“La roba” di Giovanni Verga: riassunto trama

La roba è senza dubbio una delle novelle più note di Giovanni Verga, rappresentante per eccellenza del verismo letterario italiano.

Contenuta nella raccolta “Novelle rusticane” e pubblicato per la prima volta nel 1882, la novella ha al centro il personaggio di Mazzarò, possidente terriero. Appartiene a Mazzarò tutto quello che un viandante che si trovi a passare per quelle terre, che vanno dalla piana di Catania a Biviere di Lentini, possa coprire con lo sguardo: gli uliveti, i vasti campi, le greggi, le fattorie. “Pareva che Mazzarò fosse disteso tutto grande per quanto era grande la terra, e che gli si camminasse sulla pancia”.

Ma se, guardando ai suoi possedimenti, si potrebbe pensare che Mazzarò sia un nobile agiato che si gode le proprie ricchezze, la realtà è ben diversa. L’esistenza rigida e grama di Mazzarò è incentrata soltanto sul duro lavoro, a cui si è votato per poter accumulare tutta la “roba” che il viandante può vedere nel corso del suo viaggio, lavoro a cui continua a dedicarsi anche ora che la ricchezza accumulata sarebbe più che sufficiente per vivere negli agi.

La sua grettezza e avidità si rispecchiano anche nell’aspetto: basso, tarchiato, con una gran pancia, egli è tuttavia stato così astuto e brillante da riuscire a sfuggire alla povertà in cui era nato togliendo poco per volta la roba al barone che prima la possedeva, e che era stato il padrone di Mazzarò stesso. Il barone, dedito alla bella vita, non si era mai dedicato in prima persona alla cura dei suoi averi, con la conseguenza che i contadini che lavoravano per lui avevano trovato ben presto il modo per fregarlo, lavorando solo lo stretto necessario. Al contrario Mazzarò, nato povero, e “ci aveva pensato e ripensato tanto a quel che vuol dire la roba, quando andava senza scarpe a lavorare nella terra che adesso era sua, ed aveva provato quel che ci vuole a fare i tre tarì della giornata, nel mese di luglio, a star colla schiena curva quattordici ore, col soprastante a cavallo dietro, che vi piglia a nerbate se fate di rizzarvi un momento”, e “per questo non aveva lasciato passare un minuto della sua vita che non fosse stato impiegato a fare della roba”. Così si era dedicato anima e corpo all’accumulo di beni: “Tutta quella roba se l’era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, col non dormire la notte, col prendere la febbre dal batticuore o dalla malaria, coll’affaticarsi dall’alba a sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la pioggia, col logorare i suoi stivali e le sue mule – egli solo non si logorava, pensando alla sua roba, ch’era tutto quello ch’ei avesse al mondo; perché non aveva né figli, né nipoti né parenti; non aveva altro che la sua roba. Quando uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba.”

E infatti la roba, come ferro attratto da una calamita, sembra appiccicarsi da sola al corpo di Mazzarò, sembra crescergli attorno automaticamente.

Tuttavia, egli pare non averne mai a sufficienza, e all’ottenimento di una quantità sempre maggiore di beni materiali sacrifica ogni possibile gioia della vita: anche una volta che è diventato ricco, continua a spezzarsi la schiena dall’alba al tramonto, continua a nutrirsi solo di pane e cipolla, e vessa i lavoranti come un tempo era stato vessato lui. Non ha né il vizio del gioco né quello delle donne e non gli interessano vini pregiati o abiti costosi. Né gli importa del denaro in quanto tale: ai soldi preferisce la terra, il bestiame, “la roba” appunto, i beni materiali che soli gli confermano di essere davvero riuscito a diventare qualcuno. In più la vita gretta che ha condotto non gli ha permesso di circondarsi di nessun tipo di affetto: non ha una famiglia, né amici, e di “donne non aveva mai avuto sulle spalle che sua madre, la quale gli era costata anche 12 tarì, quando aveva dovuto farla portare al camposanto”.

Né la solitudine né le privazioni sembrano turbare Mazzarò. L’unica cosa che lo sconforta è il fatto di stare invecchiando ed essere quindi destinato a dover presto lasciare tutta quella terra che con tanta fatica aveva accumulato: “Questa è una ingiustizia di Dio, che dopo essersi logorata la vita ad acquistare della roba, quando arrivate ad averla, che ne vorreste ancora, dovete lasciarla! E stava delle ore seduto sul corbello, con il mento nelle mani, a guardare le sue vigne che gli verdeggiavano sotto gli occhi, e i campi che ondeggiavano di spighe come un mare, e gli oliveti che velavano la montagna come una nebbia45, e se un ragazzo seminudo gli passava dinanzi, curvo sotto il peso come un asino stanco, gli lanciava il suo bastone fra le gambe, per invidia”.

Si conclude così la novella, con una scena di follia: Mazzarò, quando la vecchiaia è infine sopraggiunta e gli viene detto che ormai non deve più pensare ad accumulare ricchezze, ma piuttosto alla sua anima, impazzisce e corre qua e là per l’aia cercando di uccidere anatre e galline nel vano tentativo di portare la sua roba nell’aldilà con lui.

Con questa novella Verga ci regala un personaggio indimenticabile, patologicamente attaccato ai beni materiali, che passa dall’essere oppresso dal padrone a diventare schiavo della “roba”.

Silvia Maina

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