
Quando e come avvenne la scoperta del legame tra le consonanze fondamentali?
La tradizione attribuisce questa scoperta allo stesso Pitagora, datandola quindi tra il VI e il V secolo a.C. I racconti su come essa avvenne sono concordi, puntuali e numerosi. Il Maestro, passando vicino all’officina di un fabbro, avrebbe udito delle consonanze musicali prodotte da vari martelli che battevano su incudini e, ponendo in relazione il peso dei martelli con i suoni prodotti, avrebbe scoperto i rapporti che abbiamo detto. Tornato a casa, avrebbe poi ripetuto l’esperimento con bicchieri, con pesi che tendevano corde e, infine, costruendo un monocordo per confrontare le lunghezze di parti di una corda vibrante, ottenendo sempre gli stessi numeri. Tuttavia, l’attendibilità di questi racconti, tutti di autori appartenenti a scuole neopitagoriche e neoplatoniche, è bassa sia dal punto di vista storico che da quello più propriamente scientifico. Il resoconto più antico è posteriore di mezzo millennio rispetto a Pitagora, e quelli successivi, che giungono fino al Medioevo, presentano il l curioso fenomeno dell’aumento di dettagli narrativi man mano che ci si allontana nel tempo. Inoltre i rapporti 1/2, 2/3 e 3/4, se riferiti a martelli, bicchieri e pesi tensori, non sussistono, come dimostrò Vincenzo Galilei, padre di Galileo. Sono invece corretti se riferiti alle lunghezze delle corde vibranti; il monocordo si trovò così ad essere lo strumento scientifico intorno al quale i Pitagorici fondarono la loro teoria delle proporzioni e determinarono i rapporti della scala musicale che da loro prese appunto il nome di Scala pitagorica. Questa scala non soltanto rimase in uso fino alla fine del Medioevo, ma i suoi rapporti furono anche impiegati, dai Pitagorici e soprattutto da Platone nel Timeo, per costruire un modello dell’universo in cui i pianeti fossero disposti in modo da creare armonia: il modello dell’Armonia universale, che perdurò così a lungo da lambire la Rivoluzione scientifica.
Quale concezione esisteva, nel Medioevo, della musica?
All’inizio del VI secolo Severino Boezio pubblica un De Musica e un De Aritmetica, portando la teoria musicale greca dentro il Medioevo, dove rimarrà, inalterata, per mille anni. Boezio conia anche il termine “quadrivio” per indicare la quadripartizione pitagorica della matematica in aritmetica, musica, geometria e astronomia. Questo termine assunse presto un grande rilievo, quando le materie quadriviali si congiunsero a quelle triviali – grammatica, retorica e dialettica – per comporre il curriculum medievale di studi di secondo grado. Ma se la teoria musicale rimase immobile, la musica suonata subì invece una profonda trasformazione, spinta dal ruolo che la nuova religione attribuiva al canto corale e coadiuvata dalla grande invenzione della scrittura diastematica delle note. L’affermarsi della polifonia, con la presenza di linee melodiche diverse eseguite simultaneamente, mise in luce alcune debolezze sonore della Scala pitagorica e condusse a una scala leggermente diversa, in grado di ottenere nuovi intervalli musicali consonanti.
Come si è sviluppata la ricerca di una scala che permettesse di ottenere accordi della massima consonanza?
I teorici musicali greci erano concordi su un punto: non esistono intervalli consonanti minori della quarta. Coerentemente a questo assunto la Scala pitagorica era in grado di produrre correttamente ottave, quinte e quarte. Durante il Medioevo, soprattutto da parte dei popoli del nord, incominciarono però a essere impiegati come consonanti anche gli intervalli di terza maggiore e minore, che la Scala pitagorica non era in grado di produrre nella loro forma più eufonica. I rapporti giusti tra le lunghezze delle corde per ottenere questi nuovi intervalli sono 4/5 e 5/6, mentre tutti gli intervalli ottenibili sulla Scala pitagorica sono espressi da rapporti tra potenze di 2 e potenze di 3. Per poter ottenere una “scala giusta” (fu questo uno dei nomi con cui venne indicata), in grado di produrre correttamente gli intervalli di terza, fu sufficiente abbassare lievemente (circa 1/10 di tono) il Mi, il La e il Si pitagorici. Matematici come Cartesio, Leibniz ed Eulero descrissero questo mutamento come l’ingresso del 5 a fianco del 2 e del 3 tra i “numeri musicali”, cioè tra i numeri primi che intervengono nei rapporti tre le note della scala. Questa nuova scala, conosciuta anche come Scala di Zarlino in onore al teorico che per primo la formalizzò in modo completo, manifestò subito un problema: la necessità di avere molte note all’interno di una singola ottava per poter ottenere la stessa sequenza di intervalli partendo da note diverse dal Do. I musicisti e i matematici che non vollero rinunciare alla bellezza del suono della scala giusta e dall’eleganza dei suoi rapporti numerici proposero scale fino a 26 note per ottava, ottenibili su complicatissime tastiere con tasti neri sdoppiati o addirittura tripartiti. Alla fine prevalse però la soluzione più pratica, anche se non la più eufonica: quella della Scala equabilmente temperata, in grado di limitare a 12 il numero di note per ottava.
In che modo ha prevalso la scala temperata?
L’idea della scala temperata, costituita dalla divisione dell’ottava in 12 semitoni tutti uguali tra loro, è antica: fu teorizzata da Aristosseno, nel IV secolo a.C. Gli intervalli di questa scala sono tutti, tranne l’ottava, espressi da rapporti irrazionali (in senso matematico), e questo fatto la pose in aperto conflitto con il pensiero pitagorico-platonico dominante, secondo il quale ogni intervallo musicale doveva essere esprimibile come rapporto tra numeri interi. Questa forma di ostracismo perdurò per l’intero Medioevo, essendo stato ripreso da Boezio, e fu alla base di una delle più famose dispute rinascimentali: quella tra Zarlino e Vincenzo Galilei. Anche quando il rifiuto ideologico perse forza, rimase il problema che le consonanze ottenibili sulla Scala temperata, tranne l’ottava, si discostano, seppur di poco, dai valori della Scala giusta e dunque dalla piena eufonia. Tuttavia, la possibilità di trovare la stessa successione intervallare partendo da qualunque nota – caratteristica che distingue la Scala equabilmente temperata dalle altre scale- e la conseguente possibilità di modulare da una tonalità all’altra, finirono per avere la meglio, portando alla completa accettazione del temperamento.
Fabio Bellissima è professore ordinario di Matematiche complementari all’Università degli Studi di Siena