“La Russia di Putin” di Anna Politkovskaja

La Russia di Putin, Anna PolitkovskajaLa Russia di Putin
di Anna Politkovskaja
traduzione di Claudia Zonghetti
Adelphi

«Ho riflettuto a lungo sul perché ce l’ho tanto con Putin. Che cosa me lo fa detestare al punto da dedicargli un libro? Non sono un suo oppositore politico, sono solo una cittadina russa. Una moscovita quarantacinquenne che ha potuto osservare l’Unione Sovietica all’apice della sua putrefazione comunista, negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, e non vuole ricascarci.

Mi sono prefissa di concludere il libro oggi, 6 maggio 2004. Domani sarà tutto finito. Non ci sono stati miracoli quali la contestazione delle elezioni del 14 marzo; l’opposizione ha accolto i risultati a testa bassa. Ragion per cui domani verrà varato il Putin-bis, voluto dalla stragrande, folle maggioranza dei voti dei suoi concittadini (più del settanta per cento). Pur sfrondando la percentuale di un venti per cento di brogli, il risultato basterebbe comunque a garantirgli la presidenza.

Ancora poche ore, e il 7 maggio del 2004 Putin, tipico tenente colonnello del KGB sovietico con la forma mentis – angusta – e l’aspetto – scialbo – di chi non è riuscito a diventare colonnello, con i modi di un ufficiale dei servizi segreti sovietici a cui la professione ha insegnato a tenere sempre d’occhio i colleghi, quell’uomo vendicativo (alla cerimonia di insediamento non è stato invitato nessun rappresentante dell’opposizione o di qualunque partito che non sia in completa sintonia con il suo), quel piccoletto che ci ricorda così da vicino l’Akakij Akakievič gogoliano in cerca del suo cappotto, tornerà a insediarsi sul trono. Sul trono di tutte le Russie.

Brežnev è stato pessimo. Andropov sanguinario sotto una patina di democrazia. Černenko un idiota. Gorbačëv non piaceva. El’cin ogni tanto ci costringeva a farci il segno della croce per timore delle conseguenze delle sue decisioni…

Questo è il risultato. Domani, 7 maggio, colui che è stato una loro guardia del corpo, assegnato allo scaglione 25 con il compito di starsene impalato nel cordone di sicurezza quando il corteo VIP sfrecciava oltre, proprio lui, Akakij Akakievič Putin, incederà sul tappeto rosso della sala del trono del Cremlino. Da padrone. Tra lo scintillio degli ori degli zar appena tirati a lucido, mentre la servitù sorriderà sottomessa e i suoi sodali – tutti ex pesci piccoli del KGB assurti a ruoli di grande importanza – gonfieranno tronfi il petto.

Forse si sarà pavoneggiato a quel modo anche Lenin, quando nel 1918 mise piede nel Cremlino conquistato con la rivoluzione. La storia ufficiale (altre non ne abbiamo) ci dice che l’incedere era timido, ma potrei scommettere che la sua fosse pura insolenza: «Eccomi qui, modesto modesto. Pensavate che fossi una mezza tacca? E invece ho vinto, ho spezzato la Russia, l’ho costretta a inchinarsi a me…».

E anche il nostro segugio del KGB – una mezza tacca pure lui – incede allo stesso modo per il Cremlino. Intorno ai suoi passi aleggia un’aura di rivalsa. […]

Così abbiamo accolto il giorno dell’insediamento, il 7 maggio 2004. Putin, che – per puro caso – si è ritrovato ad avere un potere enorme, lo ha gestito con conseguenze catastrofiche per la Russia.

E se non mi piace è anche perché nemmeno noi piacciamo a lui. Non ci sopporta. Ci disprezza. Siamo solo un mezzo, per lui. Un mezzo per raggiungere il potere personale. Per questo dispone di noi come vuole. Può giocare con noi, se ne ha voglia. Può distruggerci, se lo desidera. Noi non siamo niente. Lui, finito dov’è per puro caso, è il dio e il re che dobbiamo temere e venerare.

La Russia ha già avuto governanti di questa risma. Ed è finita in tragedia. In un bagno di sangue. In guerre civili. Io non voglio che accada di nuovo. Per questo ce l’ho con un tipico čekista sovietico che ascende al trono di Russia incedendo tronfio sul tappeto rosso del Cremlino.»

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