“La Russia eterna. Origini e costruzione dell’ideologia post sovietica” di Luca Gori

Dott. Luca Gori, Lei è autore del libro La Russia eterna. Origini e costruzione dell’ideologia post sovietica edito da Luiss University Press: come si è andata affermando in Russia l’egemonia culturale conservatrice?
La Russia eterna. Origini e costruzione dell’ideologia post sovietica, Luca GoriTra il 1991 e il 2021 la parabola politica della Russia ha disegnato una lunga curvatura ideologica. Alle aperture di segno liberale tentate da El’cin, è seguita la progressiva affermazione di una cultura politica tradizionalista. La torsione conservatrice di Mosca ha seguito una dinamica incrementale. Avviata tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000, ha visto un’accelerazione con la rielezione di Putin nel 2012 e con l’annessione della Crimea nel 2014, quando ha preso la forma di un disegno più organico in termini di riflesso psicologico, egemonia culturale e indirizzo politico. Nel 2020, la riforma della Costituzione russa ha posto il sigillo ufficiale sui valori tradizionali che avevano ispirato la “svolta conservatrice” di Mosca, chiudendo il cerchio della sua evoluzione.

Il neo-conservatorismo del Cremlino non si è tradotto tuttavia nella formale reintroduzione di un’ideologia di Stato. La bussola politica di Putin resta il perseguimento pragmatico degli interessi nazionali. Mosca non intende fissare un principio ordinatore attorno al quale organizzare, in modo dogmatico, le politiche dello Stato, le priorità della società e i costumi dei cittadini. Il Cremlino mira piuttosto a “ideologizzare” la civiltà russa. A valorizzare il mito della patria. A promuovere l’idea di una Russia eterna, al di là della forma-Stato in cui si è di volta in volta incarnata. L’obiettivo strategico consiste nel far leva su un’articolata piattaforma di valori coerenti con la tradizione storica di una Russia presentata come Stato-civiltà, “separato” dall’Occidente e votato ad un percorso autonomo di sviluppo e modernizzazione.

Dove affonda le proprie radici il conservatorismo russo?
Il conservatorismo russo come pensiero filosofico si è sviluppato soprattutto a partire dall’inizio del 1800. Nacque come reazione oppositiva a spinte modernizzatrici di segno liberale e, nella sua prima fase, si presentò soprattutto sotto forma di nazionalismo romantico, con preoccupazioni più culturali, religiose e identitarie che non politiche o economiche.

Da Alessandro I a Putin, il conservatorismo si è intrecciato strettamente con due secoli di storia russa. A volte in veste di dottrina ufficiale di governo, altre volte in opposizione ai suoi propositivi riformatori, altre ancora come contesto culturale in grado di condizionare l’azione politica del Cremlino. Slavofili di prima e seconda generazione, počvenniki, panslavisti, fautori di un conservatorismo di civiltà, sociale o liberale, imperialisti, nazionalisti, eurasianisti di inizio novecento o post-sovietici, si sono costantemente confrontati e divisi su identità nazionale, rapporto con l’Europa, funzione dell’ortodossia, ruolo dello Stato, missione universale della Russia, libertà, stabilità, cambiamento economico-sociale.

Tenere a mente la complessa traiettoria storica del conservatorismo russo è molto importante per analizzare la Russia di oggi. Permette infatti di collocare la scelta ideologica di Putin nell’alveo di uno schema tradizionale del pensiero russo. Aiuta a capire che il conservatorismo ha sempre accompagnato il percorso di sviluppo della Russia, offrendole un “rifugio” ogni qual volta si è sentita minacciata dall’esterno o messa sotto pressione da spinte riformiste interne di segno “eccessivamente” liberale. Fu così di fronte ai tentativi di cambiamento di Alessandro I, alle “Grandi riforme” di Alessandro II, alle prove di liberalismo di Stolypin e alle confuse aperture di Nicola II. Fu così di fronte alla sconfitta in Crimea, all’invasione nazista, al pericolo di crollo dell’URSS e alla scelta occidentale di El’cin. La “svolta conservatrice” della Russia va letta – in ultima istanza – come un riflesso ricorrente e difensivo, naturale e istintivo. Un gesto psicologico ancor prima che un progetto politico. Il tentativo di rispondere in modo rassicurante alla percezione di una minaccia esistenziale o alla domanda di un cambiamento radicale, esorcizzando le relative paure.

In che modo il ritorno di Putin al Cremlino nel 2012 ha segnato un momento di accelerazione della “svolta conservatrice” di Mosca?
Tornato Presidente nel 2012, per Putin era diventato ancora più impellente poter disporre di una piattaforma ideologica che garantisse alla Russia sicurezza, coesione sociale e indipendenza politica. Anche alla luce delle manifestazioni svoltesi in occasione delle elezioni parlamentari e presidenziali del 2011-2012, per il Cremlino era ormai tempo di rafforzare il fronte interno, contro il rischio di ingerenze straniere. Occorreva rafforzare la sovranità del Paese e difendere la civiltà russa.

Putin mirava in particolare a ridefinire l’identità nazionale attraverso la ricostruzione di un passato condiviso, facendo risaltare il “filo rosso”, mitologico e religioso, che aveva intrecciato le vicende esistenziali della storia russa: le battaglie contro i polacchi nel 1612, la resistenza contro Napoleone nel 1812, la difesa eroica di Sebastopoli nel 1854-55 e la vittoria sul nazismo nel secondo conflitto mondiale, sino all’annessione della Crimea nel 2014. Un sentimento patriottico che doveva essere riscoperto e valorizzato. Il conservatorismo prendeva così la forma di un luogo dello spirito dove riparare nei momenti più difficili per riscoprire il proprio codice genetico e trovare la forza di opporsi. Un riflesso istintivo che ricorda la famosa scena da ballo in “Guerra e pace” di Tolstoj, quando la Contessa Nataša Rostova – che per classe sociale ed educazione ricevuta non aveva mai ascoltato una canzone popolare russa – avverte nel suono della balalaika un irresistibile richiamo a ballare, mostrandosi subito capace di seguirne il ritmo, con grazia e naturalezza.

Nell’indicare tempi e modi della “svolta conservatrice”, tra il 2012 e il 2014 Putin scelse di suonare le note nazionaliste della balalaika e di incoraggiare la “danza di Nataša”: l’idea cioè di una Russia eterna, capace di ascoltare il suo respiro profondo, di ritrovarsi unita in una comune ed innata sensibilità per i suoi valori ancestrali. Lo fece naturalmente non per ragioni romantiche, ma nella convinzione che fosse il modo migliore per rafforzare il proprio potere e per tenere insieme il Paese. Per consolidare Stato e sovranità, percependo – a torto o a ragione – di essere sotto assedio da parte dell’Occidente.

Chi sono i padri spirituali del conservatorismo post sovietico?
Putin non si è mai identificato ufficialmente in un autore, né ha mai promosso qualcuno a “filosofo di Stato”. Nel corso della sua permanenza al Cremlino il Presidente russo ha però sottolineato l’importanza della “filosofia religiosa” come collante comune per riempire il vuoto lasciato dalla scomparsa dell’ideologia comunista. Nei suoi discorsi pubblici sono apparsi con sempre maggiore frequenza riferimenti filosofici e citazioni di pensatori russi. Tanto che con la “svolta conservatrice” del 2012-2014 divenne visibile una specie di Pantheon dei “padri spirituali” ai quali il Cremlino si ispirava nella definizione della sua piattaforma ideologica. Una serie di pensatori, scrittori e filosofi accomunati dalla convinzione di una Russia destinata a svolgere un ruolo speciale nella storia del mondo. Tra loro vi erano zar e intellettuali zaristi, slavisti di seconda generazione, grandi scrittori ottocenteschi, intellettuali della diaspora “bianca” seguita alla rivoluzione bolscevica, autori proibiti in epoca sovietica perché critici del bolscevismo, eurasianisti di varia estrazione. Tra i tanti, nel libro mi soffermo in particolare su Nikolaj Danilevskij, Konstantin Leont’ev, Ivan Il’in, Nikolaj Berdjaev e Lev Gumilev. Al di là del profilo particolare di Berdjaev, si tratta di autori accomunati dalla consapevolezza di una Russia quale civiltà autonoma, unica e speciale. Un Paese sovrano, anti-rivoluzionario, votato ad un cambiamento graduale e fortificato dal suo spazio, dalla sua terra, dalla sua natura e dalla sua genetica. Molti filosofi conservatori sono interessati ad un’Idea Russa da perseguire e realizzare – se necessario – in contrapposizione ad un Occidente per certi versi minaccioso, per altri secolarizzato e quindi da redimere, alla cui cultura va in ogni caso negata ogni pretesa di universalità.

Qual è la cultura politica del conservatorismo russo?
Per cogliere la cifra culturale del conservatorismo russo dobbiamo dare rilievo al contrasto ontologico tra Stati Uniti e Russia. Il conservatorismo post-sovietico ha costruito infatti il proprio profilo identitario come contro-cultura rispetto alla civiltà americana e alla sua aspirazione universale. Enfatizzare questo contrasto, consente pertanto al pensiero tradizionalista di mettere in risalto la specificità della cultura russa.

Russia e Stati Uniti incarnano in effetti due destini universali antitetici, che riflettono due diverse autorappresentazioni nazionali e due diversi messianismi. Da un lato, quello sintetizzato dallo storico Richard Hofstadter sull’America: “È stato il nostro destino come nazione non avere un’ideologia, ma esserne una”. Dall’altro, quello espresso dal filosofo Vladimir Solov’ev sulla Russia: “L’idea di una nazione non è ciò che essa pensa di se stessa nel tempo, ma ciò che Dio pensa di essa nell’eternità”. Eccezionalismo americano versus Idea Russa. E se l’eccezionalismo americano è nato come momento di “rottura” rivoluzionaria rispetto all’ordine costituito, proponendo la democrazia come nuovo orizzonte politico universale, il conservatorismo russo ha invece nel suo DNA il Katéchon: cioè la visione di una Russia come “scudo” che protegge l’ordine e la stabilità dalle forze apocalittiche del caos. Il concetto di Katéchon è centrale per provare a capire la Russia di Putin e il senso della sua “svolta conservatrice”. Se nella filosofia di Schmitt, il Katéchon coincide sostanzialmente con lo Stato che protegge contro il caos, nella Russia post-sovietica il concetto ha finito per incarnare l’idea stessa di difesa dalla minaccia esterna. Mosca si vede cioè come la forza che resiste ad un nemico fisico e metafisico inviato dall’Anticristo. Un tempo i Tatari, i Turchi, Napoleone o Hitler. Più di recente i liberali, gli agenti americani, i movimenti LGBT, la NATO, l’Unione europea, il liberalismo, la globalizzazione, il post-modernismo. La Russia-Katéchon si erge così a difesa della propria civiltà, a cominciare dalla sua identità ortodossa.

Quale futuro, a Suo avviso, per la politica russa?
Come scrivo nel libro, immaginare la Russia che verrà è sempre azzardato oltre che eccessivamente ambizioso. Per gli anni a venire, in termini di cultura politica la Russia sarà ancora un Paese conservatore. Forse più pluralista sul piano politico, economico e sociale. Ma ancora conservatore in termini di egemonia culturale. La Russia resterà cioè ancora a lungo un Paese dove lo Stato manterrà intatta la sua centralità egemonica. Dove patriottismo e glorificazione del passato continueranno a rappresentare l’ideologia nazionale di riferimento. Dove si continuerà a perseguire uno status di grande potenza. Dove cambiamento e riformismo verranno favoriti solo in modo “organico”, graduale e progressivo, facendo attenzione a preservare anzitutto stabilità e sicurezza. Un Paese, la Russia conservatrice, che ogni qual volta verrà messo nell’angolo e costretto a scegliere tra un rapporto costruttivo con l’Occidente e la tutela dell’ordine interno, imboccherà senza esitazione la seconda strada.

La Russia di oggi ha tuttavia bisogno di riforme, mentre il conservatorismo ha sempre avuto un rapporto difficile con i processi di modernizzazione. Il rischio è che la Russia conservatrice, percependosi eterna, si sottragga sempre più ai vincoli politici della temporalità. Che finisca, in altri termini, per trasformare l’eternità in un’autoreferenzialità sorda alle istanze sociali di inclusione e rinnovamento. In ogni caso, per l’Occidente liberale è importante mantenere un dialogo costruttivo con la Mosca conservatrice, cercando di individuare pragmaticamente specifiche aree di cooperazione nonostante le divergenze di valori e interessi che continueranno a esistere.

Luca Gori è diplomatico di carriera e autore di vari saggi di politica internazionale. Ha prestato servizio nelle Ambasciate d’Italia a Mosca, Washington e nella Rappresentanza Permanente italiana presso l’Unione Europea a Bruxelles. Nel 2007, ha pubblicato Il russo del diplomatico (Studio Gordini); nel 2008, L’Unione europea e i Balcani occidentali (Rubbettino), tradotto anche in serbo; nel 2015, L’America allo specchio (Aracne); nel 2018 (con Alessandro Aresu), L’interesse nazionale: la bussola dell’Italia (Il Mulino).

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