“La regina “contesa”. Maria Cristina fra Borbone e Savoia” di Alessia Facineroso

La regina “contesa”. Maria Cristina fra Borbone e Savoia, Alessia FacinerosoDott.ssa Alessia Facineroso, Lei è autrice del libro La regina “contesa”. Maria Cristina fra Borbone e Savoia edito da FrancoAngeli: quale importanza riveste, per la storia italiana dell’Ottocento, la figura di Maria Cristina di Savoia?
Maria Cristina è una figura centrale nella storia italiana – e più in generale europea – del XIX secolo, per diversi ordini di ragioni.

Lo è in primo luogo per la sua storia “dinastica”, dal momento che attraverso la sua biografia è possibile seguire le vicende politiche e sociali (ma anche familiari e private) dei Savoia prima, e dei Borbone poi.

Dalle traversie dell’età napoleonica alle sfide della Restaurazione, dai moti degli anni ’20 alla “centralità” italiana negli assetti geopolitici internazionali durante gli anni Trenta dell’Ottocento, tutte le svolte della cosiddetta grande Storia coincidono con momenti altrettanto importanti della vita di Maria Cristina, che assiste a questi eventi da una prospettiva talvolta defilata, ma mai marginale.

C’è poi un aspetto più “sentimentale”, che attiene alla lunga querelle matrimoniale che coinvolge la principessa, ambita da numerosi membri dell’aristocrazia internazionale, sia per le sue qualità personali, sia come strumento di alleanza dinastica con la monarchia sabauda. E in questo contesto emerge il ruolo di Ferdinando II, fermamente deciso a sposare Maria Cristina nonostante gli innumerevoli ostacoli politici posti in più riprese da Torino, così come da Napoli, dai suoi stessi genitori. Si sviluppa così una lunghissima contesa, che coinvolge re e regine, diplomatici e ambasciatori dei due Stati, numerosi mediatori dell’una e dell’altra parte, e che si intreccia con le vicende della penisola, soggetta per un verso all’egemonia austriaca, per un altro alla crescente influenza francese, e d’altra parte popolata da dinastie in ascesa e desiderose di attuare una politica interna e internazionale “autonoma”.

Maria Cristina è in qualche modo il “simbolo” di queste vicende, e a questo si deve aggiungere l’altro elemento che spiega la sua centralità, ovvero l’esercizio della sovranità e del ruolo di regina consorte dopo le nozze con Ferdinando II. Il fervore religioso e il filantropismo della donna – coltivati durante tutto il corso della sua esistenza – sfociano allora in un forte protagonismo sociale che la trasforma in una regina “moderna” e amata dai sudditi, a tutti gli effetti regista della beneficienza e dell’assistenza di Stato.

In che modo Maria Cristina fu protagonista di una queenship moderna, caratterizzata dal rapporto diretto con i sudditi e da un grande slancio caritatevole?
Maria Cristina incarna il ruolo di una regina pienamente consapevole delle sfide che la Restaurazione pone ai troni e alle dinastie europee.

Dopo la Rivoluzione francese, le masse sono entrate in modo irreversibile nella scena politica e sociale internazionale, e questo presuppone delle inedite necessità di legittimazione per i sovrani, che hanno ormai perduto la loro aura “mistica” e sono costretti a confrontarsi con il giudizio dei sudditi, e dunque a dover instaurare con loro un rapporto più stretto e più diretto.

Maria Cristina si rende conto di questa necessità, e ad essa risponde con il mecenatismo, il filantropismo, le iniziative caritatevoli rivolte al popolo, con particolare attenzione alle giovani donne e agli orfani. È un surrogato al riformismo politico, se vogliamo, che nel caso della regina funziona molto bene, dal momento che proprio per il suo tramite il popolo sembra maturare un rinnovato attaccamento alla dinastia borbonica.

Il suo protagonismo femminile dà vita ad una linea coerente e moderna di queenship, fino a quel momento assente tanto nella dinastia borbonica quanto in quella sabauda. Non erano mancate naturalmente le figure di regine “forti” e impegnate in politica: ci basti pensare alla madre della stessa Maria Cristina, Maria Teresa d’Asburgo-Este, o a Maria Carolina di Borbone, che dialogava a muso duro con Napoleone e con gli inglesi, dettando le linee di politica estera e militare del Regno di Napoli.

Nel caso di Maria Cristina siamo tuttavia dinanzi ad una presenza più “discreta” e al tempo stesso più moderna, che si ritaglia spazi di autonomia importanti rispetto alla sovranità “maschile” del re, e che appare in grado di promuovere importanti attività sociali. Spicca fra tutte il rilancio imprenditoriale della fabbrica di San Leucio, dove trovano collocazione numerose donne napoletane, cui viene offerta anche assistenza medica e istruzione gratuita. Sono questo genere di attività a trasformare la regina in una figura in cui il popolo riesce a identificarsi, e a cui riversa consenso e attaccamento.

Non è un caso che già all’indomani della sua morte, avvenuta subito dopo aver dato alla luce il primo e unico erede, tutto il popolo delle Due Sicilie si spenda per la sua beatificazione, prima ancora che le gerarchie ecclesiastiche si pronuncino sull’argomento. Ed è importante considerare che si tratta di una mobilitazione trasversale, tanto rispetto alle classi sociali quanto rispetto alla localizzazione geografica: aristocratici, borghesi e appartenenti alle classi più umili; liberali e conservatori; napoletani e siciliani sono concordi nel celebrare le “gesta” della regina scomparsa, trasformando la sua figura in un simbolo di nazionalizzazione della compagine borbonica.

Come interpretò la regina la funzione di trait d’union fra le due principali monarchie della penisola e quali obiettivi condivisi di politica interna e internazionale le accomunavano?
Non è azzardato affermare che Maria Cristina assuma questa funzione “suo malgrado”, rivendicando sempre un ampio margine di autonomia nelle sue decisioni.

I ripetuti dinieghi opposti alla proposta matrimoniale di Ferdinando, così come a tutti altri pretendenti, sono motivati proprio dal rifiuto di trasformarsi in un semplice mezzo di alleanza dinastica, sacrificando a questo ruolo i suoi sentimenti e le sue aspirazioni. La principessa acconsente alle nozze con il re di Napoli solo al termine di una lunga ed estenuante pressione congiunta, esercitata prima dallo zio Carlo Felice, poi dal cugino Carlo Alberto e dal cognato Francesco di Modena, nonché dalle sorelle Marianna e Teta.

Il matrimonio è celebrato proprio nell’obiettivo di unire più saldamente le principali monarchie della penisola. È un dato che fa riflettere: se nel 1860 Borbone e Savoia si combatteranno strenuamente per la formazione dello Stato unitario, non più di trent’anni prima appaiono invece fermamente intenzionati a collaborare, e (con l’aiuto degli Asburgo-Este) ipotizzano addirittura la creazione di una Lega italiana, antidoto al dilagare della rivoluzione così come all’estensione dell’egemonia austriaca su territorio. Maria Cristina incarna per molti anni lo strumento di questa alleanza, destinata tuttavia a naufragare in fretta, a causa della divergenza di vedute fra i diversi protagonisti.

È molto importante sottolineare che, dopo aver sposato Ferdinando II, la donna sceglie di opporsi strenuamente ai tentativi di Carlo Alberto di strumentalizzarla per influenzare la politica borbonica. Il dato è evidente in occasione delle guerre carliste: il sovrano sabaudo fa di tutto per convincere la cugina a sponsorizzare l’adesione di Napoli alla causa “controrivoluzionaria” di don Carlos, ma i suoi tentativi si infrangono con la decisione della donna di mantenersi estranea alle questioni di politica internazionale, in favore di un ruolo più marcato nella politica interna e nella gestione dell’assistenza e della beneficenza.

In che modo l’avvio delle pratiche per la sua beatificazione si riverberò sulle sorti politiche della Nazione?
La vicenda della beatificazione di Maria Cristina è molto lunga e complessa: le pratiche iniziano già all’indomani della sua morte (nel 1836) ma si arriva ad una conclusione favorevole solo nel 2014.

La ragione di questo enorme ritardo è dovuta proprio alle traversie politico-istituzionali dell’Italia, che finiscono per intrecciarsi e per essere in qualche modo rispecchiate dalla “vicenda celeste” della regina.

Il primo decreto di venerabilità arriva nel 1859, in concomitanza alla pace di Villafranca: la monarchia borbonica si serve dell’immagine della donna per tentare di arginare la crisi che la travolge e per rafforzare la sua tenuta interna ed internazionale, con il placet delle gerarchie ecclesiastiche. Naturalmente le pratiche subiscono un primo arresto dopo il crollo del Regno delle Due Sicilie e la proclamazione dell’Unità d’Italia. Nei primi anni dopo il 1860 la causa della beatificazione è perorata esclusivamente dalla dinastia in esilio e dai suoi seguaci, e la regina diventa addirittura un simbolo identitario del brigantaggio antiunitario, trasformandosi in un personaggio “scomodo” per gli equilibri dell’Italia appena creata.

Una prima svolta si ha solo nel 1867. Le velleità revansciste dei Borbone sono ormai definitivamente archiviate, e spetta adesso ai Savoia riscoprire la parentela con Maria Cristina e ad intestarsene la difesa ecclesiastica, trasformando la donna in un simbolo femminile di grande appeal, anche in ragione dell’assenza di una regina a fianco di Vittorio Emanuele II.

Anche in questo caso, tuttavia, il processo di beatificazione viene complicato dalle vicende interne alla monarchia sabauda, costretta a fare i conti con i problemi di nazionalizzazione e di integrazione centro-periferia, ma soprattutto protagonista di una lunga contesa con lo Stato Pontificio.

Solo alla fine degli anni ’30 del Novecento la figura di Maria Cristina torna in auge: il Concordato appiana i rapporti fra la monarchia e la Chiesa, e la regina incarna il simbolo di una femminilità “pacificatrice”, portatrice di valori cattolici celebrati in quel momento tanto dai Savoia quanto dallo stesso regime fascista.

Tuttavia, ancora una volta la grande Storia complica il corso degli eventi: la guerra, la proclamazione della Repubblica e l’esilio della monarchia sabauda rendono nuovamente difficile la posizione di Maria Cristina, e innescano una nuova catena di ritardi e defezioni.

Come dicevo, la vicenda della beatificazione giunge a compimento solo nel 2014, e anche in questo caso la regina assume un ruolo centrale nei processi culturali e politici dell’Italia. A partire dal 2011 la donna torna ad essere, infatti, un simbolo identitario rivendicato e brandito dai neoborbonici nelle loro (velleitarie e infondate) contro gli assetti unitari.

Le celebrazioni dei 150 anni dall’unificazione infiammano il dibattito tra oppositori e sostenitori dello Stato italiano, e Maria Cristina è ancora una volta una figura contesa per tutte le parti in gioco, a conferma dell’importanza che riveste nella storia della penisola tra ‘800 e ‘900.

Alessia Facineroso (Catania, 1985) insegna Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania. I suoi interessi di ricerca vertono principalmente sulle vicende del Mezzogiorno fra XIX e XX secolo e sulla storia di genere. Fra le sue pubblicazioni, Il cavaliere errante. Pasquale Calvi fra rivoluzione ed esilio (Bonanno Editore, 2012) e Il ritorno del giglio. L’esilio dei Borbone tra diplomazia e guerra civile (FrancoAngeli, 2017).

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