“La prosa omiletica insulare. Fonti e stilemi: il caso dei sermoni escatologici del Vercelli Book” di Raffaele Cioffi

Dott. Raffaele Cioffi, Lei è autore del libro La prosa omiletica insulare. Fonti e stilemi: il caso dei sermoni escatologici del Vercelli Book edito da Accademia University Press: quale importanza riveste il manoscritto della seconda metà del X secolo, conservato nella Biblioteca Capitolare di Vercelli?
La prosa omiletica insulare. Fonti e stilemi: il caso dei sermoni escatologici del Vercelli Book, Raffaele CioffiIl Vercelli Book (Vercelli, Biblioteca Capitolare, ms. CXVII) è uno dei quattro grandi codici della tradizione anglosassone, insieme al ms. Cotton Vitellius A.xv, all’Exeter Book e al ms. Junius xi. Tali codici ci tramandano la gran parte della produzione in versi in lingua inglese antica. Da solo, il codice vercellese conserva ben quattordici fra componimenti in versi e in prosa che rappresentano un unicum all’interno della tradizione anglosassone. Il Vercelli Book è inoltre il più antico esempio di codice miscellaneo di contenuto religioso in lingua volgare della tradizione inglese antica. Si tratta di un manoscritto presumibilmente pensato per uso privato, di medie dimensioni, e vergato in una minuscola insulare quadrata ordinata e chiara da un unico copista su di una pergamena a tratti molto sottile. Allo stato dei fatti, appare del tutto impossibile identificare con precisione la zona di produzione del codice (seppure molti si siano espressi per l’area di Canterbury), così come se la sua committenza sia da identificarsi con un’istituzione religiosa maschile o femminile. Grande importanza riveste anche la lingua nella quale il codice è scritto, un inglese antico che molto risente dei caratteri dialettali del Sassone Occidentale, ma che presenta anche tracce di termini e forme tipiche del dialetto anglico, parlato fra le attuali Anglia e Northumbria. Una molteplicità di tratti dialettali che è prova della notevole circolazione di persone e codici all’interno delle varie aree dell’Inghilterra centro-meridionale dell’Alto Medioevo. Parte dell’importanza del codice, da un punto di vista storico-culturale, è anche dovuta alla sua attuale ubicazione. Del tutto oscuro è il cammino che ha portato il volume a Vercelli. Il codice deve essere giunto in Italia in un momento presumibilmente non successivo all’inizio del secolo XII, così come testimoniato dalla presenza di un versetto neumato del Salmo xxvi (Ps. XXVI, 9) redatto in minuscola carolina sui margini del folio 24v. La presenza del codice a Vercelli potrebbe forse essere l’esito di un lascito volontario o di uno smarrimento da parte di un pellegrino inglese transitato dal ricovero per pellegrini che sorgeva presso la chiesa di Santa Brigida a Vercelli: proprio in tale istituzione, di fondazione iberno-insulare, deve essere stato conservato fino alla sua soppressione, e alla conseguente dispersione della comunità monastica a esso legata. Divenuto presto di difficile comprensione, ma conservato forse in virtù del suo contenuto religioso, il codice è stato custodito presso il Capitolo vercellese fino alla sua riscoperta, avvenuta casualmente negli anni venti del secolo XIX per mano di Friedrich Blume, e la sua prima trascrizione per mano di Carl Maier, nei primi anni Trenta del medesimo secolo. Trascrizione che ha restituito alla comunità degli studiosi del periodo anglosassone, e non solo a essi, un codice di notevole importanza storica e culturale.

Qual è il contenuto del manoscritto?
Il Vercelli Book è un codice miscellaneo di contenuto religioso, che conserva ventitré fra omelie e sermoni, e sei testi poetici di lunghezza variabile. I componimenti presenti nel codice presentano alcune forti connessioni tematiche, che fungono da fili conduttori o chiavi di lettura del manoscritto: preganti sono, in questo senso, la tematica cristologica, così come quella della caducità delle cose terrene e della fede come arma per affrontare le insidie del peccato. Molto noti sono proprio alcuni dei componimenti poetici conservati nel manoscritto, a partire dal breve poemetto Il Sogno della Croce (The Dream of the Rood), che narra l’apparizione della Croce in sogno a un anonimo personaggio. Nel novero dei componimenti poetici del codice, un posto privilegiato occupano due dei poemetti ascrivibili al poeta anglosassone Cynewulf. Così come desumibile dall’acrostico runico che ne accompagna le sezioni conclusive, a Cynewulf sono riconducibili infatti il breve poemetto I Fati degli Apostoli (Fates of the Apostles), testo che narra con sinteticità i destini occorsi agli apostoli nella loro missione evangelizzatrice, e il lungo poema Elena, dedicato alla figura dell’imperatrice Elena, madre di Costantino, e alla leggenda agiografica del ritrovamento della Vera Croce. Testo agiografico è poi il poema anonimo Andreas, dedicato alla missione evangelizzatrice dell’apostolo Andrea presso i Mermedoni, popolazione pagana dedita al cannibalismo che ha imprigionato l’apostolo Luca: armato della sola fede, Andrea riesce nell’impresa di liberare Luca e, seppure con il provvidenziale aiuto di una inondazione inviata dal Signore, porta a termine la difficile opera di evangelizzazione dei Mermedoni, prima di ripartire verso l’Acaia, luogo dove troverà il martirio. Forte carattere penitenziale hanno infine il Frammento Omiletico I (Homiletic Fragment I), testo sulle virtù cristiane lacunoso, e il poemetto Anima e Corpo I (Soul and Body I), componimento che si rifà alla tematica escatologica dell’Incontro dell’Anima e del Corpo e che descrive le parole rivolte dallo spirito virtuoso e da quello peccatore al corpo che li ha ospitati in vita. Altrettanto ricco di spunti e di filoni tematici è il novero dei ventitré componimenti omiletici, equamente suddivisi fra omelie vere e proprie e sermoni. Anche nel novero dei testi in prosa, di primaria importanza è la tematica cristologica, facilmente percepibile in componimenti come Vercelli I (omelia per il tempo pasquale), Vercelli V-VI (dedicate alla Nascita di Gesù e alla fuga in Egitto) e Vercelli XVI-XVII (dedicate alla Presentazione di Gesù al Tempio e al Battesimo nel Giordano). Dedicate alle virtù cristiane sono alcune delle omelie di contenuto parenetico (Vercelli III-VII-XIV), il cui richiamo al pentimento e alla riflessione sul comportamento salvifico appare completato da due testi agiografici, il lungo sermone Vercelli XVIII, dedicato a Martino di Tours, e il breve testo denominato Vercelli XXIII, che contiene un estratto delle vicende terrene di Guthlac di Crowland, anacoreta di stirpe merciana. Una parte consistente della prosa omiletica vercellese ha poi impianto rogazionale: sei sono infatti i testi omiletici dedicati al tempo delle Rogazioni (tre giorni precedenti la Festa dell’Ascensione). Questi due due trittici di sermoni (Vercelli XI-XIII e Vercelli XIX-XXI) sono accomunati da una struttura che accompagna idealmente l’uditorio in un percorso che tocca tematiche penitenziali (la necessità del pentimento) ed escatologiche (la presa di coscienza dell’ineluttabilità della venuta del Giudizio). Proprio il filone escatologico, centrale nella analisi da me condotta all’interno del volume, appare essere numericamente portante nell’economia del manoscritto. Il tema escatologico è centrale in nove dei ventitré testi in prosa vercellesi, sermoni portatori di una dettagliata descrizione del Tempo del Giudizio (Vercelli II-XV-XXI) o del differente destino che attende peccatori e virtuosi (Vercelli IV-IX), così come incentrati su un invito a riflettere sulla caducità delle cose terrene (Vercelli X-XIII) e sul peso che il peccato rappresenta per la salvezza dell’uomo (Vercelli VIII-XXII). Proprio questi sermoni escatologici sono di grande interesse dal punto di vista stilistico e contenutistico, in quanto esempio chiaro di molti dei caratteri tipici dell’omiletica insulare in lingua volgare e del caratteristico utilizzo delle fonti latine che in tale omiletica viene fatto.

Quali caratteristiche di stile e strutture compositive presentano i sermoni escatologici vercellesi?
I sermoni escatologici vercellesi appartengono di pieno diritto al genere dei sermoni compositi, una tipologia di prosa religiosa costruita sulla giustapposizione di testi anche molto distanti per origine e stile. A fungere da fonti di tale genere di sermoni sono, parimenti, frammenti più o meno lunghi di opere latine o dei Padri della Cristianità, così come parti anche estese di omelie o sermoni in lingua volgare. Tali blocchi argomentativi appaiono uniti attraverso elementi di raccordo fissi, quali formule di richiamo ai fedeli (‘Miei cari fratelli…’; ‘Fratelli e sorelle …’; …) o inviti alla riflessione e al pentimento: il risultato finale, nella tradizione latina così come in quella volgare, è in genere un componimento che molto risente dell’abilità del predicatore, unico responsabile del lavoro di raccordo e di ‘cucito’ delle singole parti. Proprio la vastità e l’eterogeneità delle fonti costituisce un elemento di notevole interesse nell’analisi di tali componimenti, risultato della giustapposizione e del commento passi di Isidoro di Siviglia o Gregorio Magno con più o meno libere interpretazioni di tematiche come il perdono postumo dei peccati o il destino delle anime nell’interim che separa la morte e il Giudizio Finale. Una fusione di temi e tematiche che, come comprensibile, spesso ben si distanzia da un principio di stretta aderenza alla dottrina o al canone. Vista la finalità parenetica e la forte connotazione escatologica di tali componimenti, la struttura portante dei sermoni vercellesi appare costruita intorno a una singola tematica (la caducità della sostanza terrena, o la necessità del pentimento terreno, o ancora la terribile sostanza dell’inferno) che, introdotta nella sezione iniziale del sermone, viene sviluppata attraverso uno o più blocchi argomentativi: alla voce del predicatore spetta solitamente il compito di richiamare l’attenzione sulla importanza di quanto detto nel corso di ciascuna delle sezioni del sermone. Dal punto di vista contenutistico, i sermoni escatologici vercellesi presentano una notevole ricchezza di tematiche e motivi tipici dell’escatologia cristiana, dal Discorso dell’Anima al Corpo al tema della caducità delle cose terrene (Ubi Sunt), passando per i Segni dell’Apocalisse e le vessazioni perpetrate dai servi del maligno ai danni delle anime peccatrici: proprio le descrizioni delle pene infernali e delle beatitudini celesti costituiscono i poli opposti intorno ai quali nella maggioranza dei casi gravitano le argomentazioni contenute nei sermoni del codice. Così come la descrizione della miseria eterna e del premio celeste sono i contesti nei quali con più chiarezza è possibile rilevare uno stile ricco di immagini dalla forte componente simbolica e un incedere ritmato tipici di una parte considerevole della prosa anonima di ambito anglosassone. Figure retoriche come la metafora e la similitudine, così come le forti dicotomie e l’accumulo iperbolico di immagini terrene e celesti, appaiono essere gli elementi fondanti di una prosa che presenta spesso anche una forte componente ritmica. In questo contesto, i sermoni escatologici vercellesi sembrano rivelare un evidente influsso da parte dello stile compositivo di ascendenza irlandese, componente che tanto pregnante era stata anche sull’evoluzione del monachesimo insulare dei secoli VII e VIII.

In che modo i sermoni vercellesi rappresentano un utile elemento di analisi dell’evoluzione del genere omiletico in ambito insulare nei secoli X e XI nonché dell’ambito culturale che li ha prodotti?
L’intero omeliario vercellese, con i suoi 23 componimenti, costituisce di per sé uno dei più ricchi e complessi esempi di prosa anonima di ambito anglosassone. Ciascuno di questi componimenti permette al lettore attento di valutare come le tecniche di composizione latine siano applicate all’interno della tradizione volgare, e come il genere del sermone e dell’omelia composita siano declinati nell’ambito del monachesimo inglese dell’Alto Medioevo. Una tipologia testuale, quella del sermone composito, che molto ci può dire sulla circolazione dei materiali all’interno delle comunità monastiche, così come sulla presenza, più o meno completa, delle opere dei Padri della Cristianità latina e greca nelle istituzioni religiose di ambito inglese. E molto ci può rivelare della percezione che gli anonimi predicatori avevano di tali materiali, e dell’autorevolezza di coloro i quali li avevano scritti. In modo parimenti corposo, gli anonimi autori dei sermoni vercellesi fanno uso spesso di fonti dall’ascendenza o attendibilità all’occhio moderno quantomeno dubbia: la presenza all’interno dei sermoni escatologici vercellesi di espliciti riferimenti a testi della tradizione apocrifa, non ultimo l’Apocalisse di Tommaso, ci testimonia la presa e la diffusione che tali testi dovevano avere nella cristianità medievale, e in modo particolare nell’Inghilterra dei secoli IX-XI. Dal punto di vista strettamente stilistico così come contenutistico, poi, proprio i componimenti escatologici divengono emblematici per la forte presenza di un incedere che fa della metafora, della similitudine, dell’anafora così come del parallelismo (fra alto e basso, eterno o terreno, e naturalmente celeste e infernale) elementi fondanti: che la si voglia collegare in modo diretto con la necessità di sollecitare gli animi, o che lo si possa invece collegare con il fascino che le tematiche escatologiche da sempre hanno esercitato sull’animo umano, tale cura e lavoro stilistico rappresenta un fondamentale elemento di analisi e di comprensione dell’omiletica anonima insulare. Forse non a caso, proprio la prosa ritmata e l’utilizzo di un linguaggio fortemente evocativo costituiranno due delle colonne portanti della prosa religiosa del secolo successivo, quello del Tardo Periodo Anglosassone e dei due autori che per molti versi rappresentano uno degli apici della produzione letteraria anglosassone, Ælfric e Wulfstan. Non per semplice casualità, il medesimo impianto stilistico, e la forte connotazione evocativa del linguaggio omiletico, è rilevabile nella ricca prosa religiosa anonima del periodo direttamente precedente e seguente alla venuta normanna in terra inglese (seconda metà del secolo XI): uno stile e un linguaggio che, a ben vedere, i principi della Riforma Monastica del secolo X avrebbero dovuto correggere in favore di una prosa omiletica (e di un approccio alle fonti e alla predicazione) più attento e meno aperto alla metafora o alla similitudine. In questo senso, la forte presenza di una omiletica di tipo ‘antico’ è la dimostrazione del successo di uno stile del quale i sermoni vercellesi rappresentano uno degli esempi più completi e preziosi.

Raffaele Cioffi, Dottore di Ricerca in Letterature e Culture Comparate, è ricercatore di filologia germanica presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Torino

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