“La prosa medievale. Produzione e circolazione” a cura di Massimiliano Gaggero e Filippo Pilati

Prof. Massimiliano Gaggero, Lei ha curato con Filippo Pilati l’edizione del libro La prosa medievale Produzione e circolazione pubblicato da L’Erma di Bretschneider: quando e come si assiste all’adozione della prosa letteraria nelle letterature romanze?
La prosa medievale. Produzione e circolazione, Massimiliano Gaggero, Filippo PilatiSono scritti in prosa alcuni tra i primi esempi di uso scritto dei volgari romanzi; tra questi il più antico di tutti: ne sono un esempio, per il francese, i cosiddetti Giuramenti di Strasburgo, pronunciati nell’842 da due dei figli di Ludovico il Pio, Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico, o un sermone su Giona databile al X sec., e, per l’italiano, le formule dei Placiti Capuani o la formula di confessione umbra. Benché non privi di rilievo letterario, si tratta di testi brevi, che hanno una funzione pratica: sancire un accordo politico-militare, registrare la testimonianza di un diritto acquisito, educare, tramite l’omelia, i fedeli, o infine servire da supporto alla devozione personale.

Nel primo secolo della sua affermazione, tra la fine dell’XI e quella del XII secolo, le letterature francese e provenzale (le più precoci tra le letterature romanze e quelle che mantiene fino almeno a tutto il XIII secolo un ruolo trainante sul piano internazionale) prediligono il verso come mezzo espressivo, non solo per la lirica e l’epica, ma anche per tutti gli altri generi letterari. Sono infatti in versi il romanzo, l’agiografia, le raccolte favolistiche, ma anche la storiografia e le opere di divulgazione scientifico-enciclopedica.

L’adozione della prosa letteraria avviene per la prima volta nell’ambito della letteratura francese, all’inizio del XIII secolo. Tra le prime opere che adottano questa forma abbiamo un gruppo di traduzioni della Cronaca latina detta dello Pseudo-Turpino, composte nel Nord della Francia. Questi testi hanno un valore simbolico forte: la Cronaca è infatti una narrazione del materiale leggendario fiorito intorno alla figura di Carlo Magno (che trovava in francese una sintesi nella Chanson de Roland) alla quale veniva data una veste autorevole grazie all’uso del latino e alla finzione secondo la quale l’autore sarebbe stato l’arcivescovo Turpino, presente a Roncisvalle e quindi testimone diretto degli eventi. Rifiutare il materiale epico in francese ripartendo da una narrazione in prosa latina implicava di fatto il tentativo di porre su nuove basi la ricostruzione del passato carolingio.

A questo punto si può aggiungere, come è stato notato, che molti dei committenti delle traduzioni dello Pseudo-Turpino appartenevano a famiglie del Nord della Francia in conflitto con il potere regale, che vantavano, a torto o a ragione, legami dinastici con la dinastia carolingia: riprendere la storia di Carlo Magno su basi diverse equivaleva a riappropriarsi del proprio passato dinastico, e l’adozione di un nuovo mezzo espressivo si trasformava in strumento ideologico. Nei paragrafi introduttivi di queste tradizioni si afferma infatti una critica della rima, che indurrebbe gli autori dei testi in versi ad inserire nei loro racconti parole che si allontanano dalla verità.

È notevole poi che in questi passi sia chiamata in causa la rima (benché vi fosse una terminologia specifica riferita al verso) e che non si usi un termine specifico per definire la nuova forma, quella della prosa: verso e prosa saranno opposti in questi termini solo diversi decenni più tardi da Brunetto Latini nel Tresor, summa enciclopedica scritta – ancora una volta – in francese, durante gli anni dell’esilio dell’autore dopo la battaglia di Montaperti (1260).

Quali conseguenze produce la nascita e diffusione della prosa letteraria romanza?
L’esempio della Cronaca dello Pseudo-Turpino ci permette di sottolineare quello che solo a prima vista è un paradosso: se la prosa letteraria in volgare “nasce” (o meglio forse appare nei documenti a noi pervenuti) tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, la prosa è una forma che ha una lunghissima tradizione nella letteratura latina, prima classica e poi medievale. Per tutto il Medioevo, e anche oltre, la letteratura latina funge spesso da sorella maggiore delle letterature volgari, fornendo loro modelli che vengono rielaborati talvolta con notevole libertà (si pensi al fenomeno dei volgarizzamenti), anche se talora si verifica il fenomeno inverso, di influsso cioè delle letterature volgari su quella latina.

Il predominio del verso nella prima fase dello sviluppo delle letterature romanze non è dunque legato all’assenza di modelli formali (gli autori volgari avevano spesso la stessa formazione degli autori che scrivevano in latino) ma piuttosto alla diversità dei canali di diffusione della letteratura volgare, che, pur elaborata in forma scritta, prevede spesso l’esecuzione ad alta voce, tramite la lettura, la recitazione o il canto.

È stato recentemente proposto che uno dei fattori che hanno determinato l’introduzione della prosa nelle letterature romanze sia stato il ruolo sempre più importante giocato dal libro come fattore di conservazione e diffusione della letteratura volgare, e quindi proprio l’approfondirsi di quel processo che promuove quest’ultima ad un rango analogo a quello della letteratura latina. In questo senso, più che il problema della “nascita” della prosa importa approfondire quello dell’affermazione (o del “successo”) di questa forma.

L’introduzione della prosa produce sul medio periodo (già nel XIII secolo, e poi ancor di più a partire dal secolo successivo) una ristrutturazione del sistema letterario romanzo, innescando un processo che conduce, in termini molto generali, a fare della prosa il mezzo preferenziale per i contenuti di tipo narrativo/informativo e del verso il veicolo preferenziale per l’espressione di un punto di vista personale (come avviene nella lirica, ma anche nella poesia di tono moraleggiante e politico). Si tratta ovviamente di linee di tendenza che annunciano sviluppi che si consolideranno solo più avanti (si pensi al permanere della narrazione in versi anche al di là del Medioevo) ma grazie ai quali il sistema delle forme e dei generi romanzi comincia a somigliare maggiormente a quello che conosciamo oggi.

Quale importanza rivestono generi spesso trascurati come la prosa giuridica, agiografica e storiografica?
In passato la riflessione sullo sviluppo della prosa si è concentrata principalmente su alcune tipologie di testi. Ne menziono due in particolare: anzitutto il romanzo in prosa (e in particolare quello arturiano) determinante nell’evoluzione di un genere centrale per la letteratura moderna e contemporanea; in secondo luogo, le compilazioni dedicate alla storia dell’antichità, che (come le traduzioni dello Pseudo-Turpino) si fondano su testi latini e affondano le loro radici nel patrimonio di storie della classicità. Si trattava di testi di amplissima diffusione, che hanno influenzato in maniera durevole la storia della prosa.

Non si tratta tuttavia degli unici modelli circolanti sin dall’inizio del XIII secolo, e uno degli obiettivi della raccolta di saggi da me curata insieme a Filippo Pilati era proprio mettere in luce questa pluralità di modelli.

Tra questi grande importanza riveste senz’altro la storiografia legata al fenomeno delle crociate, che a fianco a compilazioni di ampio respiro (come l’Eracles, fondato sulla cronaca latina di Guglielmo di Tiro) vede comparire testi più brevi, che rinnovano la tradizione storiografica rinunciando all’impostazione origeniana-eusebiana della storia universale che inizia dalla Creazione, e presentandosi prive del supporto dell’auctoritas, alla quale sostituiscono il valore della testimonianza diretta. Il fenomeno inizia ancora una volta in latino con la Prima Crociata (sono gli anonimi Gesta Francorum), e continua poi sia in latino che nelle lingue romanze: particolarmente importanti, anche per la loro antichità, sono i due racconti in francese della Quarta Crociata scritti da Geoffroi de Villehardouin e Rober de Clari.

Anche l’agiografia in prosa ha una lunga storia in latino prima di affermarsi nelle lingue romanze. Si tratta di un genere dotato di un’enorme pervasività, perché rispondeva sia ai bisogni della predicazione sia a quelli della devozione personale. Tipica dell’agiografia in prosa è la sua tendenza ad organizzarsi in grandi raccolte, talora metodicamente organizzate (per tipologia di santi, o sulla base della scansione dell’anno liturgico), come è il caso dei cosiddetti leggendari francesi (poi tradotti anche in italiano) o della Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, della quale ci sono giunti volgarizzamenti nelle principali lingue romanze. Per la sua pervasività, quello dell’agiografia rappresenta un modello di prosa forse non espressivamente alto, ma che doveva essere in grado di influenzare in profondità il pubblico medievale.

Da ultimo, la prosa giuridica rappresenta una produzione ancora poco conosciuta e in parte inedita, che interessa per le particolari modalità di resa del testo, spesso molto vicine alla lettera del Corpus iuris, ma anche perché, in un momento in cui il francese non aveva ancora ottenuto lo status di lingua del sapere, questo tipo di testi propone un modello di prosa dotata di auctoritas, e utilizzata, con ogni probabilità, come sussidio nell’insegnamento del diritto nella facoltà di Orléans.

Come avviene la circolazione dei testi?
Com’è normale fino alla fine del XV secolo, l’unico canale per la trasmissione dei testi è quello del libro manoscritto. La fruizione dei testi stessi poteva invece avvenire anche (e forse, inizialmente, in primo luogo) attraverso la lettura ad alta voce, dal momento che la lettura privata rimase per lungo tempo una pratica di diffusione limitata. Questa modalità non si riduce mai, peraltro, alla pura riproduzione del testo di un modello, ma comporta spesso da parte dei copisti, al di là dei semplici errori di trascrizione o correzione di errori macroscopici, interventi più ampi, che incidono in profondità sul testo e quindi sul modello di prosa trasmesso. Inoltre, l’assemblaggio di vari testi nello stesso manoscritto, dà luogo a sillogi più o meno organiche. Il contesto manoscritto condiziona la ricezione dei testi trasmessi ma diventa anche talora, attraverso gli interventi redazionali dei copisti, il luogo per elaborare concretamente i modelli di prosa fruiti dai lettori.

Per questo motivo, ci è sembrato interessante spostare l’attenzione dal problema dell’apparizione della prosa a quello della produzione e della circolazione dei testi. In questa doppia prospettiva, il volume offre, credo, anche prospettive stimolanti per riconsiderare proprio alcune delle tipologie di testi più studiati, come il romanzo in prosa, e per dare a partire dai manoscritti una visione complessiva di alcuni generi, come quello della narrativa breve spagnola.

L’attenzione a questi due aspetti permette inoltre di mettere in luce le modalità concrete della diffusione della prosa letteraria, e talora anche di individuare meglio i centri di produzione di testi e manoscritti che ne sono responsabili. In questo modo, si delinea la possibilità, che sarebbe fruttuoso approfondire, di un panorama storico-letterario che tenga sistematicamente della storia della tradizione manoscritta.

Massimiliano Gaggero è professore associato di Filologia e Linguistica romanza presso il Dipartimento di Studi Letterari, Filologici e Linguistici dell’Università degli Studi di Milano

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