“La scoperta dell’intelligenza. Alfred Binet e la storia del primo test” di Elisabetta Cicciola

La scoperta dell'intelligenza. Alfred Binet e la storia del primo test, Elisabetta CicciolaLa scoperta dell’intelligenza. Alfred Binet e la storia del primo test
di Elisabetta Cicciola
Fefè Editore

«Alfred Binet (1857-1911) è stato un personaggio eclettico e assai incisivo della psicologia “sperimentale” che egli ha tuttavia trasformato in maniera originale, tanto da essere classificato da Boring nella sua famosa History of experimental psychology come il primo vero psicologo di laboratorio francese. Binet si inserì inizialmente nella tradizione di studi inaugurata da Théodule Ribot (1839-1916), aderendo alla Psychologie pathologique, per poi distaccarsene e abbracciare i canoni dello sperimentalismo di laboratorio. Giunse così a coltivare una psicologia finalizzata agli esperimenti e all’osservazione controllata dei fenomeni patologici al fine di differenziarli da quelli normali. La sua produzione scientifica si caratterizzò per l’accento posto sullo studio sperimentale dei fenomeni psicologici “superiori” e, in particolare, sulla loro misurazione. Tale orientamento risultò un tratto distintivo soprattutto rispetto alla tradizione wundtiana, che pure egli conosceva molto bene, e che aveva preso in considerazione solo i processi elementari, quali: le percezioni, le sensazioni, ecc.

In accordo con l’interpretazione della Carroy, secondo la quale Binet incarnò il tipico esempio di scienziato “multiplo” fin de siècle, e sulla base di questa sua “molteplicità”, intento primario di questo lavoro è quello di dar conto del vasto piano di ricerche sperimentali dello psicologo francese, al cui interno emerse come filo conduttore il contributo sull’intelligenza. Il lavoro di ricerca binetiano rappresentò, infatti, uno straordinario esempio di eclettismo scientifico che ben si adattava al contesto da cui prese le mosse la psicologia scientifica francese alla fine del XIX secolo.

Secondo la prospettiva storiografica emersa nel quadro dell’histoire croisée di Jacqueline Carroy e Régine Plas, è stato, altresì, sottolineato quanto Binet, per la ricerca psicologica, si sia soprattutto ispirato all’approccio di Hippolyte Taine (1828-1893) secondo cui “più un fatto è bizzarro, più è istruttivo”. In tal senso, l’autore allestì un vasto piano di ricerche sulle allucinazioni, sugli stati mentali delle isteriche, dei soggetti ipnotizzati, di persone dotate di memoria “straordinaria” (giocatori di scacchi, calcolatori prodigiosi, ecc.), degli artisti, dei romanzieri, dei poeti, dei prestigiatori e sul processo di apprendimento della parola nei bambini; attraverso questi studi egli tentò poi di formulare leggi psicologiche inerenti alla “normalità”. Binet fu, in tal senso, l’unico psicologo francese a fornire una misura empirica al programma teorico avanzato da Taine nel volume del 1870, intitolato: De l’intelligence. Secondo Régine Plas, inoltre, nonostante la storiografia abbia posto l’accento sulle indagini di laboratorio di Binet, la sua psicologia si caratterizzò sempre come “patologica” tanto che la prima versione del test vide la luce proprio per rispondere alla domanda sociale creata dalla scolarizzazione dei bambini anormali.

Questo volume è un saggio che intende ricostruire il percorso scientifico che condusse Binet all’elaborazione del suo fortunato test che gli diede una notorietà internazionale, analizzando al contempo anche il contesto politico e istituzionale che favorì le sue ricerche in questo ambito. L’intelligenza costituì, a ben notare, quel fil rouge da seguire per comprendere pienamente l’originalità di tutta la ricerca binetiana, il cui prodotto più maturo fu senz’altro rappresentato dalla Scala metrica che Binet elaborò in collaborazione con il medico Théodore Simon (1873-1960) nel 1904 e che fu pubblicata l’anno successivo sull’Année psychologique. La novità non fu tanto quella di elaborare una compiuta e articolata teoria dell’intelligenza (la cui concettualizzazione muta nel corso del tempo), quanto di costruire uno strumento in grado di misurarla direttamente. Questo, contrariamente a quanto spesso si ritiene, non è stato né improvvisato né frutto del caso, ma rappresentò il prodotto di un lavoro certosino e pionieristico della ricerca novecentesca binetiana che si spiega solo se inserita in una cornice applicativa.

Convenzionalmente si ritiene che la psicologia applicata sia nata con la seconda generazione degli psicologi che, dopo Wilhelm Wundt (1832-1920), iniziarono ad indagare sperimentalmente i processi psicologici superiori, ampliando la metodologia sperimentale e verificando le ipotesi non più esclusivamente in laboratorio, ma sul campo. Binet fu in tal senso uno dei massimi rappresentanti di questa seconda generazione di psicologi europei (insieme con Külpe, Münsterberg, Stern, Claparède, Ebbinghaus e con l’italiano Sante de Sanctis) che, come messo in evidenza da Ash, avanzarono una concezione della psicologia sperimentale che usciva dalle logiche ristrette dei laboratori e della ricerca wundtiana per orientarsi all’indagine dei fenomeni mentali superiori e alle attività applicative della psicologia in settori di ricerca tralasciati da Wundt. Nel Novecento alcuni di questi ambiti applicativi furono strettamente legati alle moderne esigenze delle società industrializzate che si confrontarono sia con le richieste sollecitate dal mondo del lavoro e dei ritmi produttivi, sia con le questioni relative alla sanità – riforme degli asili psichiatrici, degli ospedali, degli ospizi – sia con quelle inerenti l’educazione delle masse – obbligatorietà scolastica e educazione degli anormali – tema, quest’ultimo, che fu proprio all’origine dell’elaborazione della prima versione del test di Binet.»

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