
Nel secondo caso leader politici e giornalisti utilizzano, a mio avviso impropriamente, termini quali democrazia elettorale o illiberale che costituiscono una contraddizione in termini e alimentano confusione nell’opinione pubblica. Le elezioni, infatti, sono presenti anche nei regimi non democratici e se mancano i principi fondamentali delle democrazie liberali è evidente che ci troviamo dinanzi ad un regime che non è democratico.
Come ha affermato Putin in un’intervista al Financial Times nel giugno 2019, “l’idea liberale oggi ha esaurito il suo compito”; i regimi liberaldemocratici rappresentativi hanno fallito la loro spinta propulsiva, creando più diseguaglianza e favorendo la nascita di sovranismi e populismi, ritenuti da Putin, il megafono della “frattura tra il popolo e la classe dirigente”. I sistemi politici, come quello russo, sono l’alternativa politica ai regimi liberaldemocratici. Si può anche discutere se la Russia sia più democratica della Turchia, dell’Iran o della Cina, ma stiamo comunque parlando di sistemi che non condividono totalmente o in parte i principi e le tradizioni dei regimi occidentali.
Qual è il panorama politico russo? Putin ha «oppositori» formali?
L’opposizione politica è rappresentata attualmente da tre partiti nella Duma (la camera bassa del parlamento russo) – il partico comunista delle Federazione russa, il partito liberaldemocratico e Russia giusta – che, seppur contrari a certe iniziative del governo, non mettono in discussione il regime politico e, talvolta, votano a favore delle proposte legislative di Russia unita, il partito che sostiene il presidente Putin. L’opposizione extraparlamentare è, invece, frammentata e costituita da una miriade di piccoli partiti che non hanno risorse materiali ed organizzative per accedere alle elezioni o da associazioni e movimenti che sono costantemente oggetto di sanzioni penali ed amministrative.
Attualmente il volto più noto, anche in occidente, e principale oppositore di Putin è Aleksej Navalny, fondatore del partito “La Russia del futuro”. Avvocato con formazione post-universitaria all’estero, Navalny è un attivista che attraverso il suo blog è riuscito a mobilitare migliaia di cittadini russi per combattere la corruzione in diverse regioni della federazione. Ha attivato forme di protesta che denunciano frodi elettorali, come nel caso del ciclo elettorale 2011-2016 e, più recentemente, in occasione della votazione nazionale per la riforma costituzionale del 1° luglio scorso. Tuttavia, le possibilità di una sua candidatura alle elezioni presidenziali del 2024 sono state completamente cancellate dalle nuove disposizioni introdotte negli emendamenti alla Costituzione che vietano periodi di formazione all’estero per chiunque voglia candidarsi alla guida del paese. Il messaggio è chiaro. Personaggi come Michail Chodorkovskij, Navalny o altri oligarchi di orientamento riformista che continuano, anche se dall’estero, a denunciare il regime putiniano non hanno di fatto la possibilità di candidarsi e costituire una concreta alternativa al potere. In generale, il pluralismo politico è riconosciuto, ma operazioni di ingegneria istituzionale ed elettorale, nel tempo, hanno favorito la formazione di un sistema partitico egemonico dove Russia unita detiene la maggioranza assoluta dei seggi e rappresenta “il braccio operativo” del sistema presidenziale.
Quali conseguenze sociali e politiche ha determinato la «dittatura della legge» del Presidente?
Prima di tutto un chiarimento sul termine “dittatura della legge”. Putin ha utilizzato questa espressione per segnalare la necessità di un cambiamento netto rispetto alla gestione, piuttosto anarchica e caotica, di El’cin, attraverso il raggiungimento di tre obiettivi: una maggiore stabilità del sistema politico, l’instaurazione di un ordine politico e un ruolo determinante e rilevante della patria russa nel sistema internazionale. Sul piano economico-sociale Putin ha implementato un pacchetto di riforme economiche, volte a migliorare le condizioni e lo stile di vita dei russi, favorendo la nascita di un ceto medio e migliorando i principali indicatori socio-economici: una crescita economica che ha consentito di ridurre il debito pubblico, un piano graduale di investimenti in diversi settori, un aumento dell’occupazione e dell’aspettativa di vita e la diminuzione dei tassi di mortalità. Le ingenti risorse naturali sono state fondamentali per la tenuta economica del paese tra il 2008 e il 2014 e la creazione dei fondi di riserva e della salute costituiranno uno strumento determinante per affrontare la crisi post Covid-19.
Sul piano politico, l’ordine e la stabilità sono i principi guida dell’azione politica di Putin che ha ridisegnato la natura dei rapporti fra centro e periferia attraverso la definizione di una “verticale del potere” ovvero una concentrazione di potere nell’apparato presidenziale e assegnato un ruolo decisivo per la strutturazione del voto al partito Russia unita.
Chi sono e quale ruolo hanno, nella Russia di Putin, i cosiddetti «oligarchi»?
Gli oligarchi sono persone che, durante la presidenza di Boris El’cin, si sono arricchite enormemente a tal punto da incidere sulla gestione del potere e influenzare le decisioni del presidente. Putin, consapevole del fatto che gli oligarchi potevano costituire un problema per la sua leadership, li ha inizialmente usati per conquistare il potere nel suo primo mandato per poi ridimensionarne il ruolo in ambito economico, costringendoli a pagare le tasse o a espatriare all’estero. In quest’ottica Putin ha preferito circondarsi di uomini fidati – i cd. Siloviki – provenienti dal settore del KGB (ora FSB) che hanno progressivamente sostituito gli oligarchi nei ruoli chiave dell’amministrazione presidenziale. È un termine prevalentemente utilizzato nei media occidentali per indicare i miliardari russi, ma come ha affermato il portavoce di Putin, Dmitrij Peskov, “riteniamo inappropriata l’espressione ‘oligarchi russi’…non ci sono oligarchi in Russia e il tempo in cui ci sono stati è ormai lontano”.
Quali eredità politiche, culturali e istituzionali del passato plasmano ancora la società e il mondo politico russo?
Le eredità del passato sono tuttora presenti. La tradizione culturale zarista e quella istituzionale sovietica rappresentano una continuità con il passato di cui ogni leader alla guida del paese deve e dovrà tener conto per garantire coesione e un buon funzionamento dell’apparato presidenziale-amministrativo. La concezione monista del potere dello zar o del segretario del PCUS è un tratto distintivo che difficilmente potrà essere cancellato. L’utilizzo della politica della memoria, della storia e dei simboli del passato sono elementi fondamentali che fanno presa sull’elettorato perché richiamano i tempi d’oro della potenza sovietica, della patria e dei valori religiosi e della famiglia che l’attuale propaganda utilizza per aumentare il consenso elettorale e la fiducia nei confronti di Putin.
Come si è evoluta la politica estera di Putin?
La politica estera di Putin è sempre stata favorevole al dialogo con l’Occidente e, soprattutto, con l’Unione europea. I “concetti di politica estera” confermano questo orientamento sino al secondo mandato di Putin. Tuttavia l’espansione della NATO e l’allargamento dell’UE ad est sono stati interpretati dalla Russia come un atto di tradimento da parte degli Stati uniti, in primis, e di tutto l’Occidente a causa delle ingerenze politiche nella ex sfera di influenza sovietica. La reazione di Putin è stata una politica estera più assertiva per assicurare la sicurezza nazionale, la sovranità, l’integrità territoriale e la lotta al terrorismo internazionale, culminata con l’annessione della Crimea nel 2014 e uno spostamento della Russia verso l’Oriente attraverso la creazione di un progetto euroasiatico, una più stretta collaborazione commerciale con la Cina e un ruolo di mediatore nel Medio Oriente.
La politica estera costituisce, indubbiamente, il punto di forza della presidenza putiniana declinata anche in ambito domestico come strumento di autoperpetuazione al potere.
Putin ha fatto di internet l’ambito di un confronto acceso con Stati Uniti e Occidente: come si articola la dottrina strategica russa per il web?
Sin dal suo primo mandato Putin ha investito molto nella riduzione del digital divide e nello sviluppo di tecnologie informatiche reclutando giovani laureati ed esperti del settore, essendo ben consapevole che Internet è uno strumento comunicativo strategico e dinamico. Nel 2016 viene pubblicata la prima dottrina della sicurezza cibernetica e attuato un piano di sviluppo di una “rete sovrana” – RuNet – capace di difendere il paese dalla rete globale. Utilizzati come soft power in politica estera per contrastare la narrazione occidentale russofobica con l’apertura di canali televisivi online come Russia Today e Sputnik e la diffusione di fake news, la “sovranità e il patriottismo digitale” rappresentano il punto di forza di un’economia digitale e di prevenzione di attacchi cibernetici.
Parallelamente sono state implementate alcune leggi (legge sull’estremismo, codice criminale) che disciplinano l’utilizzo e i contenuti del web controllati dall’agenzia federale di sorveglianza Roskomnadzor contro le quali sono state avanzate numerose critiche in termini di restrizione delle libertà di espressione e di controllo dei cittadini nella rete.
In che forme si articolerà, se e quando ci sarà, un dopo-Putin?
Personalmente non ritengo così scontata la rielezione di Putin sino al 2036. Le decisioni prese tra gennaio e marzo 2020 hanno dimostrato che la questione della sua successione, già presente nell’agenda politica dalle elezioni presidenziali del marzo 2018, costituisce il Tallone d’Achille non solo di Putin, ma, soprattutto, dei suoi sostenitori, i siloviki, che non vogliono perdere lo status socio-economico garantito dalla gestione del potere putiniano. Rispetto ad un piano iniziale volto a rielaborare la struttura dei rapporti tra potere esecutivo e legislativo e costituzionalizzare il consiglio di Stato, l’inaspettata richiesta della deputata Valentina Tereshkova di eliminare il vincolo dei due mandati consecutivi per consentire a Putin di ricandidarsi è stato un segnale evidente di “turbolenze” interne al “giardino d’oro” del Cremlino dinanzi alle quali Putin ha dovuto rimettere in gioco la sua candidatura per scongiurare l’instabilità politica. Il percorso più semplice e lineare sarebbe costituito dall’individuazione di un potenziale successore ad opera di Putin, come ha già fatto con Dmitrii Medvedev nel 2008. Con il voto popolare del 1° luglio e la sua ulteriore disponibilità Putin ha semplicemente rimandato la questione, ma le elezioni parlamentari del settembre 2021 e le condizioni economiche del paese nei prossimi anni ci daranno maggiori elementi per comprendere la natura – conflittuale o negoziale – e lo scenario più attendibile alle prossime elezioni presidenziali del 2024.
Mara Morini insegna Politics of Eastern Europe e Scienza politica all’Università di Genova. Conseguito il certificato internazionale di lingua russa, dal 2000 svolge attività di ricerca e pubblica articoli e libri sulle dinamiche politiche interne ed esterne della Russia postcomunista. È stata osservatrice elettorale dell’OSCE-ODIHR alle elezioni parlamentari (2003) e presidenziali (2018) a San Pietroburgo, Murmansk e Kazan. Recentemente è stata Visiting Professor all’Accademia Diplomatica del Ministero degli Esteri della Federazione russa e alla High School of Economics di Mosca.