
In che misura la scuola rappresenta un valido alleato per le famiglie nella crescita dei propri figli?
All’interno del sistema di protezione è necessario collocare le scuole, anche se queste non sono sempre collocate tra i pilastri fondamentali del welfare al pari della sanità, della previdenza e dell’assistenza. È stata, dunque, una relazione silenziosa, prima del COVID-19, quella tra scuola e famiglia. Quasi mai esplicitate come strumento di welfare e conciliazione dei tempi per le famiglie, le istituzioni scolastiche hanno il merito di aver consentito la rivoluzione di genere della doppia partecipazione al mercato del lavoro: in particolare il tempo pieno e i servizi di pre- e post scuola, il trasporto scolastico e i centri estivi hanno permesso alle donne di uscire dall’esclusivo ruolo di care giver all’interno di un modello familiare, quello male-breadwinner, sempre più anacronistico e insoddisfacente per la realizzazione dell’identità femminile così come anche per quella maschile. Anche per gli uomini, infatti, vi è un costo molto alto nel rimanere all’interno di un sistema patriarcale gerarchico che chiede di stare dentro a pena di pagare un prezzo altissimo– spesso più alto che per le donne – nel non conformarsi; a questo si aggiunge il controllo continuo delle emozioni, le limitazioni al contatto corporeo tra maschi adulti e l’avere addosso la pressione sociale della responsabilità economica della famiglia.
In che modo la scuola risponde alle aspettative educative delle famiglie?
Le scuole e, più in generale, il sistema nazionale ha avviato da tempo un percorso di autonomia delle istituzioni scolastiche. A che fine? Il fine ultimo è quello di consentire la maggiore personalizzazione possibile dell’esperienza didattica sulla base delle necessità specifiche dei contesti in cui le scuole operano e dei relativi attori che in esso si muovono ossia gli studenti, i docenti, le famiglie e tutti coloro che in qualche modo si relazionano con le scuole. Con l’autonomia si introduce per la prima volta il Piano dell’offerta formativa (pof). Dal 2015 il ptof assume validità triennale e diventa un documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche. Il ptof esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia. Nel rispetto delle direttive ministeriali, per quanto riguarda le scelte didattiche e organizzative, ogni decisione assunta nell’ambito dell’autonomia deve essere decisa e condivisa durante le riunioni degli Organi collegiali, Collegio dei docenti e Consiglio d’istituto. Le Indicazioni nazionali e i Regolamenti sono documenti ricchissimi di informazioni e vogliono costituire il quadro di riferimento per la programmazione didattica che ogni scuola svolge all’interno dei confini dell’autonomia concessa dalla legislazione vigente. La realizzazione è stata oggetto di una consultazione nazionale, di un confronto con le scuole attraverso diversi seminari dedicati e dell’apporto scientifico di esperti sulla base delle griglie proposte nella classificazione eqf. Gli obiettivi stabiliti a livello ministeriale assumono i contorni di indicazioni e suggerimenti in grado di orientare le organizzazioni educative del primo e del secondo ciclo nel perseguire, inventare, adattare, esplorare un modello di proposta didattica che meglio si adatta al contesto dell’organizzazione stessa. Non si tratta più, quindi, di un elenco di “cose da fare” in modalità esecutiva, ma una cornice all’interno della quale sviluppare stimoli e interpretazioni flessibili per adottare le strategie più efficaci nell’azione didattica nell’ambito della scuola dell’autonomia secondo un forte orientamento sulla didattica per competenze nel rispetto delle esigenze del territorio e, in particolare, delle famiglie e i relativi figli e figlie.
Cosa si aspetta la scuola dalle famiglie?
Le scuole si dotano di propri regolamenti di istituto che contengono protocolli e modalità per gestire e regolare comportamenti e azioni degli attori che si muovono nella scuola. All’inizio dell’anno scolastico le famiglie e gli studenti sono tenuti a sottoscrivere un patto di corresponsabilità educativa, le cui modalità sono definite dal Regolamento di Istituto e che impegna al rispetto di una serie di diritti e doveri nelle relazioni tra famiglie e scuole (DPR 235/07). Il Patto di corresponsabilità va collocato storicamente in un momento in cui alla scuola erano rimandata le caratteristiche tipiche delle aziende. Il Patto oltre ad essere un documento pedagogico di condivisione scuola-famiglia di “intenti” educativi, è anche un documento di natura contrattuale – ne è richiesta la sottoscrizione da parte di ciascun studente/genitore – finalizzato all’assunzione di impegni reciproci. Allo stato attuale, le scarse ricadute vincolanti di questo documento lo rendono un atto formale di scarsa rilevanza nel regolare gli effettivi rapporti tra scuola e famiglia. Proprio per questa ragione è molto importante puntare su una “cultura dell’istruzione” in grado di creare un rapporto di fiducia e collaborazione reale tra scuola e famiglia, in grado di andare oltre gli adempimenti formali.
Come si concretizza l’alleanza educativa tra scuola e famiglie?
La creazione di un clima di collaborazione e la costruzione di legami forti e stabili fra scuola e famiglia hanno un impatto positivo non solo sul rendimento scolastico (ma anche sul benessere generale degli studenti. Le indagini sul parental involvement, mostrano un dato apparentemente contradditorio: il coinvolgimento school-based dei genitori non evidenzia sempre una relazione positiva con gli apprendimenti. La contraddizione è forse svelata se guardiamo a cosa succede nelle scuole superiori: laddove i colloqui sono più frequenti gli apprendimenti dei figli risultano più bassi. Come a dire: quando le cose vanno bene, i contatti tra scuole e la maggioranza delle famiglie sono più ridotti. La costruzione della relazione tra scuola e famiglia può infatti avvenire secondo modalità più sottili, instaurando un clima di fiducia, di delega, di stima e di affidabilità reciproca in cui ciascuna parte si muove autonomamente verso un fine comune che è quello della realizzazione del progetto educativo e del benessere dei minori.
Quali sono i principali ostacoli sociali che si frappongono l’alleanza educativa tra scuola e famiglie?
Nel corso dell’emergenza COVID-19 il governo ha destinato ingenti risorse per compensare le carenze nella strumentazione necessaria a scuole e studenti per garantire forme di didattica a distanza. Gli interventi per aiutare le famiglie con figli hanno tamponato ma non sono riusciti ad arginare la presenza di diseguaglianze dovute, ad esempio in riferimento alla didattica a distanza, a una diversa diffusione della banda larga sul territorio. Vi è oltretutto una questione legata alla qualità stessa di questa strumentazione, riconducibile innanzitutto a una diversa possibilità economica delle famiglie ma anche alla differente capacità di saperne gestire la risoluzione nelle problematiche di utilizzo. L’epidemia non ha solo ampliato le diseguaglianze tra famiglie: anche le scuole hanno incontrato difficoltà simili. Le scuole che già pagavano il prezzo di un ritardo tecnologico sono rimaste indietro; le scuole già meglio organizzate prima dell’emergenza hanno saputo riorganizzarsi e venire incontro alle esigenze delle famiglie in tempi più rapidi. Con la chiusura delle scuole sono stati interrotti i flussi di comunicazione della quotidianità e la produzione di significati condivisi nelle culture locali le cui ricadute sono ancora tutte da valutare.
In che modo le politiche sociali possono agevolarne il funzionamento?
Tra le politiche sociali, complice l’influenza dell’Europa, inizia a farsi strada come la conciliazione non sia un problema delle donne e in particolare delle donne con figli piccolissimi. Gli ultimi interventi delle politiche sociali messi in campo con il Family Act allungano il congedo obbligatorio per i padri e riconoscono che occorre tempo per seguire i figli nel percorso scolastico; tra le iniziative importanti introdotte, per fare un esempio, vi sono le cinque ore di permesso retribuito destinate ai colloqui con gli insegnanti. Si fa strada una prospettiva di social-investment che teorizza come l’investimento in alcuni campi di policy può sostenere la competitività dei sistemi economici e avere dei ritorni sia per gli individui e sia per la società. Proiezioni di Banca di Italia indicano come se l’occupazione femminile arrivasse al 60% (oggi al 48,2%) il PIL aumenterebbe di 7 punti percentuali. Più occupazione femminile significa un reddito di più in famiglia e, conseguentemente, meno povertà per i minori. Non è una partita che si può giocare solo all’interno della relazione scuola-famiglia quella del successo di questa stessa relazione. Lo spiega bene la legge 107/2015 che, al comma 1, punto 7/m, indica la necessità della “valorizzazione della scuola intesa come comunità attiva, aperta al territorio e in grado di sviluppare e aumentare l’interazione con le famiglie e con la comunità locale, comprese le organizzazioni del terzo settore e le imprese”. In questa direzione vanno “i patti educativi di comunità” istituiti con le linee guida del Piano Scuola 2020/21 e redatte dal Ministero dell’Istruzione. Si tratta di intese sottoscritte fra cittadini (singoli o associati) e Amministrazioni Comunali, per la realizzazione di collaborazioni mediante l’utilizzo di spazi e servizi urbani. Nati per la necessità specifica di trovare nuovi ambienti per le scuole al fine di garantire il distanziamento, i patti educativi di comunità, in ogni caso, rafforzano una prospettiva che rimanda alla necessità di presa in carico del progetto educativo al di fuori delle mura scolastiche e familiari da parte del maggior numero possibile degli attori presenti nelle comunità locali.
Brunella Fiore è professore aggregato in sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università di Milano-Bicocca dove insegna Sociologia dell’educazione per il corso di Scienze della Formazione Primaria e dove ha insegnato Sociologia della famiglia per il Corso di Studi in Servizio Sociale. È valutatrice esterna delle scuole per il SNV. È nel gruppo di ricerca di interesse nazionale (PRIN) “La valutazione dell’alternanza scuola-lavoro: uno studio longitudinale nelle scuole superiori italiane”. Tra le sue pubblicazioni si segnala con Decataldo A. (2018) Valutare l’istruzione. Dalla scuola all’università (Carocci).