
Il 36 per cento delle donazioni a livello mondiale sono di filantropi. Oggi la filantropia è in testa alle attività non professionali a cui si dedicano persone molto facoltose di tutto il mondo (Ultra High Net Worth Individual), come riporta il recente studio Wealth_X_UHNW_Philanthropy_2022.
L’educazione è al primo posto tra le aree di intervento dei filantropi, con circa un terzo dei mecenati che investono almeno una parte dei loro contributi filantropici in programmi come borse di studio, cattedre e formazione degli insegnanti.
Altre aree includono servizi sociali e sanitari e, a una certa distanza, arti e cultura. Gli esperti di Wealth-X riferiscono che dopo lo scoppio della crisi di Covid-19, grandi somme sono state investite nell’istruzione e nella sanità, mentre una parte più ridotta è stata destinata agli aiuti per la fame, all’alloggio e al ricovero.
Vorrei segnalare anche la ricerca intitolata L’esperienza filantropica dei Wealthy People in Italia, pubblicata a gennaio del 2022 dalla Fondazione Italia Sociale, in collaborazione con Finer Finance Explorer, sui comportamenti filantropici delle persone molto facoltose in Italia.
A fronte di 300mila milionari, l’Italia si posiziona al nono posto su scala globale. L’87 per cento degli High Net Worth in Italia, dona abitualmente alle cause filantropiche. Nel paese, però, la filantropia è frenata da incapacità gestionali legate alle attività di mecenatismo, quali l’eccessivo flusso delle richieste (77 per cento), il valutare professionalità, solidità e credibilità delle non profit (69) e il gestire i fallimenti dei progetti (36).
Quando nascono mecenatismo e filantropia?
Il mecenatismo è fatto risalire al suo eponimo del 70 a.C., ma uno studio esegetico mostra invece che la generosità senza tornaconto personale è stata descritta ben prima di Gaio Clinio Mecenate. Già nel 486 a.C, infatti, Anathapindika, un uomo d’affari indiano, illuminato dalla fede, costruì e donò il primo monastero buddhista della storia, visitato, secondo la tradizione, anche dal Buddha. Furono Eschilo, Aristofane ed Epicarmo a parlare per la prima volta di filantropia e, nel IV secolo a. C., venne ricordata da retori come Isocrate e Demostene. Il primo a darne un’interpretazione moderna è stato Senofonte, col ritenere questo atto di gratuità, oltre che una dimostrazione di altruismo, anche il simbolo di una visione lungimirante. Troviamo comunque esempi di filantropia e mecenatismo in ogni epoca e società.
La figura del mecenate, secondo i puristi, riguarderebbe soltanto chi sostiene e finanzia l’arte e la cultura, magari per un godimento anche personale. Il filantropo, invece, sarebbe colui che si occupa delle problematiche sociali, alla lotta a povertà e disuguaglianze, o dell’accesso all’istruzione e alle cure mediche. Nel nostro libro noi li abbiamo usati come sinonimi nella convinzione che questa distinzione sia oramai obsoleta.
Qual è la differenza tra mecenatismo e altre forme di sostegno alla cultura?
Le differenze sono di carattere normativo, di contenuto, di libertà nella scelta. Quando un’azienda accetta di sponsorizzare, sa di acquisire visibilità nel sostenere arte e cultura, ma anche attività sportive e ricreative. C’è un do ut des, con limiti ben precisi e l’aspettativa di un ritorno, spesso di carattere commerciale. Diverso è invece con la donazione, un atto spontaneo e affatto personale, spesso nascosto anche dall’anonimato.
Anche fra la donazione di un mecenate e quella da parte di una fondazione c’è profonda differenza. Il mecenate non ha vincoli nelle sue scelte, né dal punto di vista dei contenuti o dei tempi, né da quello dell’entità della donazione, se non gli obblighi nei confronti della propria famiglia mentre la fondazione ha precise limitazioni, definite dallo scopo e dalle disposizioni sull’uso del suo patrimonio.
Che cosa motiva il mecenate?
Le motivazioni sono numerose, fra le più frequenti ci sono convinzioni etiche o religiose, Il prestigio personale, la gioia di donare, il desiderio di alleviare i problemi sociali e di lenire le sofferenze. Alcuni mecenati coltivano la passione per un tema, come la musica o l’arte figurativa, oppure il diritto alla salute, e spesso in loro c’è il desiderio forte di promuovere un ambito specifico e che quest’ultimo faccia un salto di qualità grazie ai loro fondi. Poi ci sono le esperienze di vita, magari la perdita di una persona cara, oppure il ricordare un parente attraverso un gesto di donazione. Certo è che il donare fa bene, aumenta l’autostima e il livello di benessere. Studi scientifici hanno mostrato come aiutare il prossimo renda felici, incrementando il livello di endorfine nel sangue, e riducendo lo stress (cfr. Park S. Q., Kahnt T., Dogan A., Strang S., Fehr E. e Tobler P. N. (2017), “A neural link between generosity and happiness”, Nature Communications, 11 luglio, pp. 1-109).
Quali tecniche sono più indicate per l’avvio di una relazione filantropica?
La dialettica è fondamentale per coinvolgere il mecenate, la richiesta di donazione va preparata con un raffinato lavoro di comunicazione e ricerca. È importante focalizzare al meglio l’immagine del richiedente, le caratteristiche del progetto e la gestione dei tempi. Per favorire un approccio positivo con il mecenate, il richiedente deve entrare in sintonia con il mecenate e il suo ambiente, riconoscerne sogni e desideri, saper anticipare esigenze, far percepire all’interlocutore passione ed entusiasmo per la propria attività.
Il progetto da sottoporre al filantropo deve essere predisposto per una presentazione dettagliata, e il richiedente pronto a un eventuale contraddittorio. Si tratta in buona sostanza di avere la capacità di esprimere la propria visione e di dare al mecenate la certezza che potrà realizzare il suo sogno filantropico.
Cos’è il Moves Management e in che modo consente di costruire la relazione con il mecenate?
Il Moves Management nasce come tecnica applicativa ad opera di David Dunlop (Senior Development Officer della Cornell University) per lavorare con i grandi donatori, noi lo abbiamo reinterpretato nel nostro libro « La relazione generosa » sul particolare segmento dei mecenati. A questo scopo abbiamo affinato alcuni elementi di questa disciplina arricchendola di ulteriori dettagli e di diverse integrazioni pluridisciplinari. In concreto questo modello si basa su tecniche che permettono di identificare i potenziali mecenati, valutare quando e come è utile prendere contatto con loro, definendo un ordine di priorità, elaborare una strategia per motivarli e coinvolgerli. Tutte queste informazioni rappresentano il punto centrale di un modello circolare, che permette di pianificare il lavoro, scegliere quando e come presentare richiesta di donazione, ringraziare per le donazioni ricevute e quindi mantenere viva la relazione nel tempo.
In che modo è possibile sensibilizzare il mecenate?
Il primo passo per incuriosire e sensibilizzare un potenziale mecenate è quello di incrementare la notorietà dell’organizzazione non profit e del progetto in atto, in modo che chi dona possa averne un’idea precisa e si interessi ai soggetti che pensa di aiutare. In un secondo momento si tratterà di costruire quella fiducia che permetterà di dare alla relazione generosa fra mecenate e richiedente basi solide. Per farlo è centrale la comunicazione mirata e regolare attraverso il sito e comunicazioni personalizzate e quindi il coinvolgimento nella vita della istituzione non profit attraverso l’invito a conferenze, simposi, visite nella sede dell’istituzione e partecipazione a eventi che consentano il contatto possibilmente diretto fra il mecenate e le persone che saranno beneficate dal suo gesto.
In cosa consiste lo stewardship?
Come ricordiamo nel nostro libro, si tratta del processo di gestione della relazione con il mecenate, che parte dal momento di avvenuta donazione e si protrae per tutta la durata della relazione, facendo leva sulla fiducia e l’uso appropriato delle risorse ricevute.
Nella fase di stewardship, infatti, un beneficiario esprime il proprio senso di gratitudine e di responsabilità rispetto a qualcosa di prezioso che il mecenate ha affidato alla sua competenza, affinché si realizzi ciò che è stato prefissato e che è desiderato da entrambe le parti.
Quali prospettive per la filantropia e il mecenatismo?
Sono ottimista. Mecenatismo e filantropia vivono un momento di generale espansione. La grande massa di informazioni generata dalla rete, infatti, contribuisce a far circolare velocemente i progetti, e fa aumentare l’interesse da parte dei donatori e la quantità di denaro investito. Mutano e migliorano anche le strategie di intervento e, una volta superata la pandemia, si renderà necessario un cambiamento di mentalità.
Uno dei settori da rivisitare è quello culturale, messo a dura prova dal Covid anche per una sua intrinseca fragilità. Occorre unire le forze e dare la possibilità ai professionisti del settore e ai creativi di mettersi in contatto con i mecenati, per concertare interventi mirati alla risoluzione rapida dei singoli problemi, oltre a finanziare progetti per contrastare l’emergenza. Uscire dalla crisi significa anche riprogrammare l’unione virtuosa tra il mondo della cultura e quello filantropico per una società più equa, armoniosa e solidale.
Elisa Bortoluzzi Dubach, docente in università e istituti di formazione in Italia e Svizzera, è consulente di relazioni pubbliche, sponsorizzazioni, fondazioni. Autrice di articoli sullo sponsoring, le fondazioni erogative e il mecenatismo – pubblicati in riviste specializzate, in lingua tedesca, inglese, italiana e araba – ha scritto Lavorare con le fondazioni. Guida operativa di fundraising (Franco Angeli), con Hansrudolf Frey Sponsoring dalla A alla Z. Manuale operativo (Skira) e Mäzeninnen-Denken-Handeln-Bewegen (Haupt Editore), con Chiara Tinonin La relazione generosa.Guida alla collaborazione con filantropi e mecenati (Franco Angeli) www.elisabortoluzzi.com