
Quale fu la posizione dell’Msi sull’adesione atlantica del nostro Paese?
Nel Msi delle origini convivono due anime: la prima si sente estranea al conflitto Est/Ovest e rivendica una terza via non solo culturale ma anche politica rispetto ai due principali schieramenti postbellici; la seconda coglie nell’anticomunismo oltranzista un possibile canale di legittimazione per la propria presenza nello scenario politico italiano. La contrapposizione tra le due aree è intensa almeno fino ai primi anni Cinquanta, basti pensare che il Msi giunge diviso al dibattito parlamentare per l’adesione italiana al Patto Atlantico: il II congresso del partito approva un documento contrario all’adesione italiana, mentre tra i deputati vi è chi, come Guido Russo Perez, è favorevole. L’ambiguità sarà definitivamente risolta il 28 novembre 1951 da Augusto De Marsanich, divenuto segretario al posto di Almirante nel gennaio del 1950. La scelta filo-atlantica si rafforzerà negli anni seguenti, portando a una rapida marginalizzazione delle componenti del Msi contrarie a una collocazione del partito alla destra dello schieramento politico. In particolare, dalla seconda metà degli anni Cinquanta l’anticomunismo oltranzista, per quanto diversamente declinato, diventerà una bussola per il gruppo dirigente del partito, contribuendo a definire la fisionomia e la funzione nazionale del Msi.
Come si evolvette la cultura politica del Msi durante gli anni Settanta?
Non parlerei di evoluzione della cultura politica. Più che altro negli anni Settanta diviene evidente come il Msi sia stato a lungo il contenitore per destre di diversa ispirazione che condividono alcuni principi comuni, ma sono in disaccordo sulla loro gerarchia. Ad esempio, tutto il gruppo dirigente del Msi è radicalmente anticomunista, ma c’è una evidente differenza tra chi ritiene che l’anticomunismo possa consentire la legittimazione del partito e chi, è il caso di Giorgio Almirante, non pensa che sia in alcun modo realizzabile l’inserimento del Msi nel sistema politico italiano. I primi vorrebbero perciò ridurre il richiamo al fascismo, ritenuto incapacitante; il secondo vi fa appello non appena possibile. Quest’ultima scelta contribuisce a mantenere il Msi ai margini della legittimità politica, tuttavia il ricorso al mito del fascismo consente di mantenere un consenso elettorale stabile: è un mito incapacitante in termini di legittimazione a governare, non in termini di sopravvivenza politica. Inoltre, negli anni Settanta l’ascesa elettorale del Pci rende concreta la possibilità di una collaborazione dei comunisti al governo. La differenziazione tra destre alla quale si è fatto riferimento diviene ancora più marcata, fino a condurre nel 1976 alla scissione parlamentare che condurrà alla nascita di Democrazia nazionale nel 1977. Il partito è fondato da quei dirigenti fino ad allora convinti di poter inserire il Msi nel sistema politico italiano e si propone di evitare l’avvicinamento dei comunisti al governo offrendosi come spalla di destra alla Dc. L’ipotesi si rivelerà velleitaria. In termini di cultura politica non c’è però una divaricazione netta tra le due destre prevalenti nel Msi fino al momento della scissione, che per comodità possiamo chiamare “demonazionale” e almirantiana. Ad esempio, entrambe non considerano la democrazia un valore assoluto e sostengono regimi dittatoriali (il Cile) o segregazionisti (il Sudafrica) perché li ritengono degli antemurali contro la penetrazione del comunismo. Qualche differenza si può individuare nell’ambito della cultura economica, dal momento che Democrazia nazionale si dimostra più empatica con la nascente destra neoliberale anglosassone, mentre nel Msi prevale il ricorso alla retorica socializzatrice. Ma anche in questo caso non esagererei oltremodo le differenze. La retorica socializzatrice del Msi ha spesso un valore dimostrativo rispetto a una funzione politica favorevole alla conservazione e al consolidamento delle gerarchie sociali. Né si può parlare di idiosincrasia del Msi verso le destre neoliberali, come dimostrano l’adesione spesso entusiasta della stampa di partito alla politica interna di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan, le critiche liquidatorie verso Keynes e i suoi eredi, i giudizi empatici verso tendenze e protagonisti della svolta neoliberista in economia come i Chicago Boys, Milton Friedman, Howard Jarvis e Arthur Laffer.
Come si giunse alla scissione dell’Msi?
Credo che quanto detto al punto precedente possa essere esaustivo. Tra le ragioni che anticipano la scissione aggiungerei l’insofferenza di una parte del gruppo dirigente del Msi nei confronti dell’atteggiamento indulgente di Almirante verso l’estremismo di destra, in particolare nel momento in cui questo atteggiamento poteva contraddire l’immagine del Msi come difensore dell’ordine pubblico. Non a caso l’ammiraglio Gino Birindelli, entrato nel Msi dopo l’elezione di Almirante alla segreteria, si allontana dal partito in seguito a una manifestazione non autorizzata indetta dal Msi a Milano e che si conclude con la morte dell’agente di pubblica sicurezza Antonio Marino, colpito da una bomba a mano lanciata dal giovane neofascista Vittorio Loi.
Quali tentativi operarono i dirigenti del Msi per istituire rapporti con la politica statunitense?
I tentativi missini di istituire rapporti con la politica statunitense sono stati sporadici e in genere infruttuosi. In linea di massima si tratta di tentativi operati da singoli esponenti del Msi, alle volte anche importanti, che cercano dei canali di comunicazione, quasi sempre troncati sul nascere. Da parte statunitense non vi è disponibilità a legittimare un partito che si richiama al fascismo, correndo per di più il rischio di polarizzare lo scontro politico in Italia e di indebolire la posizione delle forze di centro. Solo nel 1968, in occasione delle elezioni presidenziali statunitensi, due dirigenti del partito, Franco Servello e Raffaele Delfino, contribuiscono alla campagna elettorale di Richard Nixon presso alcune comunità italoamericane. Delfino e Servello stabiliscono un dialogo con alcuni elementi di rilievo del Partito repubblicano, tra i quali l’allora governatore del Massachusetts John Volpe e l’imprenditore grecoamericano Thomas Pappas. Dopo le elezioni, i due dirigenti del Msi cercano di consolidare il rapporto con un obiettivo politico preciso: ottenere per il Msi una legittimazione internazionale grazie alla quale potersi legittimare sullo scenario nazionale. Nelle loro intenzioni è esplicito il richiamo a quanto ritengono sia accaduto con la nascita del centrosinistra: Servello e Delfino sostengono che gli Stati Uniti abbiano legittimato la funzione del Psi nel sistema politico nazionale e chiedono perciò una legittimazione analoga per il proprio partito. A questo fine i due dirigenti offrono ai propri interlocutori la possibilità di tagliare definitivamente ogni legame identitario col fascismo, affermando di parlare a nome di una nuova generazione che non aveva «né responsabilità né nostalgie del passato». L’opzione non regge per varie ragioni. Il richiamo al fascismo è un collante identitario a cui è difficile pensare che il Msi possa rinunciare, ma soprattutto la controparte statunitense attribuisce a quel partito un ruolo diverso da quello “istituzionalizzato” a cui aspirano Servello e Delfino. Nello specifico, ciò che si auspica dal Msi è che contrasti i comunisti nelle piazze prima ancora che in Parlamento. Quest’ultima richiesta è congruente col profilo che Almirante darà al Msi. Inoltre, sappiamo ormai che durante la segreteria di Almirante il Msi riceve un sostegno finanziario per intercessione dell’Ambasciatore Graham Martin in vista delle elezioni amministrative del 1971. In più occasioni Martin dimostra della simpatia umana e politica per Almirante. Detto ciò, questo aspetto del rapporto tra il Msi e gli Stati Uniti è sì importante ma secondario rispetto alla ricerca che ho condotto, volta innanzitutto a capire in che modo la presenza americana nel mondo bipolare, e non solo quella politica, abbia potuto influenzare la storia di questo partito e la definizione della sua identità.
Cosa comportò per il partito l’ascesa di una nuova classe dirigente e quali vicende la segnarono?
Immagino la domanda sia relativa alla fine degli anni Ottanta, quando muoiono pressoché congiuntamente Giorgio Almirante e Pino Romualdi. La morte di quelle che erano state due figure tutelari accelera uno scontro interno tra diverse correnti che si coagulano rispettivamente attorno a Gianfranco Fini e a Pino Rauti. Non si tratta perciò di “classe dirigente”, bensì di correnti che ambiscono a prendere la guida di un partito. Chi sostiene Fini opera a lungo il tentativo di perpetuare la politica almirantiana, fondata sul rifiuto della “compromissione” con gli altri partiti, sulla nostalgia del fascismo, su un anticomunismo viscerale. L’area che sostiene Rauti è più composita: oltre ai rautiani storici, espressione di una cultura politica in cui si mescolano alcune delle componenti radicali del neofascismo italiano, vi aderiscono infatti dirigenti del partito che ritengono ormai superato il paradigma dell’isolamento e della nostalgia, su cui si fondava la proposta politica almirantiana, ed ambiscono semmai a dialogare con altri partiti del sistema politico italiano. A distinguere le due aree è anche l’interpretazione della politica internazionale: gli eredi di Almirante sostengono che il comunismo sia ancora il principale nemico; l’area che sostiene Rauti ritiene si sia ormai giunti alla fine del comunismo. Fini, che è stato eletto alla guida del Msi nel congresso di Sorrento del dicembre 1987, è inizialmente un segretario debole. Inoltre, l’evoluzione della politica internazionale nella seconda metà del decennio sembra incanalarsi nel senso indicato dalla minoranza. Quest’ultima riesce a sostituire Fini con Rauti durante il congresso di Rimini (gennaio 1990). Tuttavia, nel momento in cui Rauti diventa segretario, l’eterogeneità del gruppo dirigente che lo sostiene è evidente. Nella mia ricostruzione valorizzo in particolare quanto accade di fronte alla guerra del Golfo. In quella occasione il gruppo dirigente a sostegno di Rauti è diviso sull’intervento, mentre la minoranza è compattamente favorevole. I rautiani veri e propri sono eredi dell’antiamericanismo missino delle origini, una posizione che alla prova dei fatti si dimostra minoritaria. Nei mesi successivi all’intervento l’indebolimento della segreteria Rauti è costante, fino alla sua sostituzione con Fini, che ritorna alla guida del partito nel luglio del 1991. Da allora in poi Fini schiera il partito su una linea concorrenziale con la Lega Nord sui temi del fisco e dell’immigrazione, riprendendo inoltre molti dei cavalli di battaglia propri di Almirante, a partire dalla “scelta” di isolare il proprio partito rispetto al cosiddetto “regime partitocratico”. Fini continua anche a fare ricorso alla nostalgia del fascismo come strumento per tenere insieme la comunità politica missina. Al tempo stesso il segretario del Msi accentua le tematiche pro-mercato e la critica dell’intervento pubblico in economia. È soprattutto in questo ambito che gli anni Ottanta e in particolare l’esperienza reaganiana influenzano la cultura politica missina, rendendo il gruppo dirigente di questo partito coniugabile senza troppi attriti con la proposta politica di Forza Italia, ossia con una destra che, quantomeno nella retorica, si propone di essere la versione italiana del neoliberalismo americano.
Cosa significò per la destra italiana la nascita di Alleanza Nazionale?
È la certificazione della fine di uno stadio di marginalità durato decenni e ciò avviene senza pagare il pegno di uno stravolgimento della propria identità. Anzi, direi che la riuscita di quella operazione in termini di consenso a medio termine, certo non come progetto politico sulla lunga durata, è l’esito della scelta di non tagliare le radici con la storia del Msi, cercando semmai di tenere insieme diversi modelli di destra. L’unico taglio netto col passato riguarda il richiamo nostalgico al fascismo: l’uso della nostalgia del ventennio come strumento di coesione della comunità missina è un mezzo a cui il gruppo dirigente di An non farà pressoché ricorso, senza però che quel partito senta mai l’esigenza di operare una riflessione storica sul fascismo o sulla storia del Msi.