“La relazione terapeutica. Storia, teoria e problemi” di Antonio Semerari

Dott. Antonio Semerari, Lei è autore del libro La relazione terapeutica. Storia, teoria e problemi edito da Laterza: quali dinamiche caratterizzano la relazione tra terapeuta è paziente?
La relazione terapeutica. Storia, teoria e problemi, Antonio SemerariNel corso della storia della psicoterapia sono state date diverse risposte a questa domanda. Gli antichi magnetizzatori da cui, in ultima analisi, discende la psicoterapia moderna vedevano la relazione, in primo luogo, come una sorta di potere, una facoltà che il suggestionatore esercitava sul suggestionato. Essi ebbero modo di osservare una particolare forma di dipendenza interpersonale che il suggestionato sviluppava verso il suo magnetizzatore che chiamarono “elettività magnetica”. Tuttavia, ben presto, l’attenzione si spostò dalla facoltà del suggestionatore alle caratteristiche mentali e psicopatologiche di chi veniva suggestionato. In questo contesto Janet (1) lesse le dinamiche della relazione come l’espressione di un “bisogno di direzione” in soggetti la cui indebolita capacità di “sintesi mentale” non permetteva di organizzare e pianificare in modo coerente e stabile il pensiero e l’azione. Freud (2) rifiutò questa tradizione da cui, peraltro, proveniva e guardò alle dinamiche della relazione come a dinamiche di desiderio. Un desiderio indeterminato, di natura libidica e, successivamente, aggressiva, che prende forma psichica attraverso strutture mentali che Freud chiamò cliché (oggi li chiameremmo schemi) che contengono memorie di relazioni passate. Negli Stati Uniti con Sullivan (3) e Rogers (4) l’attenzione si spostò sul bisogno di riconoscimento, di accettazione, di sostegno all’autostima; qualcosa di simile a quello che oggi la Linehan (5) chiama “validazione”.

Oggi tendiamo a vedere le dinamiche della relazione come regolate da sistemi motivazionali multipli, primo fra tutti quello dell’attaccamento. Tra questi sistemi motivazionali va inclusa anche la propensione alla cooperazione che sarebbe alla base dell’alleanza terapeutica.

Con quali concetti e con quali categorie possiamo descrivere gli eventi interpersonali che si sviluppano in psicoterapia?
Anzitutto le dinamiche di cui abbiamo appena parlato forniscono una prima serie di concetti. Ad esempio un inizio di una descrizione potrebbe essere costituita da affermazioni del tipo: “il paziente è mosso da bisogni di attaccamento” oppure “il paziente cerca di evitare l’invalidazione” ecc. Ma questo non basta. Il paziente avrà aspettative sulle risposte dell’altro (in questo caso del terapeuta), aspettative basate sulle sue memorie, e osserverà ed interpreterà gli eventi guidato da queste aspettative e memorie. Questi aspetti rimandano a strutture mentali che possono essere chiamate in vari modi: cliché, schemi, relazioni oggettuali, modelli operativi ecc., la cui funzione è di organizzare memorie di relazioni, orientare l’attenzione selettiva e interpretare il significato degli eventi interpersonali.

Saranno queste interpretazioni a guidare il comportamento. Ma ancora non basta. Le rappresentazioni delle relazioni che così si formano possono essere più o meno coerenti e più o meno percepite come simboliche. Ma possono essere anche frammentate, caotiche, totalmente contraddittorie e vissute come puro dato di realtà. Ecco che si aggiunge una terza categoria di concetti che si riferisce al modo di funzionare della mente del paziente e descrive quanto integra le diverse rappresentazioni, quanto è in grado di mentalizzare ecc. Tutto questo definisce la natura del transfert, termine freudiano che vale la pena di conservare anche in approcci non psicanalitici. Completano la descrizione i concetti che descrivono la reazione del terapeuta, il controtransfert. Un punto centrale della discussione è quanto questo dipenda dal carattere del terapeuta, dal particolare incontro tra le soggettività del paziente e la soggettività del terapeuta e dalla psicopatologia del paziente. Diversi autori ritengono che più grave è la psicopatologia e meno contano i primi due fattori. In questo modo vengono descritte forme di controtransfert specifiche per patologia. Ad esempio, esistono reazioni tipiche dei terapeuti con i pazienti borderline o con i pazienti narcisisti ecc.

In che misura è attraverso quali processi la relazione terapeutica contribuisce alla cura e alla guarigione?
Alla fine le diverse teorie che spiegano come la relazione svolga un ruolo terapeutico fanno riferimento a cinque classi di spiegazioni. La prima considera la relazione come una sorta di laboratorio privilegiato per la presa di coscienza. Nella relazione terapeutica ciò che nella vita reale viene agito con tutte le conseguenze del caso, viene osservato, compreso e, quindi, padroneggiato.

Una seconda classe di spiegazioni è quella secondo cui la relazione deve creare quel clima di fiducia e impegno che fa sì che il paziente collabori e si impegni nel lavoro terapeutico. Sono queste le spiegazioni che enfatizzano il ruolo dell’alleanza terapeutica. Secondo un’altra classe di spiegazioni alcuni assetti della relazione favorirebbero nel paziente funzioni danneggiate. Ad esempio un contesto cooperativo favorirebbe le funzioni integratrici della coscienza (6). Il quarto tipo di spiegazione sottolinea il ruolo terapeutico diretto dalla relazione come “esperienza correttiva”. Infine nella tradizione comportamentista si sottolinea il ruolo del “modeling”. Il paziente apprenderebbe dal terapeuta direttamente modalità di pensiero e d’azione più adattive. Ovviamente queste spiegazioni non si escludono a vicenda e possiamo considerarle che agiscono insieme anche se con pesi diversi a seconda dei diversi contesti terapeutici. A tutto questo bisogna aggiungere la suggestione, la componente “placebo” presente in ogni tipo di terapia.

Cosa deve fare il terapeuta per far sì che la relazione contribuisca alla cura e non diventi un ostacolo al trattamento o un fattore dannoso per il paziente?
Le diverse teorie della cura che abbiamo elencato hanno dato luogo a diverse teorie della tecnica. Ad esempio astinenza, neutralità tecnica e interpretazione sono principi propri di una concezione della relazione come laboratorio privilegiato. L’uso del contratto terapeutico è raccomandato per la regolazione dell’alleanza. L’esplorazione congiunta è indicata per riparare alle rotture dell’alleanza e anche per creare un contesto cooperativo.

Vi è poi un’altra distinzione che, credo, vado a tenuta presente. La maggioranza dei terapeuti oggi cerca attivamente una “buona relazione “. Le ragioni di ciò sono molteplici. Un legame personale di simpatia e fiducia è una componente essenziale dell’alleanza. Empatia e accettazione incondizionata sono considerati fattori terapeutici in sé. In un contesto di buona relazione si ritiene che il paziente sviluppi maggiori capacità riflessive. L’elenco delle ragioni potrebbe continuare ma il risultato è che i terapeuti si sforzano di minimizzare gli aspetti di aggressività, rivalità, invidia o malanimo che possono insorgere nella relazione. Per altri invece è necessario che queste componenti si sviluppino pienamente nella relazione per poter essere riconosciute e trattate, altrimenti la terapia resterebbe incompleta. Vi sono buone ragioni a favore di entrambe le posizioni ma sarebbe bene che le differenze fossero rese più esplicite.

Bibliografia
– Janet, P. (1996) La passione sonnambulica, Liguori;
– Freud, S. (1912) Dinamica delle traslazioni in Opere Complete, Bollati Boringhieri;
– Sullivan, H. S. (1962) Teoria Interpersonale della Psichiatria, Feltrinelli;
– Rogers, C. E. (2019) La terapia centrata sul cliente, Giunti;
– Linehan, M. M. (2011) Trattamento cognitivo-comportamentale del disturbo borderline, Raffaello Cortina;
– Liotti, G. (1994) La dimensione interpersonale della coscienza, Carocci

Antonio Semerari, psicoterapeuta, è tra i fondatori della Scuola di Psicoterapia Cognitiva e del Terzo Centro di Psicoterapia Cognitiva di Roma. Autore di numerosi saggi su riviste internazionali, ha pubblicato tra l’altro: La psicologia dei costrutti personali (a cura di, con F. Mancini, 1985); Le teorie cognitive dei disturbi emotivi (con F. Mancini, 1990); I processi cognitivi nella relazione terapeutica (1991); Psicoterapia cognitiva del paziente grave (a cura di, 1999); Storia, teorie e tecniche della psicoterapia cognitiva (2000); I Disturbi di Personalità. Modelli e trattamento (a cura di, con G. Dimaggio, 2003); Il delirio di Ivan. Psicopatologia dei Karamazov (2014); Curare i casi complessi. La terapia metacognitiva interpersonale dei disturbi di personalità (a cura di, con A. Carcione e G. Nicolò, 2016).

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