
Cosa si intende per resilienza di un sistema territoriale?
La letteratura sul tema della resilienza, in particolare il lavoro di Ron Martin del 2012, evidenzia tre approcci che possono essere utilizzati per interpretare le dinamiche regionali e locali: l’approccio ingegneristico, l’approccio ecologico, l’approccio evolutivo.
La prospettiva ingegneristica definisce la resilienza come la capacità di un sistema di ritornare, dopo uno shock o evento negativo, allo stadio di equilibrio precedente; di conseguenza la misura è data dal grado di resistenza ai cambiamenti o dalla velocità del sistema nel ripristinare la situazione di equilibrio di partenza. Secondo l’approccio ecologico, la resilienza viene intesa come il livello di cambiamento che un sistema può assorbire prima di trasformarsi e di muoversi verso altri stati di equilibrio e di configurazione. Infine il terzo punto di vista considera la resilienza come processo, cioè come la capacità dinamica di cambiare e di adattarsi continuamente agli stress e/o stimoli esterni. È quest’ultimo approccio quello che è stato utilizzato nel volume per interpretare la capacità dinamica delle piccole città di reagire agli eventi e ai cambiamenti, di enfatizzare le proprie caratteristiche distintive e di promuovere nuove traiettorie di sviluppo.
A quali opportunità di sviluppo possono fare ricorso i centri minori?
Nel volume si è cercato di dimostrare che, malgrado la nuova economia sembri “premiare” le grandi città, ci possono essere alcune possibilità di sviluppo per le piccole città e i centri minori, a patto che queste siano capaci di identificare e di valorizzare le proprie risorse materiali e immateriali e di adottare comportamenti dinamici in grado di stare al passo con i tempi e con il cambiamento. In particolare, due possono essere gli assi su cui le piccole città possono agire nella competizione con le grandi. In primo luogo, a fronte della crescita smisurata delle grandi città e dell’aumento del traffico e dei conflitti nell’uso del suolo, le piccole città possono giocare una “grande partita”, sfruttando gli spazi verdi, le risorse culturali specifiche, la maggiore partecipazione della comunità locale alla vita sociale e alle pratiche di gestione della città e inserendo nuove componenti come l’innovazione tecnologica sia per favorire il collegamento con l’esterno che per stimolare la crescita di attività tecnologicamente avanzate anche in aree periferiche. La seconda via per le piccole città è poi quella di ripensare a sé stesse in un modo nuovo, abbandonando una logica di autocentrismo e di contrapposizione o dipendenza con la grande città e sposando invece una logica relazionale, cioè di potenziamento delle relazioni con l’esterno e allo stesso tempo reticolare, cioè di rafforzamento delle connessioni con le grandi città e altri centri più importanti situati nelle vicinanze. La tendenza alla costituzione di regioni vaste e di aree metropolitane può costituire anche un’opportunità per i centri minori per sganciarsi da situazioni di dipendenza e ritagliarsi un ruolo specifico, proponendo modelli di sviluppo multipolari, sia sul piano economico che su quello dei servizi, dell’offerta delle residenze, dei beni naturali e culturali.
A quale futuro possono aspirare le piccole città che sono state investite da processi di declino economico o di contrazione demografica?
Oltre alle piccole città situate in aree marginali e lontane dagli assi dello sviluppo, a rischio di declino economico e di contrazione demografica, come è stato analizzato nel libro, sono le piccole città a vocazione industriale quelle che hanno visto nel corso del tempo perdere la propria capacità competitiva legata alla concorrenza con i Paesi emergenti o che hanno assistito alla riduzione dell’occupazione derivante dai processi di modernizzazione tecnologica e dalla diminuzione dell’attività di produzione. Ciò non significa che le città industriali di grandi dimensioni siano state esenti da questa dinamica: si pensi ad esempio al caso di Detroit che, dopo la crisi dell’industria automobilistica, ha vissuto e sta tuttora vivendo un periodo di decadenza economica, a cui si accompagnano elevati tassi di disoccupazione, declino demografico, crescita della criminalità e degrado urbano. Per le piccole città reinventarsi e costruire nuovi scenari di sviluppo potrebbe risultare difficile proprio per la loro forte specializzazione; tuttavia, proprio per la piccola dimensione, è stato possibile in alcuni casi valorizzare la tradizione industriale, puntando su una maggiore qualità dei prodotti, come è avvenuto in Italia in alcuni centri urbani distrettuali, mentre in altri si è assistito a dinamiche di rigenerazione economica e urbana, attraverso investimenti sul piano delle attività culturali e creative o sull’attivazione di nuove traiettorie di sviluppo in campo turistico e/o gastronomico.
Il Suo testo prende in esame tre casi di studio di piccole città a vocazione industriale, Sochaux-Montbéliard, sede storica della Peugeot; Ivrea, cresciuta intorno alla Olivetti e Pontedera, la città della Piaggio: quali le diversità e quali i percorsi e le soluzioni comuni?
La focalizzazione sulle piccole città a vocazione industriale, fortemente condizionate nella loro territorialità dalla presenza della grande industria, è dettata dal fatto che per loro la sfida nella capacità di adattarsi e di reinventarsi nuovi percorsi di sviluppo è ancora più intensa. I tre casi di studio presentano una storia simile, con alcuni eventi ed elementi comuni, come la presenza di una grande azienda che, a partire dagli inizi del ‘900, ha contribuito allo sviluppo economico, sociale e culturale della città e il ruolo svolto da un certo paternalismo sociale tipico degli imprenditori di quell’epoca. Tuttavia, esse sono contraddistinte da tratti e risposte differenziate ai cambiamenti. Sochaux, situata nella Francia sud-orientale e cresciuta intorno alla Peugeot, insediata nell’area nel 1912, segue un percorso di sviluppo molto legato alla grande azienda anche dal punto di vista del paesaggio urbano, anche per l’estensione poco elevata del comune e per l’ampiezza dell’impianto produttivo. In questa città, si assiste ad un declino occupazionale, ma quello di Sochaux-Montbéliard rimane comunque uno degli impianti europei più grandi ancora in attività; tuttavia si assiste ad una crisi di identità in senso urbano da cui è scaturito il tentativo di creare un nuovo rapporto tra città e fabbrica e di migliorare la vivibilità che in passato aveva determinato la fuga della popolazione: investimenti nei servizi culturali (es. il Museo) e sportivi, aree verdi, nonché l’allargamento della scala territoriale nella programmazione delle future dinamiche di sviluppo in connessione con gli altri centri urbani limitrofi.
Ivrea si presenta come una piccola città situata in un’area periferica, ma che per diversi anni è stata al centro dell’economia italiana, della creatività e dell’innovazione anche in campo sociale e culturale. Ivrea è ancora visibilmente segnata, nella sua dimensione urbana, nelle sue strategie di sviluppo, nel “sentire” dei suoi cittadini da ciò che l’Olivetti è stata (dal 1908) e anche da ciò che l’Olivetti non è più. Infatti, la comunità locale sembra mostrare una certa difficoltà a metabolizzare il fallimento del progetto olivettiano, sia aziendale che nel rapporto con il territorio, e a intraprendere nuove traiettorie di sviluppo, che passano anche da un ripensamento degli spazi lasciati vuoti dalla grande azienda, che rimangono tuttavia di proprietà privata. Vanno nella direzione di una ripartenza verso nuove forme di sviluppo la candidatura di riconoscimento di patrimonio UNESCO, l’apertura ad altri settori, come il turismo e il comparto enogastronomico, il rafforzamento delle relazioni con gli altri territori e con la città di Torino.
Infine, Pontedera, città già con una vocazione industriale quando nel 1924 vi si localizza la Piaggio, che ne influenza poi la fisionomia urbana con la sua espansione. Negli anni più recenti, a fronte della ristrutturazione dell’azienda e delle conseguenti crisi occupazionali, è emersa una certa capacità del sistema urbano di rispondere al cambiamento e di mostrare resilienza, valorizzando il passato (es. il Museo Piaggio), ma anche inserendo nei vecchi contenitori lasciati dalla Piaggio nuovi progetti e contenuti (il Polo Sant’Anna Valdera, Pont-Tech, Pont-Lab, la Biblioteca, ecc.). I percorsi di sviluppo intrapresi, pur rimanendo il linea rispetto alla vocazione industriale, cercano di iniettare nel territorio nuove attività post-industriali ad alto contenuto scientifico-tecnologico, che nel tempo hanno inciso sulla resilienza della città.