“La «recessione» civica. Crisi economica e deterioramento sociale” di Pasquale Colloca

Prof. Pasquale Colloca, Lei è autore del libro La «recessione» civica. Crisi economica e deterioramento sociale pubblicato dal Mulino: come si manifesta il deterioramento sociale da Lei indagato?
La recessione civica. Crisi economica e deterioramento sociale Pasquale CollocaCi sono alcuni atteggiamenti e orientamenti diffusi nell’opinione pubblica che svolgono un ruolo fondamentale per il consolidamento sociale di una comunità e il positivo funzionamento di una democrazia. Nel libro ho studiato il deterioramento sociale indagando proprio questi atteggiamenti, che sono alla base della cultura civica e politica di una nazione.
In particolare, mi sono chiesto se, al di là degli effetti economici e materiali, la crisi ha avuto un impatto sugli atteggiamenti civici e su quelli politici. Gli atteggiamenti civici sono legati al modo di vedere la società e di rapportarsi con gli altri, e sono quindi importanti per valutare il rischio di uno sfilacciamento della società civile: ad esempio, la sfiducia negli altri o l’intolleranza sociale. Gli atteggiamenti politici fanno invece riferimento al rapporto dei cittadini con le istituzioni e la politica, e sono in grado di dirci se in tempi di crisi è a rischio la legittimità del sistema politico e il suo funzionamento democratico: in questo caso, il deterioramento sociale si manifesta, ad esempio, attraverso la sfiducia nelle istituzioni o l’atteggiamento negativo verso la democrazia.

Di quali metodi si è avvalso nella Sua ricerca?
Dal punto di vista metodologico, la ricerca ha integrato metodi quantitativi e qualitativi tipici della ricerca sociale. Anzitutto, sono stati analizzati statisticamente dati di inchieste campionarie, nazionali e internazionali, e di fonti ufficiali. Con questi dati è stato possibile ricostruire differenti indicatori di andamento e di intensità della crisi (sia a livello nazionale sia a livello individuale), per poi valutarne gli effetti sugli atteggiamenti civici e politici. In secondo luogo, i risultati dei modelli statistici sono stati integrati e approfonditi dall’analisi qualitativa di interviste in profondità a persone esposte a condizioni di vulnerabilità economica e sociale (disoccupati e lavoratori precari).

In che modo la condizione economica condiziona l’orientamento politico?
L’orientamento politico è stato indagato attraverso una dimensione specifica (il sistema politico e le istituzioni vigenti) e una generale (il funzionamento del sistema democratico in senso lato). Da una parte, emerge che l’esposizione alla crisi ha intensificato l’ostilità e la sfiducia dei cittadini verso le istituzioni: un fenomeno di generalizzato allontanamento dalla politica, che era già in atto prima dell’arrivo della crisi, ma che quest’ultima ha accelerato. La crescita di sfiducia e protesta verso le istituzioni potrebbe essere un fenomeno anche fisiologico in tempi di crisi, se non emergessero però dall’altra parte ulteriori conseguenze sulla dimensione più generale della legittimità politica: gli atteggiamenti verso la democrazia e il sistema democratico. Le persone più colpite dalla crisi hanno anche «girato le spalle» alla democrazia, ne hanno in parte elaborato una valutazione negativa, sviluppando soprattutto una preoccupante indifferenza verso questa forma di governo.

Quali conseguenze ha avuto la crisi sul civismo in Italia?
Per analizzare il contesto italiano sono stati utilizzati differenti indicatori di civismo, partendo da due principali approcci utilizzati nella letteratura scientifica. In primo luogo, dal punto di vista dell’approccio di «comunità», emerge che quanto più una persona è esposta alla crisi tanto più tende a manifestare un atteggiamento che va contro la convivenza sociale. Si verifica sia un’erosione della fiducia generalizzata (cioè una fiducia incondizionata verso altre persone, anche sconosciute) sia una crescente propensione all’anticivismo (cioè una tendenza a giustificare il mancato rispetto delle regole e delle norme sociali). In secondo luogo, dal punto di vista dell’approccio dello «sviluppo umano», la crisi ha avuto effetti anche su orientamenti valoriali più profondi, che riguardano la visione del mondo e della società, favorendo una vera e propria chiusura esistenziale: tra i più colpiti dalla crisi sono aumentati il materialismo, l’intolleranza sociale e l’ostilità verso la presenza di altri gruppi etnici.
Questi i risultati principali, ma analisi statistiche più articolate hanno mostrato anche che l’impatto della «recessione» civica non è stato sempre omogeneo dal punto di vista sociale, ma è stato più accentuato in alcune fasce della popolazione: ad esempio, è soprattutto nelle regioni del Sud Italia che sono emerse le indicazioni più preoccupanti sulle conseguenze civiche della crisi.

Qual è stato l’impatto della crisi sugli atteggiamenti civici negli altri paesi?
Le analisi condotte comparando differenti paesi europei mostrano che la relazione tra crisi e atteggiamenti civici non è del tutto lineare. Non basta un periodo di crisi economica per generare l’inizio di uno sfilacciamento del tessuto sociale: c’è crisi e crisi. Ciò che conta di più è la sua intensità: nei paesi in cui la crisi ha avuto una durata più limitata, come nei paesi scandinavi, non emergono i segni di una «recessione» civica, fenomeno quest’ultimo che è invece ben evidente nei paesi mediterranei, tra cui l’Italia.
Al di là della complessità delle caratteristiche economiche e delle risposte politiche di ogni nazione, la differente funzionalità dei singoli sistemi di welfare assume a mio parere un ruolo cruciale su queste dinamiche. Nel libro utilizzo una metafora per spiegare meglio questo fenomeno. Ho invitato il lettore a pensare alla crisi come all’arrivo di un inaspettato uragano e alle nazioni come a varie imbarcazioni coinvolte nel mare in burrasca. Da una parte, ci sono imbarcazioni più sicure, più affidabili e più facili da governare (nazioni con minore disuguaglianza economica e sistemi di welfare più efficienti). Con l’arrivo dell’uragano, i loro equipaggi mostrano di essere più fiduciosi nella possibilità di salvarsi, tanto che l’orientamento generale sull’imbarcazione risulta positivo e collaborativo, e il rischio diventa condiviso: «siamo tutti sulla stessa barca». Dall’altra parte, ci sono imbarcazioni già da principio più fragili e a rischio (nazioni con alti livelli di disuguaglianza e con politiche di welfare poco generose). L’arrivo dell’uragano-crisi non fa che accelerare i rischi d’instabilità di queste imbarcazioni, mentre nei relativi equipaggi la soglia di percezione del rischio diventa elevata e lo spirito generale è molto meno orientato alla collettività: «si salvi chi può».
Si tratta quindi di un’opposta circolarità accelerata dalla crisi – un circolo virtuoso nei paesi nordici, e uno vizioso nei paesi mediterranei – che ha favorito un’ulteriore dualizzazione dell’Europa, in questo caso di tipo civico. I risultati mostrano tuttavia che queste tendenze non sono lineari, ma ci sono degli effetti soglia: il senso civico complessivo di una nazione non rischierebbe di peggiorare in maniera significativa se si è al di sotto di una certa soglia di deterioramento economico, superata la quale si potrebbe però manifestare un declino intenso in termini civici e democratici.

In che modo la marginalità occupazionale condiziona gli atteggiamenti politici?
La crisi ha acuito l’importanza della marginalità occupazionale in termini di frattura sociopolitica. Proprio a seguito della crisi, coloro che sono ai margini del mercato del lavoro (disoccupati e lavoratori precari) acquisiscono una maggiore consapevolezza di appartenere a categorie svantaggiate, e ciò li porta a differenziarsi di più dal punto di vista politico da coloro che sono pienamente inseriti nel mercato del lavoro. In particolare, con l’arrivo della crisi, i lavoratori precari iniziano a manifestare una coscienza collettiva che prima non gli apparteneva. È come se la crisi avesse rafforzato le differenze negli orientamenti politici tra chi è «dentro» e chi si sente «fuori», tra chi è sicuro e chi non lo è, inasprendo conflitti tra gruppi sociali distinguibili in relazione allo loro posizione nel mercato del lavoro.
Inoltre, emergono anche delle differenze sostanziali tra differenti tipi di marginalità. Con l’arrivo della crisi, le persone più in difficoltà (i disoccupati) sono propense ad allontanarsi apaticamente dalla politica e a preferire posizioni ideologiche conservatrici. Al contrario, quelle più a rischio (i lavoratori precari) sembrano essere meno marginalizzate e più radicalizzate a sinistra, proprio a sostegno di un’ideologia che ha l’obiettivo di promuovere politiche rivolte all’occupazione e alla tutela dei lavoratori.

Quali forze politiche si sono a Suo avviso avvantaggiate di questo processo di ‘involuzione’ sociale e democratica?
La storia ci ha insegnato a non sottovalutare i potenziali effetti elettorali di una crisi economica. Basti pensare allo shock sociopolitico che fece seguito alla depressione economica del 1929: fu in quel periodo che si verificò a livello globale un cambiamento di orientamento e di consapevolezza collettiva, che favorì ad esempio il fascismo e i regimi totalitari in Europa.
Quanto più aumenta la protesta e la sfiducia verso le istituzioni, colpevoli di aver tradito la promessa democratica nei confronti del popolo, tanto più aumenta il rischio che questa promessa venga strumentalizzata dal punto di vista populista. Il populismo è soprattutto una modalità d’azione, uno strumento, un modo di rapportarsi con gli elettori, e in questa fase di «recessione» civica, i partiti e i leader che ne fanno uso, preferendo messaggi semplificatori o facili demagogie, possono trarre dei significativi vantaggi elettorali. Del resto, in relazione alla paura e all’insicurezza della classe media, che mostra di aver smarrito il proprio senso civico fino a manifestare ostilità nei confronti della democrazia, cresce anche il consenso verso la figura dell’uomo forte. È proprio la richiesta diffusa di un leader carismatico – in grado di cavalcare la protesta antiestablishment, di «creare» ed «eliminare» i propri nemici interni ed esterni (dissidenti del proprio partito o immigrati), e di promettere la soluzione semplificando ingenuamente la complessità della realtà – il rischio politico più concreto in una fase di involuzione civica. La Brexit o l’elezione di Trump sono due fenomeni recenti, in parte inattesi e di difficile realizzazione in altri periodi storici, che sono frutto di un mutamento dell’orientamento pubblico, innescato e accelerato dalla crisi economica.

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