza 2011), In territorio nemico (minimum fax 2013, da coordinatore), la saga di Terra ignota (Mondadori 2013-17), Muro di casse (Laterza 2015), La stanza profonda (Laterza 2017, candidato al Premio Strega), I fratelli Michelangelo (Mondadori 2019). Scrive sul “Corriere della Sera” e dirige la narrativa di Tunué. Il saggio La scrittura non si insegna è uscito per minimum fax il 21 maggio 2020.