
A distanza di un secolo dalla Rivoluzione d’Ottobre, come sono le relazioni tra Russia e Occidente?
Dopo il collasso dell’Impero sovietico, gli Stati Uniti e alcuni Paesi europei si convinsero che fosse possibile integrare la Federazione Russa nell’ordine liberale che stava sorgendo. Questo esito era fatto dipendere dalla capacità di accompagnare il triplice regime change della Russia – statale (dall’URSS), di regime (da un post-totalitarismo di stampo comunista) e di sistema economico (dall’economia pianificata) –verso i modelli occidentali. Il risultato contraddittorio di questi processi ha rilanciato nuovamente in Occidente il dibattito tra coloro secondo cui la democratizzazione e la ‘marketizzazione’ della Russia avrebbero annullato la rivalità strategica con gli Stati Uniti e i Paesi europei e quelli che, ponendo l’accento sulla resilienza degli interessi di lungo periodo, non consideravano credibile l’ipotesi di un’intesa duratura. Particolarmente significativa è stata in questo senso l’attitudine iniziale dei primi tre presidenti americani eletti dopo la fine della Guerra fredda. Tutti hanno cercato l’integrazione della Russia: Bill Clinton con un approccio definito dai critici del Russia first, George Bush con l’integrazione della Russia nella Global war on terror e Barack Obama con il Russian reset. Ognuna di queste iniziative, tuttavia, si è bloccata di fronte all’emergere di vecchi e nuovi ostacoli e ogni Amministrazione è giunta al termine del suo secondo mandato con uno stato dei rapporti con Mosca peggiore di quello che aveva trovato all’avvio del primo. La National Security Strategy 2017 dell’Amministrazione Trump, infine, attribuisce a Mosca il ruolo di principale minaccia militare alla sicurezza di Washington nel breve termine. L’ex nemico della Guerra fredda è presentato come un attore alla ricerca del ripristino del suo status di grande potenza, da cui derivano tre politiche principali: 1) la definizione di una sfera d’influenza invalicabile nello Spazio post-sovietico, come dimostrato dal mancato riconoscimento di fatto della sovranità di Ucraina e Georgia; 2) il ricorso a pratiche sovversive per indebolire la credibilità dell’impegno americano nel mondo, minare l’unità euro-atlantica e indebolire i governi e le istituzioni del continente europeo; 3) la proiezione d’influenza in Europa e in Asia centrale attraverso la leva dell’energia e del controllo delle infrastrutture strategiche.
Quali condizioni strutturali e quali agenti spingono per una Federazione Russa come potenza esterna all’Occidente?
Dalla prospettiva russa, i problemi derivano dalla pluralità degli interessi dei diversi attori del campo occidentale, così come dal ‘senso di accerchiamento’ da ovest che ha condizionato il Paese sin dalla Guerra russo-polacca del 1605-1618. Dalla prospettiva occidentale, invece, le difficoltà sembrano dipendere dalla doppia proiezione – europea ed asiatica– della Russia, così come dal suo enorme ‘peso’ geopolitico. A rendere ancora più complicato il quadro sono intervenuti i mutamenti del post-Guerra fredda. L’interazione tra Russia e Occidente, infatti, non può essere interpretata solo attraverso le lenti della tensione tra unipolarismo e multipolarismo. Al contrario, va investigata considerando anche le dinamiche della globalizzazione dell’economia e della comunicazione, così come la tensione tra processi di democratizzazione e autocratizzazione. Nella dimensione internazionale, inoltre, una parabola discendente sembra essere stata imboccata nell’ultimo decennio dall’egemonia degli Stati Uniti. Da un lato, con il progressivo allontanarsi della fine della Guerra fredda la coalizione occidentale ‘vincitrice’ sembra smarrire la volontà, oltre che talvolta la capacità, di continuare a garantire l’ordine liberale, tanto su scala globale quanto all’interno delle singole aree regionali (come ha mostrato la paralisi sia americana che europea di fronte alla nuova ondata di crisi mediorientali). Dall’altro lato, al ripiegamento degli Stati Uniti e dei loro alleati europei corrisponde un parallelo aumento dell’attivismo e dell’assertività di altri attori. Sia alleati sulla carta (come la Turchia e l’Arabia Saudita in Medio Oriente e il Giappone in Asia orientale) che, soprattutto, i possibili competitori. E ovviamente la Russia gioca un ruolo centrale in questo secondo gruppo.
Quali elementi di continuità e di discontinuità è possibile riscontrare nella storia delle le relazioni tra la Russia e gli Stati occidentali dell’ultimo secolo?
L’interazione tra Russia e Occidente ha vissuto fasi alterne di competizione e cooperazione per tutta l’età contemporanea. Nel corso degli anni Novanta, il progressivo aumento degli interscambi economici e l’avvio del processo di democratizzazione hanno contribuito a far svanire in molte capitali europee l’immagine di Mosca come di una minaccia alla propria sicurezza, sostituita da quella di partner economico affidabile. In alcuni momenti è sembrato possibile raggiungere anche un allineamento politico, come segnalato dalla trasformazione del G7 in G8 e dallo ‘spirito’ di Pratica di Mare (2002). Tuttavia, la tendenza generale dei rapporti con la Russia nel post-Guerra fredda ha seguito una parabola declinante, confermata anche dagli avvenimenti più recenti. Il rinnovo delle sanzioni in vigore dal 2014, la denuncia del Parlamento europeo del finanziamento russo a partiti e organizzazioni anti-europeisti e la definizione della Russia come rivale strategico degli Stati Uniti da parte dell’Amministrazione Trump nell’ultima National Security Strategy confermano che, almeno per il momento, l’elemento competitivo prevale su quello cooperativo nei rapporti tra l’Occidente e la Federazione Russa.