
In molti casi le risposte si rivelarono sorprendenti e fu in parte anche grazie all’interesse della comunità accademica che l’alchimia tornò in auge, nella seconda metà del secolo. Questa volta, però, non come disciplina a sé stante, ma inserita nel nuovo milieu delle scienze occulte.
Quali percorsi seguì la tradizione alchemica francese nel corso dell’Ottocento?
La tradizione alchemica, nella Francia del secondo Ottocento, venne progressivamente inserita nel canone delle scienze occulte. In questa prospettiva risulta particolarmente interessante proprio il concetto di scienza che andò sviluppandosi all’epoca in ambienti dediti a ricerche di carattere esoterico e che, storicamente, si trova alla base del moderno concetto di pseudoscienza.
Così come la scienza ufficiale si basava sull’adesione al metodo sperimentale al fine di elaborare teorie in grado di spiegare fenomeni, le scienze occulte costituivano sistemi di pensiero la cui pretesa validità si fondava sulla capacità di strutturarsi per mezzo di una progettualità internamente coerente (cioè una tradizione). A ciò si aggiungeva la componente segreta che (in completa antitesi con un concetto di scienza quale metodo garante del pubblico accesso alla conoscenza), presentava credenze di natura esoterico-religiosa come automaticamente veritiere. In sostanza, una scienza occulta era costituita da una codificazione basata su precise credenze stabilite a priori, invece che su ipotesi teorizzabili a posteriori, dove la sperimentazione era sostituita dal ricorso all’autorità testuale e la riproducibilità tecnica dal cosiddetto principio di analogia (una generalizzazione omnicomprensiva del concetto di concordantia rerum tipico del pensiero magico sin dall’antichità). Il tutto era reso tanto più incontrollabile dal fatto che, con simili premesse, un insuccesso delle applicazioni sul piano pratico della teoria della data scienza occulta risultava esplicabile solo come effetto dell’incapacità dell’operatore e non a causa dell’inconsistenza della teoria stessa. Il moderno occultismo, finì dunque per strutturarsi in scienze, vale a dire in sistemi conoscitivi, poiché la loro metodologia era ritenuta logicamente coerente.
Nella nuova alchimia, che va formandosi e consolidandosi nel secondo Ottocento come scienza occulta, non mutano le istanze e gli obiettivi, non viene rinnegata la tradizione, ma si attua un processo di mimesi, legato all’assimilazione del linguaggio della nuova scienza chimica, di fronte alle ipotesi della quale l’alchimia cerca, dietro lo schermo di una scientificità solo apparente, ma spesso magistralmente simulata, conferme e una definitiva convalida attraverso il ricorso a nuove autorità e al potere che ne derivava. In questo modo la disciplina esoterica con più legami con il mondo materiale e che più chiaramente proponeva di interpretare la dualità alla radice della sua tradizione, diviene il perfetto trait d’union fra un mondo votato a quel progresso scientifico e tecnologico che è caratteristica fondante del positivismo e un altro, popolato da simboli, spiriti e promesse d’immortalità, nel quale l’alchimia si trova a giocare il ruolo di ambasciatore di una scienza ultima e impossibile.
Quale ruolo ebbe la tradizione alchemica nello sviluppo dello spiritismo e delle dottrine di movimenti e organizzazioni quali la Società Teosofica?
Il ruolo dell’alchimia nel periodo di formazione e sviluppo del moderno occultismo fu vario e non sempre chiaramente identificabile. Così come altre discipline facenti parte del canone delle scienze occulte, l’alchimia poggiava su premesse metodologiche che affondavano le proprie radici in precisi concetti, almeno parzialmente afferenti al mondo delle scienze vere e proprie. È ad esempio il caso, importantissimo per la fisica del secondo Ottocento, dell’etere. Ente teorico utilizzato come medium universale capace di spiegare fenomeni di azione a distanza, ben presto esso uscì dall’ambito delle ipotesi relative all’elettromagnetismo, così come indagato da James Clerk Maxwell, divenendo centrale nello studio dei fenomeni spiritici, fino a legarsi con le teorie circa l’unità della materia formulate a inizio secolo. Così tutta la materia finiva per diventare, agli occhi di molti dei nuovi alchimisti, un epifenomeno dell’etere, sancendo una pericolosa ma desiderabile identità fra i due aspetti antitetici alla radice della realtà: visibile e invisibile, materiale e spirituale. Il caso della Società Teosofica è ancora più peculiare. Ad un primo periodo, identificabile con l’operato della sua fondatrice, H. P Blavatsky, risale un sostanziale rifiuto del mondo materiale, nel quale l’alchimia viene studiata nelle sue istanze puramente spiritualistiche, denunciando inoltre il tentativo di commistione, fra questa disciplina e la chimica, avanzato dagli occultisti. I membri della seconda generazione dei teosofi, tuttavia, interessati ad un approccio proprio di tipo occultista, finalizzato ad un ideale superamento della distanza fra scienza e credenza, istituirono ricerche di chimica occulta, volte ad indagare la struttura subatomica della materia per mezzo della chiaroveggenza, in mancanza di strumenti tecnici adeguati.
Lo scopo del nostro libro non è quello di fornire risposte definitive, ma il suo esatto contrario, ovvero di porre domande nuove, superando categorie storiografiche sorpassate e un modo di vedere la storia del pensiero scientifico per certi aspetti parziale, non del tutto conscio dell’importanza e della necessità di conoscere i meccanismi ermeneutici, sociali e politici che condussero alla nascita del moderno pensiero pseudoscientifico e che ancora oggi alimentano il rapporto spesso conflittuale fra scienza e credenza.