“La responsabilità civile in diritto privato comparato” di Virgilio D’Antonio e Angelo Maietta

Prof. Virgilio D’Antonio, Lei è autore con Angelo Maietta del libro La responsabilità civile in diritto privato comparato, edito da Carocci: quale sfida rappresenta, per il comparatista, il tema della responsabilità civile?
La responsabilità civile in diritto privato comparato, Virgilio D'Antonio, Angelo MaiettaLa responsabilità civile, nelle declinazioni dell’illecito aquiliano e di quello contrattuale, è lo strumento primo chiamato ad offrire risposta concreta, con le diverse formule risarcitorie, alla richiesta di tutela degli interessi dell’individuo nelle sue dinamiche relazionali. In questa prospettiva, costituisce indubbiamente uno degli ambiti privilegiati dell’ordinamento giuridico ove è più marcato il dialogo tra teoria e prassi, tra analisi dottrinale e ricostruzione giurisprudenziale. Nel volume, tramite il ricorso all’analisi comparatistica, si evidenzia come la ricerca di una sintesi tra le due dimensioni, teorica e applicativa, spesso, nelle regole operazionali, imponga agli interpreti il superamento, più o meno consapevole, delle formule normative declamate. È questo uno dei tratti di maggiore fascino di un istituto chiamato ad essere, in molteplici occasioni, il primo momento attraverso cui le istanze del sociale si traducono in rappresentazione giuridica, secondo un moto di sussunzione che è perenne e quotidiano, realizzato ora nel dialogo tra formanti interni al medesimo ordinamento, ora tra formanti appartenenti a dimensioni giuridiche differenti.

Quali divergenze esistono, nei vari ordinamenti nazionali, in materia di illecito civile?
Occorre dire che, se la maggior parte dei sistemi giuridici moderni conosce “meccanismi” volti a originare, dinanzi a determinate interferenze nella sfera personale altrui, strumenti rimediali (spesso a carattere risarcitorio), tuttavia le formulazioni che tale regola di carattere generale ha incontrato nei vari ordinamenti nazionali differiscono anche notevolmente. Ad esempio, pur nella comune matrice di ispirazione romanistica identificabile nella Lex Aquilia de damno, possiamo registrare marcate differenze legate non soltanto alla più generale area giuridica di appartenenza, secondo la nota distinzione tra Civil Law e Common Law, ma, all’interno di entrambe le aree, è possibile identificare profonde dissimilitudini tra le impostazioni dei principali modelli nazionali. Si pensi, in tal senso, alle divergenze di formulazione tra il modello tedesco e quello francese nell’ambito dei sistemi continentali e a quelle, meno marcate ma neppure marginali tipiche dello spazio giuridico anglosassone, nell’applicazione del meccanismo giuridico dei torts in Inghilterra e negli Stati Uniti.

Eppure, la materia dell’illecito civile, probabilmente più di ogni altra all’interno di ciascun ordinamento, vive molto più di prassi applicative, di regole operazionali concrete che di formulazioni normative astratte e di principi declamati.

Quali funzioni ha svolto in passato ed è ancora oggi chiamato a svolgere l’istituto dell’illecito civile?
Nel passato più remoto della responsabilità civile si colloca indubbiamente il concetto arcaico di vendetta e, in particolare, l’idea antichissima secondo cui ogni invasione della propria sfera personale autorizzasse (originariamente in autotutela) una reazione nella dimensione altrui. Col tempo, volendo provare a tracciare in poche battute un percorso di maturazione di lunghissima gestazione, insieme al maturare del principio, assolutamente non scontato, della corrispondenza tra azione e reazione, cominciò ad accompagnarsi alla automaticità della risposta violenta, tipica della vendetta, la possibilità di trovare un accordo economico tra la vittima e il danneggiante. La composizione pecuniaria degli interessi lesi, successivamente, non venne più lasciata alla iniziativa delle parti, ma venne regolata tramite previsioni generali, la cui realizzazione concreta fu uno dei compiti che si assunse lo Stato. È soltanto a questo punto del processo storico che nasce la responsabilità civile, almeno come idea, visto che per aversi un istituto giuridico vero e proprio, dotato di coerenza e razionalità, dovrà attendersi il lungo processo di affrancazione dal diritto penale e, almeno per l’area di Civil Law, dal contratto. All’esito di questo percorso, il meccanismo giuridico della responsabilità civile, dunque, rappresenta oggi lo strumento tramite cui i moderni ordinamenti selezionano quei particolari interessi della vita di relazione che, se violati, meritano tutela riparatoria.

Quali formule e regole operazionali dedicano, all’istituto, i principali ordinamenti occidentali?
Da un punto di vista delle formule declamatorie e provando a sintetizzare in maniera estrema, i principali ordinamenti appartenenti alla Western Legal Tradition si atteggiano secondo due modelli fondamentali in materia di responsabilità civile: da un lato, vi sono i sistemi di Common Law fondati su una serie di illeciti tipici, i torts, dall’altro, v’è la tradizione delle codificazioni di Civil Law, impostate secondo formule generali. Ancora, all’interno di quest’ultima area, occorre poi distinguere tra formulazione del modello francese, caratterizzata da atipicità, e quella del modello tedesco, tendente alla tipizzazione. Eppure, come già detto, l’annotazione di queste differenze nei formanti declamatori non deve indurre a facili conclusioni circa nette divergenze nei sistemi giuridici esaminati: proprio l’indagine comparatistica, infatti, mostra chiaramente come il diritto operazionale della responsabilità civile tenda a identificare soluzioni uniformi nelle diverse realtà giuridiche, anche a dispetto di formule declamatorie molto distanti le une dalle altre. In particolare, è possibile registrare come i diversi ordinamenti, pur esprimendosi ciascuno tramite le proprie specifiche formule e le proprie particolari categorie formali, tendano a uniformarsi nelle soluzioni operative. È innegabile, ad esempio, come l’affermazione, pure corretta, dell’inesistenza in Common Law di una regola generale di neminem laedere in favore di figure tipiche e indipendenti fatichi a confrontarsi con la dimensione applicativa attuale del tort of negligence e alla tendenza generalizzante di questa figura; analogamente, negli ordinamenti continentali, l’ossequio formale alle clausole generali costringe sempre più spesso i giudici a costruzioni giurisprudenziali assai articolate al fine di ricondurre al paradigma comune dell’art. 1240 Code civil – che ripropone oggi il testo di quello che era l’art. 1382 nella numerazione originaria – o del § 823 BGB o, ancora, dell’art. 2043 c.c. gruppi di casi sintomatici che sfidano il dato testuale: si pensi al dibattito francese sui troubles de voisinage o al Recht am eingerichteten und ausgeübten Gewerbebetrieb tedesco.

Quale attenzione merita, soprattutto nella declinazione moderna dell’istituto, il tema dell’emergere delle responsabilità speciali?
Le responsabilità speciali sono ipotesi in cui, in genere, il profilo della colpevolezza del danneggiante è posto in secondo piano, con l’intento di favorire la possibilità per il danneggiato di ottenere il risarcimento dei danni riconducibili a determinate specifiche attività. In effetti, il modello puramente colpevolistico dell’illecito civile rappresenta quello storicamente più risalente, di diretta derivazione romana e connesso all’originaria consonanza tra responsabilità civile e penale: eppure, oggi il dogma jheringhiano «nessuna responsabilità senza colpa» è profondamente in crisi. In prospettiva storica, questo modello “etico” della responsabilità civile cominciò a entrare in crisi parallelamente all’evoluzione economica e sociale che, sul finire del XIX secolo, attraversò il mondo occidentale, con la conseguente massificazione dei danni che accompagnava l’affermarsi del sistema industriale e, più di recente, delle tecnologie informatiche. Il modello puro della responsabilità per colpa, allora, sebbene non abbandonato, fu posto in discussione, dal momento che, dinanzi al proliferare delle occasioni di danno, la regola della necessaria dimostrazione della colpevolezza del danneggiante ai fini del risarcimento si rivelò inadeguata a garantire le pur legittime pretese delle vittime. Lungo questa prospettiva, due furono i fenomeni che, dal punto di vista giuridico, segnarono il progressivo declino dell’idea di una responsabilità civile fondata essenzialmente sul principio della colpa soggettiva: innanzitutto, il proliferare, in tutta l’area della Western Legal Tradition, di fattispecie di responsabilità speciali (ora oggettiva ora semplicemente aggravata), in connessione con l’esercizio di attività ritenute pericolose. Tali previsioni testimoniavano lampante la necessità non tanto di sanzionare il colpevole di una condotta riprovevole, quanto di garantire le ragioni della vittima in occasione di lesioni di beni particolarmente rilevanti (come la vita o la salute). D’altro canto, la massificazione dei danni conseguente alla rivoluzione industriale segnò l’istituto della responsabilità civile anche con il diffondersi delle prime forme di assicurazione obbligatoria (come, ad esempio, nel campo degli infortuni sul lavoro), anch’esse caratterizzate dalla spiccata finalità riparatoria più che sanzionatoria.

Come avviene, da parte di ciascun ordinamento, la selezione degli interessi ritenuti meritevoli di tutela risarcitoria?
Il tema è quello del danno. Quando si discorre di danno e di situazioni giuridiche risarcibili, si tocca uno dei passaggi più delicati del sistema dell’illecito civile, cioè quello dell’identificazione, da parte di ciascun ordinamento, di quegli interessi ritenuti meritevoli di tutela risarcitoria, spesso tramite un’operazione di selezione affidata direttamente alla giurisprudenza. Quando si analizzano i tratti salienti dei principali modelli di illecito della Western Legal Tradition, si può registrare come, indipendentemente dalle formulazioni teoriche delle regole di responsabilità, tutti gli ordinamenti occidentali, sebbene con sfumature e relative aperture differenti, durante il XVIII secolo e per buona parte di quello successivo, hanno inteso limitare l’area delle situazioni giuridiche degne di copertura riparatoria a quella dei diritti assoluti (secondo una elenco pressoché coincidente con quello del § 823, co. 1, BGB). Accanto a queste figure di danno alla persona generalmente riconosciute dgli ordinamenti sia di Civil Law che di Common Law, nel corso del tempo, hanno trovato sempre maggiore spazio altre fattispecie di danno oggetto di tutela da parte della disciplina sulla responsabilità aquiliana. Così, ad esempio, negli ordinamenti anglosassoni si è assistito al progressivo riconoscimento dei pure economic losses, ossia dei danni puramente patrimoniali che siano conseguenza di un atto lesivo di uno dei beni fondamentali della persona come la vita, la salute, la libertà e la proprietà. Discorso analogo vale per i diritti relativi come quelli di credito, che, nonostante le iniziali resistenze da parte degli ordinamenti occidentali, sono oggi nella maggior parte dei sistemi riconosciute come situazioni giuridiche la cui lesione è suscettibile di essere tutelata ai sensi della disciplina sulla responsabilità da atto illecito. Analogamente, emblematico è il percorso di emersione della figura del danno da perdita di chance, introdotta inizialmente dalla giurisprudenza francese. Accanto ai danni di matrice patrimoniale, poi, ormai quasi tutti gli ordinamenti della tradizione occidentale riconoscono il diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali, che costituiscono una categoria all’interno della quale confluiscono tutta una serie di pregiudizi attinenti alla sfera psichica e morale del soggetto leso. In definitiva, può dirsi che quella dei danni risarcibili è categoria che ha visto, negli anni, una progressiva e inesorabile dilatazione per l’opera costante, soprattutto da parte delle corti, di selezione di interessi sempre nuovi cui garantire tutela risarcitoria.

Virgilio D’Antonio è Professore ordinario di Diritto privato comparato presso l’Università degli Studi di Salerno, ove insegna Diritto comparato dell’informazione e della comunicazione, di Istituzioni di diritto privato, nonché di Ordinamento Sportivo e Diritto Comparato dello Sport. È, inoltre, docente di Diritto commerciale (Link Campus University – Roma), di Diritto della comunicazione digitale (Accademia della Moda – Napoli / Milano) e di Derecho Comparado (Universidad Católica de Colombia – Bogotà). È autore di saggi e monografie in materia di diritto privato, diritto comparato, diritto comunitario, diritto antitrust e diritto dell’informazione e delle nuove tecnologie.

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