
di Giusto Traina
traduzione di Immacolata Eramo
Laterza
La fine della Repubblica romana: guerra civile o guerra mondiale?
I romani considerarono la fine della Repubblica un lungo secolo segnato dalle guerre civili: Silla contro Mario, Cesare contro Pompeo, Ottaviano contro Antonio, per citare solo i conflitti più lunghi e sanguinosi. Nel suo prontuario storico, indirizzato al giovane allievo Macrino (che alcuni hanno voluto identificare nel futuro prefetto al pretorio e poi imperatore nel 217-218 d.C.), il maestro di scuola Lucio Ampelio fornisce un elenco di queste guerre, di cui l’ultima fu quella di «Cesare Augusto contro diversi generali»: i cesaricidi Bruto e Cassio, Sesto Pompeo, Marco Antonio. Non si trattò, pertanto, di un conflitto normale, ma di una vera e propria grande guerra durata quattordici anni: dall’assassinio di Giulio Cesare nel 44 a.C. fino alla vittoria definitiva di Ottaviano su Antonio e Cleopatra nel 30. Lo schema di Ampelio, destinato agli scolari del principato romano, fa sembrare le guerre della fine della Repubblica né più né meno che una serie di regolamenti di conti tra romani: uno scontro infinito tra fazioni che ogni tanto si interrompeva per far la guerra a barbari o ribelli. La vittoria finale di Ottaviano, che nel 27 prese il nome di Augusto e determinò il passaggio dalla Repubblica al Principato, avrebbe messo fine alle guerre civili.
Ma se gli scolaretti dell’epoca di Ampelio imparavano in questo modo a studiare e ricordare le guerre civili di Roma, la situazione reale era ben più complessa, poiché gli avvenimenti della fine della Repubblica non possono ridursi a una sequenza di guerre civili: la loro prospettiva si svolse infatti su una scala mondiale. Certo, a prima vista, parlare di «guerra mondiale» prima del XIX secolo potrebbe sembrare anacronistico. In effetti, gli antichi conoscevano soltanto la differenza tra un conflitto ordinario e una «grande guerra». E tuttavia i romani erano consapevoli che le loro guerre civili, almeno dalla metà del I secolo a.C., avevano raggiunto una dimensione internazionale, dalla Spagna all’impero partico. Così, ad esempio, uno storico del II secolo d.C. come Floro (originario dell’Africa romana, e perciò sensibile al carattere mondiale dell’impero) presenta la guerra tra Cesare e Pompeo come un conflitto che «non fu semplicemente una guerra tra alleati o una guerra esterna, ma piuttosto qualcosa che comprese tutte le forme di guerra: insomma, più che una semplice guerra». In ogni caso, sarebbe impossibile analizzare gli eventi della fine della Repubblica senza comprendere la questione militare più importante: la ripresa della grande spedizione di Cesare nei Balcani, e poi in Oriente, che era stata brutalmente interrotta dal suo assassinio. Come vedremo, Ottaviano e Marco Antonio cercarono di portare a termine questa impresa, ma con risultati decisamente poco all’altezza.
Nella prospettiva storica tradizionale, incentrata su Roma e l’Italia, i popoli vicini – africani, ispanici, galli, greci, traci, armeni – si sarebbero limitati ad assistere a vario titolo alle guerre civili dei romani, come se fossero stati semplici pedine di un gioco dove la scacchiera era l’imperium Romanum, ovvero semplici spettatori della tragedia delle guerre civili romane, spettacolo da cui dipendevano le loro sorti. Nella lontana Mesopotamia, seduti sugli ultimi gradini di questo teatro del mondo, i parti osservavano alla stessa maniera le vicissitudini dei loro rivali che, di volta in volta, interrompevano le ostilità per stringere o rinnovare alleanze più o meno durature, che all’occasione permettevano di liquidare i più deboli tra i capi che reclamavano una fetta di potere.
Questo libro propone una prospettiva diversa. Senza giungere a scrivere una vera e propria storia «inclusiva», visto che la maggior parte delle nostre fonti riflette il punto di vista dei romani anziché quello degli altri popoli, tenteremo ugualmente di proporre un nuovo equilibrio geopolitico e geostrategico, risparmiando a questi altri popoli il ruolo di comparse. Così, accanto ai protagonisti indiscussi Ottaviano e Antonio (e a molti altri romani di varia importanza), tanti non-romani riprenderanno il ruolo che spetta loro. Non solo la fin troppo nota Cleopatra d’Egitto, ma anche tanti altri personaggi come il mauro Bogud, il cilicio Tarcondimoto, l’armeno Artawazd, stranieri accomunati dal coinvolgimento nel «Grande Gioco» tra Roma e l’impero partico. In altre parole, la guerra mondiale dei romani. Ovvero il primo conflitto della storia su scala mondiale.»