“La scrittura greca e latina dei papiri” di Guglielmo Cavallo

La scrittura greca e latina dei papiri, Guglielmo CavalloLa scrittura greca e latina dei papiri. Una introduzione
di Guglielmo Cavallo
Fabrizio Serra Editore

«La scrittura deve essere indagata su qualsiasi supporto – papiro, pergamena, tavoletta, ostrakon, pietra, marmo, intonaco, metallo o altro materiale – e con qualunque conseguente tecnica risulti eseguita. È un assioma del metodo paleografico. Un’introduzione, dunque, alla scrittura greca e latina dei papiri, tra i quali per convenzione si annovera almeno un buon numero di testimoni di pergamena, è di per sé manchevole. Né si può ignorare d’altro canto che, a partire dal IV secolo d.C., ai materiali di scavo archeologico si affiancano quelli conservati per altra via, i quali non rientrano nella grande famiglia dei ‘papiri’ ma che non sono meno importanti per lo studio della scrittura, del suo svolgimento, delle sue articolazioni.

La scelta qui operata è di carattere pratico piuttosto che scientifico, e trova la sua giustificazione nello statuto non della paleografia ma della papirologia, la quale ovviamente si è sempre occupata anche di quell’aspetto fondamentale del suo oggetto di ricerca che è la scrittura, senza tuttavia includere altri materiali di confronto, a parte in certi casi gli ostraka. Si tratta di una tradizione scandita per la scrittura greca da papirologi quali Frederic G. Kenyon, Wilhelm Schubart, Eric G. Turner, mentre quanti si sono occupati della scrittura latina dei papiri come Jean Mallon, Robert Marichal, Giorgio Cencetti, in quanto paleografi, hanno spesso tenuto d’occhio altri materiali. Senza alcuna pretesa di parva… componere magnis, in questa sede, pur se in misura assai modesta, si getterà lo sguardo anche su testimonianze tutte diverse dai ‘papiri’, i quali tipologicamente costituiscono, si sa, soprattutto documenti e libri (ma anche prodotti scritti subletterari o paraletterari di vario contenuto). Incentrato altresì sulla vera e propria storia della scrittura, questo saggio non prende in esame – o considera assai di rado – quegli aspetti che attengono piuttosto alla tipologia e alla manifattura del supporto, alla presentazione del testo, ai segni diacritici e alle pratiche di lettura.

Nella trattazione si è evitata la cesura tra scritture documentarie e scritture librarie, giacché la scrittura – va ribadito – costituisce un fenomeno unitario, le cui diverse manifestazioni devono essere valutate non tanto in relazione all’uso che se ne è fatto in documenti o libri, ma considerando il suo svolgimento, il quale è sostanzialmente determinato dalla forma che le lettere assumono di volta in volta in relazione sia al grado di velocità dell’esecuzione, vale a dire al ductus, sia al tratteggio, vale a dire a numero, successione e direzione dei tratti. Il punto di partenza è sempre costituito dal modello di base delle lettere, il quale prima viene insegnato al livello elementare, restando tale nell’uso da parte di individui scarsamente alfabetizzati, e che poi, mediante esercizi progressivi, la pratica o un tirocinio mirato, può risolversi in senso ora più ora meno corsivo o può essere elaborato in senso calligrafico o burocratico-cancelleresco. Gli esercizi di scrittura attestati in papiri, ostraka e tavolette offrono numerosi esempi di educazione grafica ai diversi livelli.

In questa prospettiva, nel distinguere le diverse manifestazioni grafiche, si è voluto qui adottare il ‘criterio del ductus‘, giacché è il ductus – l’andamento veloce o posato dell’esecuzione o anche tenuto secondo gradi intermedi – che modifica e trasforma il modello di base delle lettere nelle scritture corsive, lo disciplina e lo ridefinisce nelle scritture calligrafiche, lo condiziona variamente nelle scritture che oscillano tra questi estremi avvicinandosi di più ora alle une ora alle altre. La distinzione che viene ad imporsi, così, non è tra scritture documentarie e scritture librarie, ma tra scritture corsive e semicorsive da una parte, nelle quali la più o meno forte rapidità del ductus modifica tracciati e forme delle lettere, e scritture posate o magari calligrafiche o stilisticamente definite dall’altra, che molte volte conservano caratteri più aderenti alla struttura grafica originaria delle lettere sfociando talora in sistemi chiusi, vale a dire in scritture normative che possono ripetersi sempre uguali – o solo con variazioni minime – nei secoli. Con l’avvertenza, tuttavia, che proprio le modificazioni che vengono a determinarsi nelle scritture semi-corsive e corsive finiscono sovente con l’influire sull’evoluzione delle scritture posate o con il provocarne di nuove tutte le volte che le forme grafiche non si chiudano in un sistema normativo. A quest’ultimo proposito, per scritture che si ripetono in più esemplari e sovente per un arco di tempo più o meno lungo, si è preferito parlare di scritture normative piuttosto che di ‘canoni’ o scritture canonizzate, concetto quest’ultimo troppo rigido per forme grafiche che non avevano una base teorica di regole immutabili da seguire, né tanto meno costituivano modelli obbligati ma semplicemente una scelta tra altre possibili. Si trattava di scritture imparate con la pratica seguendo certe costanti formali, ma che mostrano varianti nell’evolversi di epoca in epoca; ed anche nella stessa epoca, pur nel ripetersi di elementi strutturali di fondo, non mancano talora variazioni. Insomma, con scritture normative si vogliono indicare quelle scritture cui certe caratteristiche imprimono una fisionomia riconoscibile per un arco di tempo più o meno lungo, senza tuttavia inchiodarle ad un canone di regole fisse ed immutabili».

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