
Il fatto che, appunto, ci si possa approcciare con questo stesso strumento a realtà molto diverse rende la teoria delle reti utile per ricercatori delle discipline più disparate, dall’economia all’epidemiologia, dalla sociologia all’informatica: tutti si ritrovano a utilizzare strumenti di analisi comuni perché molto versatili. Ad esempio, il libro presenta il concetto di centralità in un network, che è alla base del funzionamento di un motore di ricerca come Google, ma anche di studi sulla diffusione di informazione nei social network e sulla diffusione di malattie infettive.
Che relazione esiste tra network ed epidemie?
Ogni epidemia ha una strettissima relazione con un network specifico, e cioè la rete sociale su cui si propaga. I network di propagazione di epidemie diverse sono simili ma non identici: ad esempio sappiamo che il virus SARS-CoV-2 del COVID-19 si diffonde per via aerea, quindi considereremo due persone “connesse” se sono state in prossimità per un certo periodo di tempo in un ambiente chiuso; per altri tipi di agenti patogeni, il network di interesse sarà quello in cui due persone stabiliscono una connessione quando – poniamo – si stringono la mano, o hanno un rapporto sessuale non protetto. Per ogni tipo di malattia infettiva, però, una volta stabilito il network di riferimento, questo diventa uno strumento fondamentale per gli esperti che ne studiano la diffusione. Va da sé che i ricercatori non conoscono esattamente la struttura del network: non hanno, cioè, una lista di chi ha comunicato, stretto la mano o avuto un rapporto sessuale con ogni individuo. Ma ricostruendo alcune caratteristiche della rete – ad esempio quante persone incontriamo in media, e in quali contesti – gli esperti riescono a fornire alcune indicazioni fondamentali per limitare la diffusione: ad esempio l’individuazione di fasce di popolazione più a rischio di contrarre il contagio, e di contagiare a loro volta.
Come si propaga il contagio?
Ogni volta che due persone entrano in contatto (e come già detto, quale sia il “contatto” che interessa dipende da malattia a malattia), le due formano un nuovo arco (una connessione) nella rete attraverso cui si diffonde l’epidemia. A quel punto, se una è infetta e l’altra è suscettibile (ad esempio la prima è malata di COVID-19 e la seconda non possiede gli anticorpi), è come se tirassimo un dado: con una certa probabilità, la prima infetterà la seconda, che a sua volta potrà infettarne altre. Ci sono una serie di parametri specifici che caratterizzano ogni malattia infettiva: ad esempio quanto è probabile la trasmissione, quanto tempo ci mette una persona infetta a manifestare dei sintomi e quanto ci mette a diventare contagiosa… tutti questi elementi insieme contribuiscono insieme a determinare la capacità di una malattia infettiva di diffondersi, e quindi la sua pericolosità. Pericolosità che però ovviamente dipende prima di tutto dalla struttura della rete sottostante. Le misure di distanziamento sociale messe in gioco per contrastare il COVID-19 non fanno altro che togliere archi alla rete, rendendo quindi più difficile per la malattia diffondersi.
In che modo l’informazione può venire distorta dalla presenza delle reti?
Dobbiamo osservare innanzitutto che il modo in cui si diffonde l’informazione è cambiato moltissimo. Fino a neanche vent’anni fa, le fonti di informazione di massa erano fondamentalmente giornali e televisioni: fonti in cui era netta la distinzione tra chi forniva l’informazione – il giornalista – e chi la riceveva – lettore o spettatore. Oggi sono molti coloro che si informano principalmente tramite i social network – e questi sono reti, appunto, in cui ogni utente è potenzialmente una fonte di informazione, ad esempio quando condivide un contenuto nelle sue cerchie. Ovviamente alcuni utenti sono molto più “ascoltati” di altri (ad esempio se hanno molti follower) e quindi in grado di influenzare di più l’opinione pubblica (non a caso è nata la figura anche professionale dell’influencer), ma ogni utente può conquistarsi una maggiore o minore visibilità.
Questa trasformazione complessiva del modo in cui le notizie si diffondono ha aspetti ovviamente positivi, nel senso che permette un dibattito più ricco, ma il problema è che in quanto esseri umani siamo più abituati a formarci un’opinione in modo diverso: ad esempio con una chiacchierata tra amici, o leggendo un articolo di un giornalista con una certa reputazione. Nel momento in cui le nostre fonti di informazioni sono utenti magari anonimi, o che ci illudiamo di conoscere, e di cui comunque non conosciamo le fonti di informazioni (che provengono, a loro volta, da altre parti della rete stessa), facciamo molta più fatica a distinguere l’informazione attendibile dalle fake news. A complicare il quadro c’è il fatto che invece chi ha interesse a diffondere fake news ha strumenti enormemente più potenti di prima per studiare la loro efficacia – quanto si diffondono – e per individuare le comunità di utenti più suscettibili. Riprendo questo termine che avevo utilizzato prima parlando di epidemie non a caso, perché infatti la diffusione di fake news assomiglia moltissimo alla diffusione di una malattia infettiva. Potremmo quasi dire che i no-vax, prima ancora di essere non vaccinati contro il COVID-19, sono non vaccinati contro la disinformazione.
In che modo la teoria delle reti consente di interpretare fenomeni economici come le “epidemie finanziarie”?
Anche i mercati finanziari sono reti, i cui nodi sono risparmiatori, banche, fondi di investimento e una miriade di altri tipi di fornitori, consumatori e intermediari di credito. Tra due nodi si crea un arco ogni volta che viene stabilita una relazione finanziaria – ad esempio se versiamo del denaro nel nostro conto corrente, prestandolo quindi alla nostra banca. Ed è così da quando esiste il credito, ovvero da almeno quattro millenni: e da altrettanto tempo è ovvio che chi fa credito corre sempre il rischio, maggiore o minore a seconda dei casi, che il debitore non sia poi in grado di restituire il dovuto. Ma solo in tempi molto più recenti, cioè con la crisi finanziaria scaturita tra il 2007 e il 2008, ci si è veramente resi conto che queste perdite (e la paura di tali perdite) si possono propagare da un’istituzione finanziaria a un’altra proprio come una forma di contagio, che mette a rischio tutto il sistema finanziario mondiale. Si è diffusa quindi, tra i ricercatori ma anche nelle autorità, un’attenzione veramente nuova al cosiddetto rischio sistemico, che altro non è che il pericolo che il malessere finanziario di una banca diventi un’epidemia dell’intero sistema. E con questa attenzione sono state stabilite nuove direzioni di ricerca, nuove regole finanziarie e nuove autorità di controllo. Un po’ come se si fosse capito che di fronte a una malattia infettiva non basta curare i sintomi, ma bisogna imparare a tracciare e tenere sotto controllo il contagio. Peraltro è ormai evidente che in un sistema finanziario sempre più interconnesso e globalizzato, anche i ricercatori e le autorità devono guardare il più possibile oltre ai propri confini nazionali, collaborando e armonizzando le proprie regole.
Quali nuovi profili di responsabilità inaugura la presenza delle reti nella nostra quotidianità?
È una responsabilità a più livelli: c’è un livello individuale e uno di sistema. A livello individuale, rendersi conto di essere parte di una rete – anzi, di svariate reti che danno forma alla nostra quotidianità di “animali sociali” – significa che ognuno è in una certa misura responsabile anche per gli altri. Ovviamente alcune persone hanno poi responsabilità più grandi di altri, e non necessariamente perché abbiano una specifica posizione lavorativa o un titolo, ma semplicemente perché risultano avere più influenza all’interno delle loro reti. Quindi ad esempio se riceviamo una notizia tramite i social, è nostro compito verificare se sia attendibile prima di condividerla, ed è tanto più importante quanti più follower o amici abbiamo. Similmente, la maggior parte dei vaccini servono non solo a proteggere il vaccinato dalle conseguenze della malattia, ma anche a impedire che funga da vettore contagiando i suoi contatti. Siccome quei contatti possono contagiare a loro volta, una singola vaccinazione può salvare ben più di una vita.
A livello di sistema, invece, le autorità hanno la responsabilità innanzitutto di capire per tempo come sono strutturate le reti e che conseguenze questo ha per il loro funzionamento – allo stesso modo in cui per organizzare la viabilità di una città si deve comincia dal disegnarne una mappa. Ad esempio, è necessario identificare quelle banche che rischiano di causare delle crisi di sistema prima che queste crisi si scatenino, e saper riconoscere per tempo se la diffusione di determinate fake news in determinate comunità rischia di compromettere seriamente l’esito di una votazione. O per fare un esempio di estrema attualità, bisogna capire in anticipo le caratteristiche di un’epidemia così da mettere in campo per tempo le misure più opportune, non aspettando che l’epidemia raggiunga milioni di persone e causi enormi perdite umane.
Sono problemi su cui si sono fatti grandi passi avanti negli ultimi anni ma molti altri se ne devono ancora fare. La buona notizia è che riconoscere le caratteristiche delle reti sociali ed economiche rende molto più facile agire in anticipo, e che agire in anticipo permette non solo di risolvere i problemi sul nascere, ma consente anche agli attori dei vari network – che siano risparmiatori, utenti dei social, cittadini più in generale – di vivere e operare con maggiore serenità nei rispettivi ambiti.
Pietro Battiston dopo una laurea in matematica ha conseguito un dottorato di ricerca in Economia politica presso l’Università di Milano-Bicocca ed è oggi ricercatore presso l’Università di Parma. La sua ricerca verte sulla teoria delle reti, l’economia sperimentale e l’evasione fiscale, temi su cui ha pubblicato articoli in importanti riviste internazionali. È appassionato di divulgazione, software libero e musica.