
Che rapporto esisteva tra informazione politica e l’esercizio del potere all’apice della Repubblica?
Per rispondere a questa domanda, conviene partire da un altro quesito: come ci si informa in un mondo in cui non esistono organi di stampa o canali di diffusione di massa delle notizie? A Roma l’informazione politica era veicolata in due modi, paralleli e potenzialmente rivali: tramite le comunicazioni ufficiali, oppure attraverso il passaparola, che si originava dall’osservazione autoptica di chi assisteva direttamente agli eventi. Le fonti registrano, da una parte, la propensione dei cittadini a prestare fede alle notizie non autorizzate; dall’altra, l’insofferenza con cui il ceto politico reagiva a tale tendenza. La reazione dell’élite si lega alla incontrollabilità dei flussi del passaparola, che di fatto limitava la loro capacità di addomesticare l’informazione politica e condizionare così le opinioni. L’incontrollabilità del passaparola è determinata dal fatto che i suoi meccanismi di funzionamento non sono addomesticabili: essi infatti si caratterizzano per spontaneità e vivacità spiccatissime, proprietà che determinano peraltro una propagazione fulminea delle informazioni.
Quale importanza rivestiva l’orientamento dell’opinione popolare nella vita politica repubblicana?
Il buon esito delle iniziative con cui si perseguivano politiche filo-plebee senza l’approvazione del senato (specialmente a partire dalla seconda metà del II secolo a.C.) evidenzia un arcanum imperii, cioè un meccanismo segreto del potere: l’assoluta importanza del consenso popolare per conseguire il successo politico. L’ordinamento repubblicano attribuiva infatti ai comizi popolari sia l’approvazione delle leggi sia l’elezione dei magistrati. Ciò significava che la competizione per il potere degli esponenti del ceto politico passava per l’ottenimento del consenso popolare; se lo si conquistava, non esisteva coalizione aristocratica in grado di opporsi all’iniziativa di un magistrato. Così, la capacità di orientare “il vento” dell’opinione pubblica, per parafrasare Cicerone, era l’arma più micidiale nelle mani di chi ambiva a scalare le cariche pubbliche.
Quali fattori contribuivano a determinare l’orientamento dell’opinione popolare?
Rispondendo alla seconda domanda, ho insistito sul carattere di incoercibilità della circolazione delle notizie attraverso canali non ufficiali. Che la diffusione delle informazioni segua rotte imprevedibili è intuitivo. Non si può tuttavia negare che nel processo di diffusione esistessero itinerari privilegiati. A Roma, in virtù della strutturazione della vita sociale dei singoli entro gruppi di appartenenza (determinati ad esempio dal quartiere in cui si viveva o dalla professione che si svolgeva), la diffusione delle notizie e delle opinioni tendeva a innervarsi sulle reti dei rapporti sociali, amicali e parentali. Entro questi singoli circuiti esistevano gerarchie di rapporti che potevano condizionare l’allineamento delle opinioni entro i singoli gruppi di appartenenza: sembra cioè chiaro che entro la plebe alcuni individui godessero di una particolare influenza nell’orientamento delle opinioni di singole comunità, grazie ad un prestigio che poteva essere dovuto tanto alla posizione economico-sociale quanto al carisma personale. Queste dinamiche dell’informazione sembrano avere avuto un impatto considerevole nella determinazione delle opinioni, nonostante i canali di circolazione concorrenti al passaparola, ossia le comunicazioni ufficiali (pronunciate o comunque pubblicate per volontà dell’élite senatoria), godessero in teoria di maggiore prestigio: il prestigio del ceto politico, infatti, non era sempre considerato garanzia di credibilità, per un complesso intreccio di fattori, che vanno dalla propensione dei cittadini a dare maggiore credito ai membri della comunità di cui facevano parte, alla diffidenza legittimamente nutrita per un’eloquenza di cui era ben nota la capziosità.
Qual era il ruolo del teatro e dei ludi circenses?
Gli spettacoli teatrali, o ludi, costituivano un genere di intrattenimento molto popolare, capace di generare un entusiasmo che non si esauriva al calare del sipario, ma i cui effetti si propagavano ben oltre nel tempo, dando adito a dibattiti e generando tormentoni sulle battute o le soluzioni drammatiche più riuscite. Se a ciò si aggiunge che a teatro l’attualità era continuamente richiamata, in un gioco di specchi che coinvolgeva scena, pubblico e protagonisti della vita politica, non sarà difficile comprendere quale importanza i ludi rivestissero nella formazione di climi d’opinione. Gli studiosi si sono spesso soffermati sui rumoreggiamenti che suscitava l’entrata in teatro dei protagonisti della vita politica, trascurando però quello che appare essere il più formidabile strumento di politicizzazione del teatro: l’allusione. Questo espediente appare essere stato tra i più apprezzati da parte del pubblico tardorepubblicano, che aspettava con trepidazione l’allusione degli attori a fatti o personaggi dell’attualità per poter partecipare al gioco: per il pubblico/popolo, questa era un’occasione per esercitare quello che Claude Nicolet ha definito il mestiere del cittadino, esprimere cioè la propria sovrana opinione, nella consapevolezza dell’influenza che essa aveva sugli assetti del potere entro l’élite.
Come avveniva la comunicazione interpersonale?
Come ho spiegato rispondendo alla quarta domanda, nella circolazione delle informazioni attraverso la comunicazione interpersonale avevano molta importanza i network sociali di cui si faceva parte. La topografia e le modalità della comunicazione personale sono strettamente legate a questi presupposti. Per ciò che attiene alla circolazione delle informazioni politiche, in particolare, è stato notato come essa tendesse a dipanarsi dai luoghi di origine della notizia attraverso i quartieri verso le periferie. Questo itinerario può essere immaginato come una staffetta dell’informazione, che dagli accrocchi di conversatori sotto la tribuna degli oratori nel foro (circuli), ove già si discutevano i contenuti dei discorsi pubblici, procedeva attraverso alcuni centri nevralgici dello smistamento delle notizie: tra questi bisogna ricordare i principali luoghi di socialità dei quartieri urbani, i cosiddetti compita, che si trovavano all’incrocio delle vie principali ed erano contrassegnati dalla presenza di altari dedicati alle divinità protettrici del quartiere. Lo scambio di informazioni ed opinioni era poi di casa in molti altri luoghi favorevoli alla socialità, come le botteghe dei barbieri, le tabernae, e soprattutto le aree porticate.
Quale ruolo rivestivano i graffiti e altre trasgressioni nella comunicazione politica?
Lo storico americano Robert Morstein-Marx ha evidenziato come i graffiti rappresentino uno dei mezzi comunicativi attraverso cui si esprimono correnti d’opinione non allineate alla cultura egemone. Si tratta di una constatazione apparentemente scontata, ma che di fatto ha una portata dirompente sul dibattito storiografico moderno: essa ci aiuta infatti a superare la concezione dell’opinione popolare come incapace di esprimere una visione della realtà indipendente dalla rappresentazione promossa dall’élite. Lo studio dei graffiti politici consente in particolare di intuire l’esistenza di fattori alternativi di elaborazione delle opinioni, abbastanza potenti da imporre agli esponenti del gruppo dirigente di tenerne conto nella pianificazione, o correzione, della propria agenda politica.
Quanto erano diffusi i rumores?
Per farci un’idea di quali dovessero essere i volumi di diffusione dei rumores nella città di Roma, dobbiamo sforzarci di immaginare un contesto in cui non esistono forme di informazione di massa e in cui ci si informa quasi esclusivamente attraverso la comunicazione interpersonale. In un simile contesto ogni situazione di socialità si trasforma in occasione per scambiare informazioni. Le strade, le botteghe, i portici e le case sono il social network dell’antica Roma, la piattaforma reale su cui le informazioni (vere o presunte tali) e le opinioni si negoziano face to face, senza filtri. I trattati di retorica e i manuali per i candidati non lesinavano consigli su come difendersi dalla circolazione di rumores sfavorevoli: un indizio chiaro del carattere pervasivo di questo fenomeno nelle dinamiche dell’informazione.
Quali erano le principali forme di comunicazione pubblica?
La comunicazione pubblica, intesa nella sua dimensione ufficiale, rappresentava un elemento fondante dell’ordinamento repubblicano. Si tratta di un fatto estremamente significativo rispetto alla valutazione del carattere “inclusivo” del processo politico, ma va tenuto conto che, dal punto di vista istituzionale, essa era appannaggio praticamente esclusivo del ceto politico. Se è vero che la prassi imponeva la comunicazione pubblica delle informazioni di interesse collettivo e il disbrigo dinnanzi al popolo di alcune procedure chiave nella gestione del potere, d’altra parte solo i magistrati – che erano di fatto espressione dell’élite economica – erano autorizzati a convocare le assemblee ove tali attività si svolgevano. Queste assemblee si chiamavano contiones ed è nel corso del loro svolgimento che i grandi oratori della Repubblica comunicavano alla plebe urbana la loro visione della realtà. E tuttavia sarebbe un errore concepire la comunicazione conzionale come un flusso a senso unico. Il pubblico della Tarda Repubblica era in genere molto attivo durante le assemblee conzionali ed esprimeva con molta chiarezza i suoi sentimenti rispetto a quanto udiva – specialmente se non era d’accordo. Non mancano peraltro testimonianze della propensione del pubblico ad interloquire attivamente con la tribuna, attraverso interrogazioni ed interventi che potevano provenire da gruppi o da singoli individui. Se dunque da un punto di vista formale le contiones esprimevano un rapporto di subordinazione tra le due componenti del gioco politico (élite e plebe), la prassi assembleare si adeguò all’evoluzione delle dinamiche di potere, che verso la fine della Repubblica aggiudicavano alla plebe urbana una capacità di negoziazione politica mai più raggiunta.