
di Silvio Pons
Einaudi editore
«Nel corso del XX secolo, il comunismo ha segnato la vita e la morte, le speranze e le paure, i sogni e gli incubi, le identità e le scelte di buona parte dell’umanità. Non è facile indicare un solo aspetto significativo della storia mondiale del secolo passato che non abbia a che fare con esso e che non abbia conosciuto la sua influenza. Il comunismo è stato molte cose insieme: una realtà e una mitologia, un sistema statuale e un movimento di partiti, una élite chiusa e una politica di massa, un’ideologia progressista e un dominio imperiale, un progetto di società giusta e un esperimento sull’umanità, una retorica pacifista e una strategia di guerra civile, un’utopia liberatrice e un sistema concentrazionario, un polo antagonistico dell’ordine mondiale e una modernità anticapitalistica. I comunisti furono vittime di regimi dittatoriali e artefici di stati di polizia. Protagonisti di lotte sociali e di liberazione nazionale, di campagne di opinione e per i diritti di cittadinanza, fondarono invariabilmente regimi totalitari, oppressivi e liberticidi. Il loro dogmatismo, disciplina, culto dei capi e dell’organizzazione erano proverbiali, la loro adattabilità a contesti sociali, politici, culturali molto diversi e il loro pragmatismo nelle alleanze non furono da meno. I partiti comunisti si distribuirono nella maggior parte dei paesi del mondo, sebbene con modalità, dimensioni, composizione sociale e fortune assai alterne e variabili. L’attrazione o la repulsione suscitata dagli stati, dai partiti e dalle società comuniste definirono a lungo ovunque percorsi individuali, orientamenti intellettuali, psicologie collettive.
Il comunismo esibì una formidabile capacità espansiva nella prima metà del secolo e subì un declino vertiginoso nella seconda metà, fino al collasso e alla scomparsa. Autorappresentatosi sin dalle origini quale protagonista e demiurgo del mondo moderno, di un progresso storico razionale e irreversibile fondato sulla dottrina marxista, si svuotò di significato rispetto alle tendenze e ai caratteri della modernità stessa, nelle istituzioni, nel costume, nelle culture, nell’economia. La sua liquidazione in Europa, in Russia e in Asia centrale è stata rapida, lasciando spazio soltanto a eredi politici marginali o in grado di effettuare una metamorfosi democratica o nazionalista. La sua memoria è legata ad alcuni dei peggiori crimini contro l’umanità compiuti nel secolo scorso, prima che a qualsiasi altra cosa. La sua continuità in Cina e in Vietnam è affidata al regime monopartitico e al nazionalismo, ma ciò costituisce l’impalcatura politica di un sistema economico e sociale rovesciato, basato sul mercato e integrato nell’economia capitalistica mondiale. La sopravvivenza di regimi piú tradizionali a Cuba e nella Corea del Nord si perpetua in un isolamento senza prospettive. Gli autori che si sono cimentati nell’impresa di una narrazione storica generale hanno dovuto far fronte al paradosso di una vicenda rivoluzionaria svoltasi su scala planetaria senza apparentemente lasciare tracce profonde. Il comunismo sembra appartenere a un passato sepolto, precipitato in un tempo lontano da noi e dal nostro mondo globale.
Eppure, proprio l’impatto sullo sviluppo del mondo globale rappresenta forse l’autentico lascito del comunismo nella nostra epoca. L’idea leninista della rivoluzione mondiale, la visione dell’imperialismo come sistema, il nesso tra la società di massa e la nozione transnazionale della politica costituirono caratteri originari e fondativi dell’ideologia e dell’esperienza comunista. Il comunismo non fu però soltanto un ideale internazionalista. Fu a lungo il fenomeno internazionale per antonomasia, nella cultura politica, nelle dimensioni geopolitiche del movimento, nella strategia e nel mito dello Stato sovietico. La nascita di uno Stato rivoluzionario non costituiva un fatto nuovo nella storia europea. Lo era però la sua capacità di fare proseliti, di organizzarli e di dare vita a una costellazione di stati ispirati al modello originario. Il posto occupato dalla rivoluzione comunista come «culmine della società moderna» si rivelò centrale nella storia di buona parte del secolo.
In questo modo, il comunismo generò nuove aspettative messianiche e universali. Fornì la spinta e il materiale per modelli di vita, identità collettive, «comunità immaginate». Alimentò nuove forme di autoritarismo e di violenza di massa. Applicò un paradigma estremo della modernità, fondato su un’idea unilineare del progresso, sulla fede nei fini ultimi della storia, sul terrore, sulla pedagogia di massa, sull’ingegneria sociale, sul piano come nozione ordinativa dello sviluppo, su una visione delle società industriali tanto rivolta alle divisioni di classe quanto intesa a ricomporle in una nuova forma unitaria. Dopo la Seconda guerra mondiale, l’espansione dell’Urss e del comunismo fece compiere un salto di qualità al warfare internazionale. Nel contempo, in una certa misura, spinse i paesi capitalistici a dotarsi di adeguate politiche di welfare insieme a una solida coesione transnazionale. La combinazione tra la potenza dell’Urss, la nascita di nuovi stati comunisti e la crescita del movimento dette vita a un antagonismo globale contro gli Stati Uniti e l’Europa occidentale, influenzando i cambiamenti e le trasformazioni del mondo postcoloniale. Non soltanto l’ascesa dell’Urss nel potere mondiale e la percezione della minaccia comunista contribuirono indirettamente a suscitare i caratteri interdipendenti della comunità transatlantica, ma i modelli, gli interventi e i linguaggi comunisti si intrecciarono con la decolonizzazione portando la guerra fredda fuori dai confini europei e alimentando la sfida tra progetti contrapposti di sviluppo e di modernità.
Oggetto del presente lavoro è la vicenda e la dimensione internazionale del comunismo, incentrata sui rapporti politici, ideologici, organizzativi, simbolici tra lo Stato sovietico, da una parte, e il movimento costituito dai partiti comunisti al potere e non, dall’altra. Per la maggior parte del secolo, quella di «comunismo internazionale» fu una nozione basilare del mondo contemporaneo. Gli attori dell’epoca lo concepirono o lo percepirono anzi come un soggetto fondamentale della politica, prima sotto l’aspetto del «partito mondiale della rivoluzione», creato dalla Rivoluzione d’ottobre del 1917 e identificato con il Comintern, poi sotto l’aspetto del «campo socialista», degli stati comunisti e dei partiti comunisti di massa dopo la Seconda guerra mondiale. La nozione di comunismo internazionale rimandava a un movimento politico composto da partiti dispiegati quasi ovunque, dotati di un’organizzazione centralizzata che aveva la sua base in Unione Sovietica fino alla guerra, e legati a doppio filo con Mosca e con i suoi alleati anche nel dopoguerra. Ma tale nozione rimandava, nello stesso tempo, a uno Stato, l’Unione Sovietica, e in seguito a un sistema di stati nati dopo la guerra in Europa e in Asia, che replicavano il modello politico, economico, sociale generato dalla rivoluzione bolscevica e che si configuravano come un mondo a parte e una comunità internazionale. In questa duplice accezione, il comunismo internazionale fu una realtà e un mito sia per i suoi seguaci e protagonisti, sia per i suoi avversari e antagonisti.»