
Il persistente ritardo del Mezzogiorno sul terreno economico e la conseguente scarsa occupazione restano la principale questione italiana.
Quali cause profonde emergono dai più recenti sviluppi della ricerca storica sulla questione meridionale, che permane irrisolta nonostante oltre 150 anni di unità nazionale?
La causa principale risiede a mio parere nella scarsa capacità e attenzione politica sia della classe dirigente nazionale che dei ceti dominanti meridionali.
Il paragone storico è corso più volte al processo di riunificazione tedesca: si possono trarre a Suo avviso delle lezioni per il nostro Paese?
I processi non sono comparabili. A differenza del Mezzogiorno d’Italia, la Germania orientale, prima della seconda guerra mondiale, era la parte più industrializzata del Reich.
Qual è il fondamento storico delle tesi che descrivono il meridione borbonico come il più progredito degli stati preunitari divenuto vittima della colonizzazione sabauda?
Le tesi neo-borboniche e neo-sudiste non hanno alcun fondamento storico.
Quali sono le principali vicende che hanno caratterizzato il tentativo di soluzione della questione meridionale?
Un primo parziale tentativo di avviare una limitata soluzione della questione meridionale è stata la legislazione speciale del periodo giolittiano ispirata da Nitti, autore della legge speciale per l’industrializzazione di Napoli. La prima guerra mondiale bloccò questo primo tentativo, che fu ripreso dopo la seconda guerra mondiale con l’intervento straordinario dello Stato per lo sviluppo del Mezzogiorno.
La tesi dell’industrializzazione del Mezzogiorno ha radici antiche.
La tesi dell’industrializzazione del Mezzogiorno fu il cavallo di battaglia di Francesco Saverio Nitti. Fu ben presente negli anni Trenta ai fondatori meridionali dell’Iri, Alberto Beneduce e Donato Menichella. E fu rilanciata nell’Italia repubblicana da un altro dirigente dell’Iri, Pasquale Saraceno, in accordo col ministro socialista dell’Industria, lo storico Rodolfo Morandi. Da queste esperienze nacquero nel 1946 l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno e nel 1950 la Cassa per il Mezzogiorno.
Come si inserì la CASMEZ nella questione meridionale e con quali esiti?
La Cassa per il Mezzogiorno, insieme alla parziale riforma agraria e al piano casa, costituì un insieme di riforme avviato dal governo De Gasperi nel 1950. A giudizio dei suoi principali ispiratori (Menichella, Saraceno, Morandi) l’intervento straordinario dello Stato attraverso la Cassa avrebbe dovuto avviare subito l’industrializzazione del Mezzogiorno per frenare il divario tra le due parti del paese, che rischiava di aumentare per l’inserimento dell’Italia nel processo di forte sviluppo post-bellico del mondo occidentale.
Ma nei primi anni ’50 l’industrializzazione del Mezzogiorno fu bloccata dalle resistenze opposte dall’industria settentrionale e dagli ideologi liberisti, rappresentati al massimo livello dal presidente della Repubblica, l’economista Luigi Einaudi. Soltanto nella seconda metà degli anni ’50, per le pressioni della Banca mondiale e per l’avvio del Mercato comune europeo, si avviò l’industrializzazione del Mezzogiorno. Però anche nei primi anni ’50 la Cassa per il Mezzogiorno operò positivamente nel settore delle infrastrutture e dello sviluppo agricolo.
Quali prospettive per il Sud Italia?
La classe dirigente dei primi anni dell’Italia repubblicana, seppure spaccata dalla guerra fredda, seppe mantenere una fondamentale unità d’intenti nel perseguire un intenso sviluppo economico-sociale del paese e nel considerare il ritardo del Mezzogiorno la più grave e irrisolta questione nazionale. Da alcuni decenni ormai la questione meridionale, benche’ sostanzialmente irrisolta, e’ scomparsa dalla prospettiva dell’intero schieramento politico italiano, di qualsiasi orientamento. Il degrado etico-politico e il declino economico-sociale, che hanno colpito l’intero paese, hanno cancellato il Mezzogiorno dall’agenda politica italiana.
Le prospettive per il Sud Italia ci sarebbero anche e la meritoria azione culturale della Svimez continua a indicarle nei suoi Rapporti annuali. La collocazione geografica del Mezzogiorno al centro del Mediterraneo, che era stata un elemento negativo riguardo all’industrializzazione dell’Italia a fine Ottocento per la distanza dall’Europa, rappresenta oggi un’occasione importante di sviluppo, se si riuscirà a fornire efficienti infrastrutture di trasporto e di servizi, adeguati all’incremento dei traffici e alla mobilità delle merci e delle persone. Bisognerebbe concentrare sullo sviluppo di una moderna logistica, intesa come integrazione dei diversi servizi di trasporto, i contributi finanziari europei e nazionali, invece che disperderli a pioggia per interventi di scarso o nullo rilievo. Altro settore di sviluppo per il Mezzogiorno potrà essere il campo innovativo delle fonti di energie rinnovabili e eco-compatibili (eolico, solare, bioenergie, geotermia).
Per dare un futuro al Mezzogiorno bisognerebbe tornare a considerare la centralità della questione meridionale per lo sviluppo nazionale e riuscire a operare concretamente per abbattere il predominio economico-sociale delle potenti mafie meridionali e per dare adeguate occasioni di lavoro ai giovani sempre più in fuga dalla loro terra.