“La scienza dei dati in biblioteca” di Danilo Deana

Danilo Deana, Lei è autore del libro La scienza dei dati in biblioteca pubblicato da Editrice Bibliografica: qual è lo stato delle biblioteche italiane e in ispecie di quelle definite “di conservazione”?
La scienza dei dati in biblioteca, Danilo DeanaPremetto che io ho sempre lavorato in una biblioteca accademica, anche se per circa dieci anni ho collaborato con la Biblioteca nazionale Braidense di Milano a progettare e gestire l’Archivio della produzione editoriale lombarda. La Biblioteca nazionale Braidense è una biblioteca di conservazione e i suoi problemi sono gli stessi delle biblioteche pubbliche: scarsità di personale e scarsità di fondi.

La condizione delle biblioteche accademiche è diversa. In questo caso, più che il personale e i fondi, mancano le competenze necessarie per affrontare i problemi che lo sviluppo delle risorse elettroniche (banche dati, libri e periodici ) pone a queste organizzazioni.

Come è possibile stabilire quale sia l’effettiva condizione in cui si trova una biblioteca e quali azioni debbano essere intraprese per migliorarla?
Una biblioteca è un’organizzazione progettata per erogare servizi a un certo gruppo di persone. In questo non è diversa da un’azienda, anche se di norma a chi usufruisce di questi servizi non è richiesto un pagamento. Gli strumenti da utilizzare per stabilire quale sia l’effettiva condizione in cui si trova una biblioteca sono gli stessi impiegati nella gestione aziendale.

Il problema delle azioni da intraprendere è invece più complicato, perché dipende dal ruolo che si intende assegnare non tanto alla singola biblioteca, ma all’insieme delle biblioteche esistenti in Italia, che secondo l’anagrafe gestita dall’Istituto centrale per il catalogo unico delle biblio­teche italiane e per le informazioni bibliografiche (ICCU) sono oltre 13.000. Purtroppo, in Italia manca una visione di insieme, anche se esistono esempi di ottima gestione. Penso, per quanto riguarda le biblioteche accademiche, alla Biblioteca dell’Università Bocconi di Milano.

Quali misure e quali indicatori sono stati messi a punto, negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, per valutare l’efficienza e l’efficacia dei servizi delle biblioteche?
Le biblioteche hanno iniziato a raccogliere ed elaborare i dati relativi alle loro attività a partire dalla seconda metà del XIX secolo. In precedenza, le stime sul numero dei documenti posseduti, le uniche informazioni che venivano rese pubbliche, erano poco affidabili. Per quanto riguarda i lettori, gli unici dati disponibili sono quelli raccolti presso la Bodleian Library: nel 1831 c’erano in media 3 o 4 lettori al giorno e la biblioteca era aperta solo dalle 10 alle 15 in inverno e dalle 9 alle 16 in estate.

Da allora la situazione è molto cambiata: diverse organizza­zioni hanno infatti pubblicato indicazioni su come raccogliere ed elaborare i dati. In particolare, l’International Organization for Standardization (ISO), la più importante organizzazione mondiale per quanto riguarda la definizione e la diffusione di norme, ha reso disponibili diversi standard relativi alle misure, agli indicatori e all’impatto delle biblioteche.

Nel 1999 l’Association of Research Libraries (ARL) ha dato vita a un servizio che si propone di rendere possibile l’applica­zione dei principi del controllo totale della qualità all’interno delle biblioteche, principi che sono stati elaborati a partire dagli anni ’50 del secolo scorso. LibQUAL+ è un sondaggio basato in parte sugli standard messi a punto dall’ISO che aiuta le bi­blioteche a valutare e migliorare i loro servizi ed eventualmente a cambiare la cultura organizzativa. Il sondaggio è rivolto agli utenti e misura i livelli minimi, percepiti e desiderati dei servizi riguardo a tre dimensioni: effetti del servizio, controllo dell’in­formazione e la biblioteca come luogo.

Dal 2000, migliaia di biblioteche hanno partecipato a LibQUAL+, tra cui biblioteche universitarie, mediche, giuridi­che e biblioteche pubbliche, alcune attraverso consorzi, altre da sole. Nel corso del 2018 sono state condotte 3.161 indagini in 1.390 istituzioni di 35 paesi, il sondaggio è stato tradotto in 19 lingue e sono state intervistate quasi 3.000.000 di persone. Circa il 37% di coloro che rispondono al sondaggio fornisce commenti dettagliati sul modo in cui usa la biblioteca.

In Italia, quattro anni dopo la proclamazione del Regno, il Ministero dell’istruzione pubblica diede alle stampe un elenco contenente una breve descrizione di tutte le biblioteche ita­liane, “una delle glorie della civiltà europea”, seguito da una serie di osservazioni statistiche e da due appendici: Origini delle biblioteche e loro suppellettili in libri e manoscritti e Stato personale e movimento economico delle biblioteche. Da quel momento in poi i rapporti sulle biblioteche italiane si sono succeduti a ritmo più o meno regolare. Nel 1954 l’Istituto na­zionale di statistica (ISTAT) ha iniziato a raccogliere sistema­ticamente i dati sulle biblioteche che possono essere consultati all’interno della sezione del suo sito dedicata alle statistiche culturali.

Per quanto riguarda le biblioteche accademiche, nel 1999 il MiP del Politecnico di Milano ha avviato il progetto Good Practice con l’obiettivo di misurare e confrontare tra loro le performance dei servizi amministrativi e di supporto delle uni­versità sia dal punto di vista dell’efficacia percepita (customer satisfaction) sia dal punto di vista dell’efficienza. Le rilevazio­ni sull’efficacia percepita si rivolgono al personale docente, ai dottorandi, agli assegnisti, agli studenti e al personale tecnico-amministrativo e bibliotecario. All’interno di questo progetto, che nel 2020 è giunto alla 16ª edizione, una sezione particolare è stata riservata sin dall’inizio ai sistemi bibliotecari d’Ateneo.

Nel 2000 a Good Practice si è affiancato il Gruppo interu­niversitario per il monitoraggio dei sistemi bibliotecari d’Ate­neo (GIM), che ha pubblicato tre indagini nazionali per gli anni 2002, 2006 e 2010. Le indagini hanno riguardato gli aspetti or­ganizzativi dei sistemi bibliotecari d’Ateneo, le infrastrutture e le risorse, l’uso, i costi e lo sviluppo.

In che modo è possibile applicare i principi che stanno alla base della scienza dei dati ai problemi della biblioteconomia?
La scienza dei dati, la possibilità cioè di utilizzare procedure automatiche per trarre conoscenze dalle informazioni di cui si dispone, può essere utilizzata per analizzare una biblioteca, le collezioni che ospita o a cui fornisce l’accesso, i servizi che offre e i lettori che la frequentano. Essa dovrebbe rendere più facile stabilire qua­li azioni o quali progetti siano effettivamente utili ai lettori. Si tratterebbe infatti di decisioni basate su fatti, come prescrive il documento dell’International Organization for Standardization dedicato alla qualità dei servizi.

Applicare i principi e di tecniche della scienza dei dati all’interno di una biblioteca , in più, è un modo per imparare facendo. Gli effetti positivi di questa pratica sono stati messi in luce nel 1962 dal premio Nobel per l’economia Kenneth J. Arrow in un artico­lo molto citato intitolato appunto Le implicazioni economiche dell’imparare facendo, frutto di uno studio commissionato all’au­tore dall’Office for Naval Research. Secondo Arrow, il cambia­mento tecnico in generale può essere attribuito all’esperienza ed è proprio l’attività di produzione che dà origine a problemi per i quali, nel corso del tempo, vengono selezionate le risposte più favorevoli. Raccogliere ed elaborare le informazioni secondo i principi della scienza dei dati renderà quindi possibile ai biblio­tecari trovare le migliori soluzioni ai problemi con cui devono confrontarsi nel XXI secolo.

Quali previsioni consente inoltre di formulare l’applicazione della scienza dei dati in biblioteca?
L’applicazione più interessante della scienza dei dati alle biblioteche è senz’altro la possibilità di prevedere quale sarà l’utilizzo futuro di una determinata collezione (cartacea o elettronica) e decidere così quali privilegiare.

Nel caso dell’Università degli Studi di Milano, ad esempio, è stato possibile rendersi conto che l’aumento del numero dei periodici elettronici a disposizione non porta con sé un parallelo aumento del numero degli articoli scaricati, mentre la diminuzione delle nuove acquisizioni di libri cartacei non ha per ora avuto effetto sul numero dei prestiti.

Danilo Deana lavora presso la Direzione del Servizio bibliotecario d’Ateneo dell’Università degli Studi di Milano. Ha pubblicato numerosi articoli su riviste specializzate oltre a due libri dedicati al tema dei cataloghi: A ciascuno il suo catalogo (Editrice Bibliografica, 2019) e Come valutare la qualità del catalogo di una biblioteca (Editrice Bibliografica, 2020).

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