
Che cos’è la retorica oggi?
In contrasto con la cultura imperante del “basta quello che so”, “dell’imparo facendo”, la retorica è un corpus complesso e articolato di competenze che si è strutturato e arricchito nel corso dei secoli. È uno straordinario dono dei “giganti” della storia che noi “nani” di oggi abbiamo tutto l’interesse a studiare e praticare per “vedere più lontano di loro“. La sua attualità deriva anche dal fatto che perfino l’imperante digitalizzazione e trasformazione della comunicazione non ha eliminato, ma ha richiesto forme e tecniche aggiornate della techné retorikè.
Quali strategie comunicative del passato sono efficaci ancora oggi?
La risposta è tutte. Pensiamo al mondo del rap, che sembrerebbe molto lontano dalla cultura classica. I rapper si nutrono di figure retoriche, oltre che di ritmo, quindi di metrica. “Giro con la gente che ha rispetto e rispetto, chi ha preso calci in bocca è ancora qui e non ha smesso” canta Amir Issaa in Questa è Roma (2007). La figura retorica che usa è il chiasmo, che mette in collegamento due membri paralleli, invertendone l’ordine in modo da creare la struttura ABBA. Lo abbiamo studiato a scuola nell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto: “Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto…”. Ma abbiamo incontrato la stessa figura nel discorso di insediamento di John Fitzgerald Kennedy del 1961 “Ask not what your country can do for you; ask what you can do for your country” (Non chiedere cosa il tuo Paese può fare per te; ma cosa tu puoi fare per il tuo Paese).
Quali tecniche offre la retorica per migliorare le proprie capacità di comunicazione?
La retorica ci insegna a rendere vivo il dire attraverso le figure, che devono avere l’effetto boom dei “tuoni nella notte”. La retorica ci permette di parlare agli occhi, di far vedere le cose con le parole. Chi non ricorda la famosa frase di Giovanni XXIII “Tornando a casa, troverete i bambini, date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa”? Quelle parole hanno avuto quell’effetto boom, si sono tatuate nella nostra memoria.
Ma il parlare per figure non è appannaggio dei papi e dei grandi leader. Tutti usiamo le figure retoriche e possiamo farlo sempre meglio. Per esempio, consigliamo di usare le enumerazioni. Le più comuni e facili sono quelle con tre punti. Steve Jobs era un vero e proprio appassionato di questa strategia. Nel suo famosissimo discorso a Stanford del 2005, incentra il suo discorso su tre storie: “Oggi voglio raccontarvi tre storie che mi appartengono. Tutto qui. Niente di particolare. Solo tre storie”.
Troviamo un’enumerazione anche nel discorso di coming out dello youtuber Willwoosh, che è una delle tante prove che la retorica appartiene anche al mondo del digitale. Gugliemo Scilla, questo il suo vero nome, enumera le dieci cose che gli piacciono e le dieci che non gli piacciono. Al punto cinque di entrambi gli elenchi troviamo il riferimento all’organo sessuale maschile e femminile. Il primo gli piace, il secondo no.
Che rapporto esiste tra retorica e web?
Un rapporto saldo e auto-rafforzante, a partire dal fatto che lo stesso digitale è un atto retorico, nel senso che tutto ciò che è digitale è scritto con un linguaggio di programmazione e segue regole grammaticali, stilistiche e anche retoriche. Basti pensare che i guru della programmazione riescono a scrivere con pochi statement ciò che ai neofiti richiede pagine e pagine di comandi. Ma non solo; pensiamo al tema delle fake news. Cicerone ci direbbe che vi cade chi non è abile nell’arte dell’inventio, arte che ci guida nella ricerca e verifica delle informazioni più idonee per un certo tipo di argomentazione.
Come può la retorica aiutarci a difenderci dal populismo digitale e dalle fake news?
Il rischio di un approccio superficiale al digitale è il fondamentalismo tecnologico, il credere cioè che la tecnologia sia la fonte di tutto – delle opportunità e delle minacce – e che le stesse minacce, a loro volta, possano essere neutralizzate con altra tecnologia, più moderna e potente. Per contrastare questa deriva – e più in generale – la creduloneria nel sentirsi capace di capire ciò che è vero e ciò che è falso (le fake news) o di sentirsi giudice di ciò che è giusto o sbagliato semplicemente ascoltando le proprie emozioni e desideri (il populismo) vi è il pensiero critico. L’abilità, cioè, di cogliere i ragionamenti fallaci, le ipotesi non supportate e trasformate in principi, le tecniche persuasive che attivano automatismi del nostro cervello. La retorica, dunque, non insegna solo a parlare ma anche ad ascoltare.
Come può esserci d’aiuto la retorica nella negoziazione e nella didattica?
Il bravo retore è prima di tutto un bravo ascoltatore. Sa che, per comunicare e negoziare, deve mettersi nei panni dell’altro e capirne le ragioni profonde, senza rifiutarle a priori. Per questo motivo organizziamo la #GuerradiParole, un dibattito di retorica nel quale le squadre devono sostenere prima una posizione e poi il suo contrario. Si tratta di un esercizio di civiltà e di ascolto, che aiuta i partecipanti a comprendere le ragioni dell’altro.
Per quanto riguarda la didattica, dobbiamo accettare l’idea (non scontata per tutti) che gli insegnanti sono retori. Citando Cicerone, il loro compito è “docere, movere, delectare”. All’insegnamento devono affiancare capacità di coinvolgimento e di intrattenimento dell’aula. Non c’è bisogno che siano Fiorello, ovviamente, ma qualche strategia della retorica può essere messa in atto per rendere la lezione più vivace, favorendo l’apprendimento.