“La riflessione etica nel teatro italiano contemporaneo” a cura di Patrizia Piredda e Cristina Perissinotto

Dott.ssa Patrizia Piredda, Lei ha curato con Cristina Perissinotto l’edizione del libro La riflessione etica nel teatro italiano contemporaneo pubblicato da Guida: quale rilevanza assume, nel panorama teatrale contemporaneo, la riflessione etica?
La riflessione etica nel teatro italiano contemporaneo, Patrizia Piredda, Cristina PerissinottoCredo che oggi sia ‘eticamente’ importante rispondere a questa domanda, anzitutto partendo dall’osservazione delle condizioni attuali in cui si trova il mondo teatrale dal marzo del 2020 in poi. Per fronteggiare la crisi sanitaria, in molti paesi, tra cui l’Italia, i governi hanno assunto la decisione drastica di chiudere le sale e quindi di sospendere le stagioni teatrali. Dopo una breve riapertura dei teatri in estate, a ottobre si è sollevato un compatto coro di voci che hanno chiesto di non chiudere di nuovo le sale, come era accaduto durante la prima ondata del Covid, senza purtroppo ottenere nessuna attenzione dalla politica, come ormai tristemente accade spesso. Mentre è vero che la chiusura delle sale teatrali in un primo momento è stata necessaria, tornare a sospenderne l’attività dopo che questi spazi sono stati messi ‘in sicurezza’ è stata una scelta eticamente sbagliata. Il danno più visibile causato dalla sospensione degli spettacoli in tutto il mondo è sicuramente quello economico, con molte sale sull’orlo del collasso. C’è poi anche un’altra crisi di cui non si parla. Questa non concerne l’economia bensì l’etica. In Italia, i protagonisti del mondo dello spettacolo, dopo che le sale sono state messe in sicurezza per garantire il distanziamento sociale, hanno giustificato, nella lettera aperta intitolata Vissi d’arte, la richiesta di non sospendere le rappresentazioni affermando che il teatro, come il cinema, è una riserva ‘invisibile’ di senso sia per la vita pubblica che individuale. Il teatro può avere diverse funzioni: svago, coesione sociale, denuncia e può anche innescare una riflessione critica sia su noi stessi, sul nostro stile di vita e sulle nostre credenze, che sulle pratiche e abitudini su cui si fonda la nostra società. Quest’ultima funzione è molto importante perché ci offre, attraverso le rappresentazioni, delle possibilità di ampliare la nostra conoscenza e di vedere i fatti da nuove prospettive così che possiamo rimettere in gioco sia le nostre credenze (cosa pensiamo di fatti e persone ad esempio) che noi stessi.

Che rapporto esiste tra etica e teatro?
L’etica e il teatro hanno sempre avuto una relazione profonda. Le tragedie greche erano parte del sistema educativo, la paideia. Per Aristotele, e per tutta la cultura greca, il teatro era parte fondamentale dell’esperienza estetica e gnoseologica del cittadino della polis perché, come possiamo leggere nella Poetica, il teatro è imitazione di azioni, ossia è il racconto di una situazione pratica che induce gli esseri umani a prendere decisioni e ad agire. L’imitazione è connaturata all’essere umano in quanto noi impariamo anzitutto imitando. Secondo Aristotele, l’imitazione è uno degli elementi fondamentali che rendono il teatro essenziale allo sviluppo del sentimento etico, ossia alla maturazione delle virtù essenziali affinché l’azione sia etica, e del giudizio con il quale possiamo riconoscere se una azione è buona o cattiva. Perciò, quando assistiamo a una rappresentazione teatrale, proviamo, oltre al terrore e alla pietà, o in termini più generici empatia per i personaggi nel caso delle tragedie, anche piacere perché apprendiamo qualcosa in modo diretto e semplice, e al contempo sviluppiamo l’attività della riflessione critica.

In termini moderni possiamo quindi dire che ciò che lega la rappresentazione teatrale all’etica è la kantiana capacità di giudizio, nel senso che il teatro è essenziale per la vita dell’essere umano perché aiuta a maturare tale capacità e a comprendere cosa è bene e cosa è male senza determinare alcuna legge morale. Infine, bisogna sempre tener conto che il teatro, anche quando è espressione banalizzante di un volgare disimpegno, come ad esempio le commedie scritte a tavolino che tanto detestava Pirandello, influisce sempre sul reale, sulle opinioni e, conseguentemente, sui pensieri, sulle decisioni e sulle azioni. Quindi, anche in questo caso, la rappresentazione teatrale ha sempre un’implicazione pratica.

Come si sviluppa la riflessione di Luigi Pirandello sulla decadenza del teatro?
Al tempo di Pirandello, in Italia il teatro attraversa una crisi scaturita dallo sviluppo di quella che Adorno definirà successivamente industria culturale. Il desiderio di raggiungere il successo presso il grande pubblico mette gli scrittori di fronte a una serie di problemi e di pressioni che non riguardano l’arte in quanto tale, la quale obbedisce a regole di produzione specifiche, interne all’arte stessa, ma che concernono l’economia, la politica o il desiderio di prestigio. Pirandello denuncia chiaramente nei suoi scritti critici che per lo più si scrive per aver il successo garantito, ossia si scrive in base a ciò che si presuppone il pubblico voglia leggere o vedere rappresentato a teatro. Pirandello critica apertamente la mancanza di autonomia dell’arte e l’invasiva presenza dei mestieranti che, quando non traducono testi teatrali presi in prestito dall’estero, scrivono ‘a tavolino’, seguendo pedissequamente le regole di un canone che garantisce il successo. Questi fenomeni culturali, per Pirandello, impediscono all’autore che si sottomette alla ‘sciatteria dello scrivere’ di maturare uno stile personale, e di conseguenza nessun personaggio in quei drammi è vivo, come invece sono quelli che la servetta fantasia gli presenta di volta in volta. La decadenza del teatro riguarda, quindi, la mancanza di autonomia, la superficialità dello scrivere e l’anestetizzazione del pubblico nei confronti di forme di rappresentazione banali. Un altro problema trattato da Pirandello riguarda il fatto che il teatro attira sempre meno l’attenzione del grande pubblico a causa dello sviluppo della nuova arte, il cinema. Quando in pieno regime fascista, Pirandello è invitato a pronunciare il discorso di apertura dell’inaugurazione dei lavori del IV Convegno della Fondazione Alessandro Volta a Roma, dall’8 al 14 ottobre del 1934, afferma categoricamente che ‘il teatro non può morire’ perché è una ‘forma della vita stessa’ di cui siamo tutti attori.

Quale critica Eduardo De Filippo rivolge alla situazione del teatro del suo tempo?
Come Pirandello, anche Eduardo è contro la corruzione e il gioco di potere che manipolano la produzione artistica. In una lettera indirizzata all’allora Ministro del Turismo e Spettacolo Tupini, nel 1959, Eduardo denuncia il fatto che lo Stato agisca a favore di persone ‘incredibili’ che sfornano (bellissima metafora culinaria che ci dà l’idea della velocità della produzione di alcuni prodotti cinematografici) film ‘incredibili’, ossa quei film che ottengono sempre un gran successo di pubblico in quanto mirano a ‘concimare la stupidità e la volgarità, abbassare il livello intellettuale e spirituale della popolazione, deprimere i costumi’. In ambito teatrale, queste pratiche di banalizzazione della cultura hanno favorito la produzione di testi di evasione sempre più privi di senso, il che ha indotto il pubblico che ama veramente il teatro ad abbandonarlo. Riusciamo a capire la polemica di Eduardo se teniamo conto, oltre che dei programmi di banalizzazione della cultura, che purtroppo ai nostri giorni tocca un minimo storico, che tra gli anni Cinquanta e Sessanta il pubblico teatrale si dimezza: da 6.940.366 a 3.242.591 spettatori. Dal 1953 al 1963 diminuiscono le sale dedicate esclusivamente al teatro che da 1.629 passano a 374, mentre quelle cinematografiche da 10.318 aumentano a 11.518. Eduardo ha cercato per tutta la vita di combattere questa decadenza, proponendo programmi culturalmente interessanti e, negli anni Cinquanta, persino una scuola di teatro al comune di Napoli, tra una miriade di problemi e resistenze.

Eduardo sviluppa la sua riflessione etica sul rapporto tra politica, società e teatro anche nei suoi testi e in particolare nell’Arte della Commedia, forse una delle sue pieces meno studiate e forse tra le meno apprezzate dal pubblico, per le incursioni riflessive del commediante raisonneur di stile pirandelliano, Oreste Campese. Questo, mentre denuncia la corruzione e la decadenza del teatro, parla chiaramente della sua importanza etico-sociale, che consiste nella capacità di questa arte di mettere sotto gli occhi stralci di vita, vera vita, dando agli spettatori la speranza che, anche se per poco, possano trovarsi soluzioni ai problemi che nella quotidianità sembrano rimanere insolubili.

Come si esprime la riflessione etica nell’opera di Emma Dante?
L’eticità del teatro di Emma Dante ha degli aspetti che richiamano sia l’eticità di Pirandello che quella di Eduardo. Anche per Emma Dante il teatro è etico quando non si preoccupa del giudizio di valore del pubblico ma coraggiosamente rappresenta degli aspetti della realtà liberamente, usando anche elementi provocatori, ‘politicamente scorretti’ che possono inquietare lo spettatore. Come Pirandello, crede che i personaggi, per essere vivi, non debbano essere ricondotti al modello basilare con il quale schematizziamo la vita in un fenomeno organico racchiuso tra due punti, la nascita e la morte. Rappresentare un personaggio secondo questo schema significa ucciderlo perché non si lasciano aperte le infinite possibilità di svolgimento di nuove trame un personaggio. Per questo, possiamo dire che i suoi personaggi, come accade ai sei personaggi pirandelliani, non ‘concludono’ mai. Come Eduardo, Dante utilizza il dialetto, in questo caso siciliano, in modo a volte aspro e diretto, perché rispetto all’italiano standard, è il linguaggio che esprime l’intimità, i sentimenti più viscerali. E come per Eduardo, uno dei soggetti fondamentali della sua riflessione è la famiglia con le sue dinamiche spesso malate che portano soprattutto per i personaggi femminili a vivere situazioni fisiche e mentali repressive, di sopraffazione, di tragedia derivate dalle abitudini e dalle pratiche sociali, così come dai pregiudizi. Il teatro di Dante, quindi, è un mezzo vivo e provocatorio per affrontare la sfida etica della tematica di genere, la quale è una delle principali direttrici della riflessione etica in questi ultimi anni.

Quali temi etici compaiono nella produzione di Marco Paolini e Ascanio Celestini?
Mentre con Pirandello, Eduardo e Dante parliamo di teatro sociale, con Celestini e Paolini, abbiamo un tipo di teatro diverso, ossia un teatro-narrazione di denuncia che oscilla tra il politico e il sociale. Paolini, sulla scia dell’attore-narratore della tradizione del giullare affabulatore di Dario Fo, porta in scena il racconto di fatti reali e, un po’ come un moderno parrhēsiastēs che parla alla società civile, porta alla luce attraverso un’attenta ricerca la verità dei fatti. Ci troviamo, quindi, di fronte a una responsabilità molto grande che possiamo definire come l’etica del raccontare, la quale include la promessa implicita del narratore di ‘dire la verità’, il farsi carico delle testimonianze altrui, dei propri ricordi per integrarli al racconto ufficiale dei fatti, e di ricostruire, attraverso un percorso di chiarificazione, le responsabilità storiche, come nei casi di Vajont o Ausmerzen.

Di una generazione di narratori più giovani fa parte invece Celestini. L’eticità di Celestini sta nel racconto delle vite reali dal basso, delle periferie, dei luoghi emarginati e chiusi, come il carcere, o gli ex manicomi. Celestini usa le interviste per comprendere le esperienze di vita reale e poi attraverso il racconto teatrale interpreta e rappresenta tali esperienze. L’eticità del racconto sta quindi sia nella funzione conoscitiva, fare sapere che cosa significa vivere determinate esperienze al di là degli stereotipi e dei pregiudizi, e quindi nella sensibilizzazione. In Radio clandestina, ad esempio, sono particolarmente importanti il rapporto tra il linguaggio e la narrazione dei fatti, la memoria, la costruzione delle opinioni (o verità), le quali sono tematiche etiche attuali.

Patrizia Piredda (PhD; MLitt in Italianistica a Oxford; laurea in Lettere presso Sapienza – Università di Roma, laurea in Filosofia presso Sapienza – Università di Roma), si occupa di filosofia del linguaggio, estetica ed etica. Tra le sue pubblicazioni: George Bryan Brummell. Studio estetico della maschera del dandy (Aracne, 2017), “L’etico non si può insegnare”. Studio ermeneutico sull’etica e il linguaggio in Nietzsche e D’Annunzio attraverso la filosofia di Wittgenstein (Troubador, 2014)

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